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 2006  settembre 25 Lunedì calendario

L’affare Telecom

• Le inchieste sulla Telecom sono a questo punto quattro: una dei magistrati romani, una di quelli milanesi, una della Consob (l’organismo che governa la Borsa), una, puramente amministrativa, del ministero della Giustizia. Ai guai di cui abbiamo parlato la settimana scorsa – i debiti e le litigate tra Prodi e Tronchetti Provera, con dimissioni di quest’ultimo e preoccupanti ricaschi politici – si sono aggiunti mercoledì 20 settembre ventuno mandati di cattura, 20 dei quali eseguiti, per la faccenda delle intercettazioni. La Pirelli, padrona della Telecom, ha come tutte le grandi aziende un servizio di sicurezza. Questo servizio lavora legittimamente ad impedire che i concorrenti si impossessino di segreti interni (brevetti, metodi di lavorazione, ma anche questioni relative alla vita quotidiana negli uffici), ma può lavorare, meno legittimamente, a impossessarsi a sua volta di segreti dei concorrenti o di chi può essere utile indagare. Secondo i magistrati la Pirelli faceva la furba col proprio servizio di sicurezza fin dal 1997. L’acquisto di Telecom nel 2001, che metteva a disposizione degli agenti segreti aziendali l’intera rete telefonica italiana, agì da formidabile moltiplicatore. Dopo tre anni di indagini i magistrati di Milano sostengono che in Telecom c’era un servizio segreto talmente potente da aver rapporti non solo col nostro Sismi ma anche con la Cia e con altri servizi esteri. La sicurezza Telecom, a quanto si capisce, lavorava anche su commissione e sia pure attraverso agenzie esterne. Il capo di questo servizio segreto, fino al maggio scorso, era un ex carabiniere, assai stimato, di nome Giuliano Tavaroli. Lui e i suoi collaboratori hanno accumulato molti soldi, naturalmente all’estero, perché le indagini si pagano bene e si pagano bene anche perché chi indaga deve a sua volta corrompere. Come avere accesso a certi archivi segreti se non si convincono i custodi a rivelare password e modalità d’accesso? I 20 arresti di mercoledì sarebbero perciò la famosa punta dell’iceberg. La polvere sollevata dallo scandalo è tale che si può giurare su questo: tra poco i nomi in ballo e gli intrecci saranno talmente fitti che nessuno capirà più niente e i giornali se ne occuperanno sempre più debolmente. A meno che non si scopra che c’entra Tronchetti direttamente.

• Ma Tronchetti c’entra? Tavaroli dice di aver sempre riferito all’amministratore delegato di Telecom Carlo Buora, che è un modo per dire: Tronchetti, poveretto, era ignaro. Abbiamo già sostenuto la settimana scorsa a proposito di Prodi: come si può credere che un suo collaboratore strettissimo come Rovati (che si è dimesso all’inizio della scorsa settimana) preparasse un dossier a sua insaputa? Non ci abbiamo creduto e non possiamo credere neanche a quest’altra storia: l’amministratore delegato di Telecom e uomo forte di Pirelli da vent’anni, cioè Buora, sapeva che migliaia di cittadini – tra cui uomini politici, imprenditori, banchieri ecc. – venivano spiati e tu, Tronchetti, non ne sapevi assolutamente niente? Via, non sta in piedi. Manca naturalmente la prova. Senonché Tronchetti potrebbe trovarsi nei guai per un intercettato minore e cioè l’arbitro di calcio De Santis, già sospeso per quattro anni dalla sentenza di Calciopoli. Che gliene importava alla Telecom di intercettare un arbitro? Alla Telecom forse no. Ma all’Inter forse sì. La Pirelli è un’azienda interista, non solo sponsor della squadra, ma addirittura socia di Moratti. Tronchetti è interista e siede in cda. Buora pure. Imbarazzante.

• Mastella ha predisposto, con l’accordo anche dell’opposizione, un decreto legge in cui si dispone la distruzione di tutto il materiale intercettato, senza che si faccia alcun verbale su quello che contiene. Sarà meno facile di quello che sembra. Gli inquisiti potrebbero opporsi al falò con l’argomento che contiene prove della loro innocenza e che dando fuoco a nastri e carte si lederebbero i diritti della difesa. Altri magistrati hanno espresso dubbi perché le telefonate potrebbero contenere notizie di reato e di fronte a notizie di reato la legge impone al pm di muoversi. La risposta di Mastella e degli altri è che nel processo garantista è decisivo anche il modo con cui le prove vengono raccolte e un modo criminale, in tribunale, non è ammesso. Dunque, quella roba è – secondo l’espressione del ministro – “monnezza”. Hanno un po’ ragione tutti quanti.

• L’altro versante dell’affare Telecom – quello finanziario – è un grosso fastidio per Prodi. Il premier non voleva discuterne in Parlamento ed è stato costretto ad accettare un dibattito, voleva mandare a discutere il ministro Gentiloni e invece gli alleati lo hanno costretto a esser presente di persona, ha tentato di evitare il Senato e niente anche lì, ci dovrà andare. I segni davvero brutti per il governo sono due: il premier è nervoso e sgarbato (primo segno), Berlusconi invece sta buono e fermo (secondo segno). Il premier ha risposto sgarbatamente ai giornalisti che gli chiedevano come avrebbe difeso il papa dagli attacchi islamici: con la frase: “Ma a difendere il papa ci penseranno le guardie svizzere” (e l’espressione che diceva: "Non mi rompete…"). Berlusconi invece ha detto ai suoi di star fermi perché il governo si incarterà da solo. E in effetti: Bobo Craxi ha fatto sapere che il presidente del Consiglio e D’Alema praticamente non si parlano. Il quotidiano della Margherita Europa ha pubblicato un sondaggio da cui si evince che, per la prima volta dopo tre anni e mezzo, la Casa delle Libertà ha più consensi dell’Unione. D’Alema e i diessini, Rutelli e la Margherita ce l’hanno con Prodi perché tenta di mettere gli alleati di fronte ai fatti compiuti. D’Alema tra l’altro non gli ha perdonato la nomina di Ruggiero a suo rappresentante personale per l’Europa, Ruggiero era il ministro degli Esteri di Berlusconi e ha relazioni internazionali tali da poter diventare un ministro degli Esteri bis. Lo stesso Prodi si dà troppo da fare in campo internazionale e D’Alema gli ha comunicato il suo malumore rifiutandosi di seguirlo in Cina. C’è poi la fusione San Paolo-Intesa, tutta prodiana. Gli alleati non smettono di considerarla – per come è stata realizzata – una mezza pugnalata alle spalle. [Giorgio Dell’Arti]