vanity, 15 aprile 2006
La Grande Coalizione
• Anche se Prodi continua a gridare “No, no, no!”, la trattativa sulla Grande Coalizione o sulla Grande Intesa è partita. Conducono Berlusconi da una parte e D’Alema dall’altra. Luogo in cui si svolge la discussione: il Corriere della Sera.
• Ha cominciato D’Alema, che non parlava al Corriere dal 2004: già col semplice fatto di scegliere questo giornale, ha annunciato al mondo che ”tutto è cambiato”. L’intervista è uscita il 14 aprile, le aperture di D’Alema sono importanti: “Berlusconi è stato un grande combattente”, “Non intendiamo né scardinare la famiglia né aumentare le tasse né scontrarci con la Chiesa”, questi “opposti estremismi, Berlusconi da una parte, loro dall’altra, è il peggio della tradizione comunista degli anni Trenta”, “un’intesa sarebbe ora incomprensibile”. Dice che se Berlusconi riconosce la vittoria di Prodi e il centrodestra prende un po’ le distanze dalla riforma federalista della Lega “potrebbe essere aperto un dialogo”. Il quotidiano della Margherita, Europa, ha attaccatto violentissimamente D’Alema per questa intervista (“...D’Alema della Bicamerale e dell’inciucio, appena vede il Professore in sella si dà da fare per disarcionarlo...”). Mastella ha detto che potrebbe rinunciare a qualunque carica e lasciare Prodi al suo destino.
• Berlusconi ha risposto il giorno dopo, sabato santo, sempre sul Corriere della Sera. Il passaggio chiave è questo: “Non è dunque responsabile, come sta facendo Prodi dalla notte di lunedì, cercare testardamente una prova di forza, ignorare la realtà e mostrare disprezzo e spirito vendicativo verso metà del Paese e verso chi la rappresenta. Occorrerebbe al contrario ragionare insieme intorno a soluzioni nuove, dettate dalle nuove circostanze, per il governo delle istituzioni e del Paese. Un’intesa parziale, limitata nel tempo, per affrontare le scadenze istituzionali, economiche e internazionali del Paese, non dovrebbe essere esclusa per principio”. La lettera – dove la parola “D’Alema” non è mai scritta – ha irritato i leghisti, anche se Berlusconi, prima di spedirla, ha informato Bossi. Fini e Casini sono stati zitti (Casini, dopo le elezioni, non ha più detto una parola), Gasparri ha criticato. L’unico favorevole sembra al momento il vecchio nemico del Cavaliere, Marco Follini. Gli alleati di Berlusconi, in questa fase, soffrono la malattia dell’oscuramento: Berlusconi fa tutto lui e loro non esistono.
• Il risultato ufficiale della Camera è questo: 341 seggi al centrosinistra (grazie al premio di maggioranza), 277 al centrodestra. Ripartiti così: Ulivo 220, Rifondazione 41, Rosa nel Pugno 18, Pdci 16, Di Pietro 16, Verdi 15, Udeur 10, Svp (Südtiroler Volkspartei) 4; Forza Italia 137, An 71, Udc 39, Lega 26, Dc-Nuovo Psi 4. Con i deputati Esteri l’Unione, che ne ha 7, passa a 348, la Casa delle Libertà, che ne ha 4, a 281. Un deputato estero non è classificato in nessuno dei due schieramenti. Gli strepiti di Berlusconi sulla conta dei voti, i brogli eccetera non porteranno da nessuna parte e il premier li sta evidentemente adoperando col solo scopo di tenere Prodi sulle spine il più a lungo possibile. In questo modo, oltre tutto, può costringere gli avversari a esigere “il riconoscimento della vittoria del centrosinistra” (cioè un atto dovuto) come se fosse un oggetto di trattativa. D’Alema, infatti, nell’intervista gli chiede come prioritario a ogni dialogo il riconoscimento della vittoria del centrosinistra. La battaglia per la presidenza dovrebbe concludersi con la nomina di Bertinotti. Al giornalista del Corriere che gli chiedeva se, a questo proposito, sarebbe stato disposto a fare un passo indietro, D’Alema ha risposto: “Non ho mai fatto un passo avanti”.
