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 2006  settembre 15 Venerdì calendario

La bufera Telecom

• Siamo in piena bufera Telecom. Tronchetti Provera s’è dimesso da presidente dell’azienda, Prodi dice di non aver fatto qualcosa che evidentemente ha fatto, D’Alema è al contrattacco, forse rinasce l’Iri, Murdoch ha detto che non compra e non vende più niente, Berlusconi e De Benedetti potrebbero mettersi d’accordo un’altra volta, il professor Guido Rossi potrebbe essere buttato fuori dal calcio, anche il governo qualche pericolo lo corre, eccetera.

• Il telefono di casa nostra è collegato con un filo a una presa nel muro. Sappiamo già che senza il filo e senza la presa non possiamo parlare con nessuno, salvo ricorrere al cellulare. Che cosa c’è dietro la presa? Un altro filo, detto doppino, che va a connettersi ad altri fili, i quali finiscono in centrali di smistamento che ci permettevano di parlare con Pechino o New York già quarant’anni fa. I cavi corrono anche sotto il mare e connettono ormai più o meno qualunque punto del mondo civilizzato, vale a dire più o meno il 30 per cento del Pianeta. Questa immensa rete è stata costruita in una cinquantina d’anni e precede di molto Internet: in Italia si son cominciate a fare interurbane senza centralino (teleselezione) nel 1960. Il pezzetto italiano di questa rete mondiale appartiene alla Telecom. La Telecom, una volta, era dello Stato. Durante il suo primo governo (1996-1998), Prodi la vendette per far cassa: bisognava rimettere a posto i conti pubblici per via dell’euro. Comprarono i risparmiatori e, quote più consistenti, alcuni capitalisti. Tra questi Agnelli. Colaninno, con la benedizione del nuovo presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, li scalò. Per far questo dovette mettere sul tavolo 50 mila miliardi di lire. Non li aveva e se li fece prestare. Poi, nel 2001, vendette a Tronchetti Provera, che trovò dentro Telecom il debito prodotto dalla scalata e altri debiti provocati da altri acquisti fatti da Colaninno. Colaninno e i suoi soci volevano 4 euro per azione. Tronchetti non li aveva e se li fece prestare a sua volta dalle banche. Altre banche diventarono direttamente azioniste insieme a Tronchetti, impegnandolo però a ricomprarsi i pacchetti tra cinque anni (cioè adesso) sempre a 4 euro. Tronchetti accettò tutto. Il debito era di 48 miliardi di euro, cioè poco meno di 100 mila miliardi di lire. Tronchetti ha passato gli ultimi cinque anni a vendere pezzi d’azienda giudicati non strategici per diminuire l’indebitamento e a fondere tra di loro pezzi del suo impero per razionalizzare la situazione. Il risultato è che adesso Telecom ha debiti come minimo per 41 miliardi e dovendo il mese prossimo ricomprare un bel pacco di azioni dalle banche e restituire ai risparmiatori i soldi di un bond, si trova piuttosto nei guai. Tronchetti ha pensato: vendo la rete. Oppure: vendo la compagnia dei telefoni cellulari, cioè la Tim. Poi ha anche pensato: non posso fare questo senza parlarne col governo. andato perciò due volte a parlarne con Prodi.

• Prodi ha ascoltato con attenzione Tronchetti. Tronchetti gli ha detto che sul tavolo c’erano svariate opzioni: vendere la Tim a Murdoch o più probabilmente a Time Warner o General Electric, far entrare Murdoch nel capitale Telecom fino a ipotizzare una fusione con Sky Italia. “In ogni caso il controllo di Telecom resterebbe in mani italiane”. Ma a Prodi non deve essere piaciuta l’idea che la Tim finisse in mani straniere e neanche, probabilmente, che Murdoch si rafforzasse troppo a sue spese (Murdoch s’è messo vicino, come consulente in queste trattative, un uomo di Prodi per esser sicuro di non avere problemi sul versante politico). Ha poi spiegato che stava comunque discutendo con Murdoch di contenuti – cioè film, documentari ecc – da trasmettere sulla rete. L’idea era cioè di trasformare la Telecom in una tv via cavo, capace di trasmettere dati e intrattenimento da guardare sullo schermo del computer (ci vogliono ancora grandi investimenti per far questo, dato che col doppino di rame non si va lontano e c’è bisogno della fibra ottica, ma adesso lasciamo perdere). Prodi gli ha fatto promettere che la rete sarebbe rimasta italiana. Tronchetti ha promesso. Poi Prodi ha fatto preparare al suo consulente finanziario Angelo Rovati (uomo fidatissimo, che raccoglie fondi per i prodiani, è stato socio della società del premier, Nomisma, ed è in affari anche con la signora Flavia, moglie del premier) un piano di ristrutturazione in cui la Telecom cede alla Cassa Depositi e Prestiti (vedi sotto) il controllo della sua rete, ne ricava denaro e vive contenta. Tronchetti ha certamente detto di no, i due hanno cominciato a litigare, la cosa è venuta fuori e Prodi, in forte imbarazzo, ha sostenuto che questo piano è stato preparato da Rovati a sua insaputa. I suoi colleghi politici sono obbligati a credergli, ma naturalmente questa versione dei fatti non sta in piedi e, nella ricostruzione di quanto è avvenuto, non la prendiamo minimamente in considerazione. Del resto anche i politici, compresi i suoi alleati di governo, ci credono solo per convenienza, cioè per finta.

