16 marzo 1978
Tags : Aldo Moro, il sequestro e l’uccisione
Il giorno del sequestro Moro
La crisi di
governo, una delle più lunghe del dopoguerra, dovrebbe concludersi formalmente
oggi. Alle 10 alla Camera e alle 12 al Senato il presidente del Consiglio
Andreotti presenterà il suo quarto governo, un monocolore dc che può contare
sulla più larga maggioranza degli ultimi trent’anni: 527 voti su 630 deputati e
280 su 322 senatori. Lo voteranno anche i comunisti. Il principale artefice dello storico accordo è il presidente della Dc, Aldo Moro. [Moro - leggi tutta la cronologia]
Un’ora prima del dibattito
a Montecitorio, però, entrano in azione le Brigate rosse. Moro viene rapito a Roma da un gruppo di terroristi. Il commando
uccide i cinque uomini della scorta. «Il più grave crimine politico degli
ultimi trent’anni mentre si chiudeva la crisi», sottolinea il Corriere della
Sera la mattina dopo. L’Italia vive ore drammatiche, ma «rifiuta il ricatto
delle Brigate rosse». Ecco la giornata, minuto per minuto.
Ore 8.55, via del Forte Trionfale 79. Moro esce di casa, un appartamento al
quarto piano di una palazzina alla Camilluccia: questa mattina deve andare alla Camera e poi all’università per la discussione di alcune tesi di laurea. La 130 blu lo aspetta di fronte
al giardino. Al volante l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci, 43 anni. Accanto a lui il maresciallo Oreste Leonardi, 51 anni, il caposcorta: da
quindici anni è l’ombra del leader dc, gli è accanto ovunque si rechi a Roma o
in Italia, in vacanza o all’università. Moro entra in macchina, siede sul sedile posteriore, la grossa Fiat
parte, seguita dall’Alfetta bianca degli altri uomini della scorta: il
vicebrigadiere Raffaele Iozzino, 25 anni, alla guida, il vicebrigadiere
Francesco Zizzi, 30, la guardia Giulio Rivera, 24, tutti della Pubblica
Sicurezza. [Andrea Purgatori-Giuliano Zincone, Cds 17/3/1978]
Ore 8.58. Moro ha cominciato a sfogliare i
giornali. Le due auto imboccano la via Trionfale e attraversano piazza Monte
Gaudio. Poco oltre, in via Mario Fani, quattro terroristi travestiti da
aviatori, i mitra nascosti in buste di plastica, aspettano il loro arrivo
dietro le piante che circondano un bar chiuso per fallimento. All’angolo con
via Stresa di solito c’è un fioraio. Non oggi: nella notte i terroristi hanno
messo fuori uso il suo furgone bucandogli tutt’e quattro le gomme.
[Purgatori-Zincone, Cds 17/3/1978]
Ore 9.03, via Mario Fani. Moro e la sua scorta sono a metà della
via. Una 128 bianca con targa Corpo diplomatico supera le due auto e all’incrocio
con via Stresa frena di colpo. L’Alfetta della scorta tampona la 130. Una 132
blu metallizzato si affianca: a bordo altri due terroristi, un uomo e una donna
bionda.
Ore 9.04, via Fani. I quattro brigatisti con la divisa da
aviatori sparano raffiche di mitra contro l’Alfetta: Rivera muore subito,
Zizzi è ferito in modo grave, Iozzino riesce a scendere e a sparare tre colpi di
pistola, poi viene ucciso da una pallottola che lo colpisce in mezzo alla
fronte. Dalla 128 sono scesi due brigatisti armati di pistola. Raggiungono la
130, uccidono Ricci e Leonardi. Altri due uomini del commando puntano le armi
contro porte e finestre delle case vicine. La donna sorveglia tutto ma non
spara. Moro è estratto a forza dalla macchina e trasferito sulla 132. L’auto parte
a tutta velocità per via Stresa, seguita da due 128 pronte dietro l’angolo.
[Purgatori-Zincone, Cds 17/3/1978]
• All’agguato partecipano i brigatisti: Franco Bonisoli, Raffaele Fiore, Valerio Morucci e Prospero Gallinari come componenti del gruppo di fuoco; Mario Moretti al volante della 128 con targa diplomatica; Barbara Balzerani nella parte bassa di via Fani, all’incrocio con via Stresa, a fermare il traffico; Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono con lo stesso compito nella parte alta della via; Rita Algranati, che deve segnalare l’arrivo delle due auto blu alzando il mazzo di fiori che ha in mano; Bruno Seghetti al volante dell’auto sulla quale Moro viene caricato dopo la sparatoria. Il leader e la mente organizzativa del gruppo è Moretti, che è anche il più vecchio: ha 32 anni. Balzerani ne ha 29, Morucci 28, Gallinari, Casimirri e Seghetti 27, Fiore 23, Bonisoli e Lojacono 22, Algranati 20. [Baldoni-Provvisionato 2009]
• «In tutto vengono sparati 97 colpi d’arma da fuoco (oltre ai due sparati da Iozzino), ma una sola arma, un mitra Fna 43, ne spara 49, più della metà. (...) A sparare, per loro stessa ammissione, furono solo quattro terroristi (Gallinari, Morucci, Fiore e Bonisoli) e a tutti il mitra s’inceppò “subito”, “quasi subito” o dopo aver sparato “mezza raffica”, tanto che tutti indistintamente dovettero impugnare la seconda arma, una pistola, che avevano con loro». [Baldoni-Provvisionato 2009] Altre armi usate nell’agguato: una Beretta 51 calibro 7,65, una Browning Hp calibro 9, un secondo Fna 43 modello B. [Bianconi 2008]
• Resta il mistero di una moto Honda con in sella due uomini presente, secondo tre testimoni, sul luogo della strage. Uno dei testimoni, Alessandro Marini, si era visto addirittura sparare una raffica di mitra contro il motorino dall’uomo seduto sul sellino posteriore. I brigatisti però negano, tutti: non avevamo nessuna moto in via Fani. [Cds 16/3/1998]
Ore 9.05. Nella sala operativa della questura di Roma arriva la prima telefonata al 113: un anonimo avverte che in via Fani «si sono uditi diversi colpi di arma da fuoco». Un minuto più tardi una chiamata più precisa: «Hanno rapito l’onorevole Moro». [Bianconi 2008]
Ore 9.10, via Licinio Calvo. I terroristi abbandonano la 132. Poco
distante, a Forte Braschi, si liberano anche di una delle 128. Sono le loro
ultime tracce.
