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 2005  dicembre 30 Venerdì calendario

Mario Draghi governatore

• Il nuovo governatore della Banca d’Italia si chiama Mario Draghi, ha 58 anni, due figli e una moglie di nome Serena discendente della Bianca Cappello che fu sposa di Francesco de’ Medici (XVI secolo). Era fino a questo momento vicepresidente della Goldman Sachs – una delle più importanti banche d’affari del mondo – e aveva casa a Londra, non lontano da Harrod’s, anche se il suo mestiere lo portava a cambiar città tutte le notti. Si insedierà non prima del 16 gennaio. Per nominarlo il governo ha dato prova di una rapidità davvero rara: passata in via definitiva al Senato il 23 dicembre, la Legge sul risparmio, che conteneva tra le altre le nuove norme relative alla nomina del governatore, è stata sottoposta a Bruxelles e ha ricevuto un’approvazione immediata. Ciampi l’ha firmata il 28 e la Gazzetta l’ha pubblicata il 29. In quello stesso giorno si riunivano il Consiglio dei ministri e il Consiglio superiore della Banca d’Italia. Il Consiglio dei ministri proponeva alle 9.30 del mattino, il Consiglio superiore approvava verso le 11, e a mezzogiorno Ciampi emetteva il decreto di nomina. La mattina successiva (30 dicembre), ecco il nuovo governatore – un bell’uomo che sa sorridere – arrivare al Quirinale per salutare il Presidente. Nugolo di fotografi e scatto di un’immagine che finisce su tutte le prime pagine: il vecchio Ciampi, già governatore dal 1979 al 1993, che accarezza ridendo la guancia del suo giovane successore. Il fatto davvero eccezionale avviene subito dopo: Draghi va a piedi (e sottolineo: a piedi) dal Quirinale alla Banca d’Italia. Sono un centinaio di metri, ma non esiste uomo pubblico in Italia che non avrebbe percorso quel centinaio di metri con auto blu, scorta e sirene spiegate. Infatti, gli uscieri di Bankitalia, pochi minuti dopo aver visto Draghi passare normalmente per la portineria, vedono arrivare il vecchio governatore Fazio, per l’appunto con l’auto blu e la scorta. I due non si sono incontrati. E, a pensarci, come avrebbero potuto? Riapparso in via Nazionale dopo un’oretta, Draghi ha fatto una passeggiata per il centro di Roma – che è la sua città, ma dove negli ultimi anni è venuto assai poco – e, giunto al Tritone, ha salutato le decine di giornalisti che lo seguivano speranzosi e a cui aveva dedicato solo dei grandi sorrisi, ha fermato un taxi e, come un uomo qualunque, è tornato a casa.

• Come si sarà capito, il nuovo governatore non è affatto un uomo qualunque. Intanto per il curriculum eccezionale: ha preso un Ph.D in Economia negli Stati Uniti, impresa che prima di lui era riuscita solo a Giorgio Basevi nel 1965, è stato allievo prima di Federico Caffè a Roma e poi di Franco Modigliani al Mit, direttore esecutivo della Banca mondiale a Washington (a 39 anni), presidente del Comitato economico e finanziario dell’Unione europea, docente a Harvard. Poi c’è il curriculum italiano che si sostanzia soprattutto nei dieci anni di direzione generale al Ministero del Tesoro. Chiamato da Andreotti nel 1991 e confermato poi da tutti i governi successivi: Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema, di nuovo Amato, di nuovo Berlusconi. Nei dieci anni, fino al 2001, è prima di tutto l’uomo delle privatizzazioni: in silenzio, senza fare dichiarazioni o rilasciare interviste, piazza sul mercato Iri, Telecom, Eni, Enel, Comit, Credit e decine di altre aziende possedute o partecipate dallo Stato. Licenzia i vecchi boiardi democristiani, fa infuriare gli statalisti più accesi (Nerio Nesi, banchiere rifondarolo, nel 1997, quando fu messa in vendita Finmeccanica e licenziato Fabiano Fabiani: “è gravissimo che tutto venga deciso da un funzionario del Tesoro come questo Draghi, assolutamente non idoneo a decidere in questioni industriali”. Nel 1992, prima di dare inizio alla vendita delle società pubbliche, incontra sul panfilo Britannia della regina Elisabetta la comunità finanziaria. Questo scatena una ridda di voci, ben vive anche oggi, secondo le quali Draghi non è altri che l’uomo assai ben pagato dei poteri forti internazionali incaricato di svendere il patrimonio italiano. Però i risultati finali dei dieci anni di privatizzazioni non sembrano quelli di una svendita: 182 mila miliardi di lire, che fanno scendere il debito pubblico dal 125 per cento sul Pil del 1991 al 115 del 2001, cifre inferiori solo alle privatizzazioni inglesi. Draghi vara poi la nuova legge sul diritto societario, quella che regola le Opa (e che stabilische che chi sale al 30 per cento deve poi lanciare un’Opa su tutto) e che si chiama, appunto, “legge Draghi”. Infine, Ciampi lo incarica di fare il giro delle capitali europee per convincere i nostri partner che l’Italia è affidabile e può essere ammessa nell’area euro. Draghi ci riesce e anche questa, per qualcuno, è una colpa.

• Tra le realizzazioni meno conosciute del nuovo governatore c’è la ristrutturazione del debito italiano. In poche parole: Draghi sapeva che, a inflazione in picchiata, sarebbe finita l’abitudine italiana di mettere tutti i risparmi in Bot. Lui stesso voleva che si passasse dal capitalismo protetto dei Bot al capitalismo popolare dei fondi d’investimento e dei prodotti finanziari complessi. Ristrutturò quindi l’indebitamento pubblico: nel 1991 il 70 per cento del debito statale era a tasso variabile e a breve termine (i Bot, appunto). Nel 2001, quando Draghi lasciò il ministero, il 70 per cento del debito era a tasso fisso (quindi meno pericoloso) e a medio-lungo termine. Il declino dei Bot spinse gli italiani ad assaggiare quel che offriva il mercato propriamente detto, azioni, obbligazioni, bond. E perciò il fronte degli oppositori attuali di Draghi (capitanato da Bertinotti e Cirino Pomicino) potrebbe forse imputare anche alle scelte politiche dell’allora direttore generale i danni subiti dai risparmiatori per via dei grandi crac Cirio e Parmalat e per quelli che stanno emergendo adesso: Banca Popolare Italiana e, magari, Unipol. [Giorgio Dell’Arti]