• Nonostante il Polo abbia preso circa 150 mila voti in più, gli eletti del Senato risultano 155 per l’Unione e 153 per la Casa delle Libertà. Divisi così: Ds 62, Margherita 39, Rifondazione 27, Insieme per l’Unione (Comunisti italiani, Verdi, Consumatori) 11, Di Pietro 4, Udeur 3, Lista consumatori 1, Altri 7; Forza Italia 78, An 41, Udc 21, Lega 13. I senatori eletti nelle circoscrizioni estere erano 6 e di questi 5 sono da attribuire all’Unione e 1 al Polo. In questo modo Prodi raggiunge al Senato una maggioranza di 7 voti. I senatori a vita sono tutti a favore di Prodi tranne Cossiga: ”noi senatori a vita non abbiamo alcun titolo politico, non rappresentiamo nessuno, Pininfarina e la Montalcini non si sono mai presentati a un’elezione e dovrebbero avere l’umiltà di riconoscerlo, sono poco più che Cavalieri di Gran Croce, il voto di qualunque cittadino vale più del nostro...” (il diessino Gavino Angius ha detto che questa tesi non è priva di fondamento, Sartori la reputa inesistente). Con i 6 senatori a vita, perciò, la maggioranza teorica di Prodi al Senato sale a 13 voti. E tuttavia: non si può fare troppo affidamento sulla presenza né dei senatori a vita né degli eletti all’estero. Le commissioni in Senato sono 14 e per far passare le sue leggi la maggioranza dovrebbe avere almeno un parlamentare di vantaggio in ogni commissione. Allo stato dei fatti, invece, Prodi risulta perennemente in minoranza in almeno quattro o cinque commissioni, il che lo condanna all’impossibilità di legiferare. La situazione è così grave che D’Alema nella sua intervista ha fatto appello al pairing, la pratica in uso nel Parlamento britannico per cui se un deputato della maggioranza è malato, l’opposizione fa uscire uno dei suoi dall’aula per non profittare della situazione. E’ una cortesia difficile da immaginare da noi: ancora la settimana scorsa Prodi ha chiamato “imbroglione” Berlusconi e Berlusconi, con la storia delle schede da ricontare, chiama implicitamente “imbroglioni” gli avversari. La regola del Senato vuole che, per essere eletti, all’inizio si ottengano la metà più uno dei voti di tutti i senatori, poi la metà più uno dei voti dei senatori presenti. Se nessuno passa, si va al ballottaggio tra i primi due. Per Prodi correrà Marini (meno probabile Mastella). Il centrodestra ha già reso chiare le sue intenzioni, facendo circolare il nome di un candidato fortissimo: l’attuale ministro degli Interni Giuseppe Pisanu, l’uomo che ha appena arrestato Provenzano e che per questo ha ricevuto elogi sperticati anche dal centrosinistra (Fassino, seguito da Repubblica, lo ha poi attaccato sulla faccenda delle schede contestate, ma Pisanu ha risposto molto bene). Una candidatura concordata tra i due schieramenti potrebbe essere quella di Andreotti.
• In un primo momento Ciampi ha annunciato che avrebbe lasciato al suo successore l’incombenza di dare l’incarico a Prodi. In questo modo si sarebbe stati fermi fino a giugno. Sottoposto a una pressione fortissima dallo stesso Prodi e da tutto il centrosinistra, ha concesso che se gli si dà la garanzia sull’elezione rapida dei presidenti delle camere e su un veloce, successivo voto di fiducia, è anche disposto a incaricare subito Prodi. L’elezione del nuovo capo dello Stato, però, non può cominciare dopo il 13 maggio e perciò sembra piuttosto difficile che si possa far tutto prima di allora. Quanto ai nomi, si sa che Prodi è intenzionato a proporre Amato e che, quindi, non c’è nessuna speranza di avere l’appoggio del centrodestra su questo nome. Altre candidature credibili non ne circolano, anche se, con molta prudenza, è apparsa sui giornali l’ipotesi che il nuovo inquilino del Quirinale possa essere proprio D’Alema: l’uomo della trattativa con Berlusconi garantirebbe soluzioni concordate ai problemi più urgenti: economia (l’anno prossimo ci aspetta una finanziaria da 30 miliardi), leggi sul lavoro (quanto e come cambiare la Biagi, che la Cgil vuole abolire integralmente), riforma elettorale (che tagli le ali dei due schieramenti). [Giorgio Dell’Arti]