• La Cassa Depositi e Prestiti è una banca pubblica che gestisce i soldi raccolti nei 14 mila sportelli postali. Tremonti l’ha riformata in modo da caricarla di un po’ di debito dello Stato, così che la nostra posizione nei confronti di Bruxelles risulti migliore: poiché sta in piedi con la stessa logica di una banca privata, i suoi deficit non possono essere computati e i soldi che dà alle aziende non possono essere considerati aiuti di stato. Questo, secondo Tremonti. Bruxelles non ha ancora deciso se il discorso fila o no. Intanto la Cassa ha preso il 30 per cento di Terna, una società che distribuisce l’energia elettrica. Se, dopo la rete elettrica, prendesse anche un pezzo rilevante della rete telefonica e poi magari un pezzo rilevante della rete del gas (Snam) e poi magari un pezzo rilevante della rete autostradale (Benetton con gli spagnoli: ecco perché – hanno detto tutti la settimana scorsa – il governo non li vuole far sposare), avrebbe le caratteristiche di un piccolo Iri (Rutelli: un “Iretto”), il defunto Istituto per la Ricostruzione Industriale, luogo principe delle vecchie partecipazioni statali di cui Prodi è stato presidente due volte. Chi potrebbe dare una mano nel sistema bancario? Il gruppo Intesa-San Paolo, appena fuso, pieno di soldi e dominato dagli sponsor di Prodi, Salza (Ssan Paolo) e soprattutto Bazoli (Intesa). Devo aggiungere che quando s’è capito dove andava a parare il discorso del premier, si sono alzati strilli potentissimi dalla parte dei diessini? Che il quotidiano di Rutelli – Europa – ha cominciato a pubblicare tutti i giorni un editoriale che non fa fare a Prodi la figura del santo? Prodi non ha un partito politico e si sta costruendo una posizione di potere sul versante economico. I primi a non volere che ci riesca sono proprio i suoi alleati di governo.

• E così in serata  – a Borse chiuse – Tronchetti s’è dimesso, lamentando che le pressioni del governo erano talmente forti da non poter più essere tollerate. Il CdA ha subito nominato il nome concordato a tutti i livelli (e sottolineo: a tutti i livelli), quello del professor Guido Rossi, che è già stato presidente di Telecom, è nemico delle nazionalizzazioni di qualunque tipo, conosce le banche, conosce i magistrati (che sono già all’opera per la faccenda delle intercettazioni) e ha alle spalle gli antiprodiani della maggioranza, cioè l’area D’Alema-Rutelli. La necessità di vendere spingerà tutti alla formazione di uno o più tavoli. Chi ha i soldi per comprare? In Italia prima di tutto Berlusconi e De Benedetti. Ed ecco tornare l’ipotesi – per il momento solo sussurrata – di un grande accordo tra i due ex grandi nemici, accordo – come si ricorderà – già tentato l’anno scorso. Un indizio? Per la prima volta nella storia, Berlusconi non ha parlato male di Guido Rossi, anzi (“va a finire che ce lo ritroviamo a Palazzo Chigi e magari non sarebbe neanche un gran male”). E sì che Guido Rossi è quello che ha fatto in modo che gli si penalizzasse il Milan. Dovrà lasciare, ora che è presidente di Telecom, la carica di commissario della Federcalcio? Il mondo dello sport e della politica risponde a una sola voce: sìii. Lui, invece, ha già detto: nooo. [Giorgio Dell’Arti]