Ore 9.15, via Fani. Sono arrivate le prime pattuglie. La scena
è questa: Ricci, raggiunto da sette colpi, accasciato sul volante della 130 con
tre fori visibili alla base della nuca. Leonardi, centrato da sette proiettili,
due dei quali mortali, scivolato a terra. Rivera, raggiunto da otto colpi a
raffica, quasi tutti mortali, caduto di fianco, sotto i comandi dell’Alfetta,
Iozzino centrato da cinque pallottole steso
sull’asfalto, le braccia spalancate, la Beretta a un palmo.
L’auto della scorta
è crivellata dalle raffiche, della macchina di Moro sono infranti solo i
finestrini anteriori. Sull’asfalto decine di bossoli, le borse usate dai
terroristi, un cappello da aviatore, un paio di baffi finti. Qualche proiettile
è entrato anche nelle case. [Cds 18/3/1978]
Ore 9.15 circa, palazzo Chigi. Il presidente del Consiglio Andreotti riceve la notizia mentre stanno giurando i sottosegretari del suo nuovo governo. Poco dopo arrivano il segretario della Dc Benigno Zaccagnini e poi quello del Pci Enrico Berlinguer. I tre si chiudono nello studio di Andreotti. È del segretario comunista l’iniziativa espressa davanti a tutti di un dibattito rapidissimo con voto in giornata perché, sottolinea Berlinguer, «è necessario che il governo abbia piena legittimità per agire». [Lietta Tornabuoni, Cds 7/5/1978]
Ore 9.20 circa. Padre Quirino Di Santo, parroco nella
chiesa di San Francesco, avverte Eleonora Moro del rapimento del marito. La
signora è in parrocchia, come tutti i giovedì mattina, per incontrare le madri
dei ragazzi a cui fa catechesi nel pomeriggio. Reazione di grande forza
d’animo: all’autista sconvolto dice con grande serenità: «Calma, figliolo, il
Signore è grande, ci aiuterà». [Walter Tobagi, Cds 18/3/1978]
Ore 9.20. Radiodue interrompe un programma musicale
con Peppino Gagliardi e dà all’Italia la notizia del rapimento di Moro. Anche i
quindici brigatisti (tra i quali Renato Curcio) in carcere a Torino apprendono
la notizia dalla radio. «Senza sorpresa», dice una fonte al Corriere. «Ma sono
rimasti tutti compassati. Solo qualcuno ha alzato il pugno in segno di saluto».
[Arnaldo Giuliani, Cds 17/3/1978]
Ore 9.58. Prima edizione straordinaria del Tg1
con l’annuncio dell’agguato a Moro e della morte di quattro componenti della
sua scorta. [Cds 18/3/1978]
Ore 10, Camera dei deputati. Assemblea convocata per il dibattito e
il voto di fiducia al governo. La seduta, fissata per quest’ora, viene
rinviata.
Ore 10.10. Telefonata alla sede romana dell’Ansa:
«Questa mattina abbiamo sequestrato il presidente della Dc Moro ed eliminato la
sua guardia del corpo “teste di cuoio” di Cossiga. Brigate rosse».
Ore 10.40, Palazzo Chigi. Seduta straordinaria del Consiglio dei
ministri.
Ore 10.45. Telefonata anonima a un quotidiano
genovese: il rapimento è opera delle Brigate rosse. Altri messaggi, non si sa
quanto attendibili, arrivano a Roma, Milano, Palermo, Napoli, Torino. Moro è
chiamato «servo dello stato», si parla di «attacco al cuore dello stato». Solo
uno dei comunicati, firmato Colonna armata Walter Alasia, detta le condizioni
dei terroristi: «La liberazione di tutti i compagni detenuti a Torino; la
liberazione dei compagni di Azione rivoluzionaria Angelo Monaco, Salvatore
Cinieri, Vito Messana, Sandro Meloni, il compagno Valitutti, i compagni
nappisti tutti quanti». [Purgatori-Zincone, Cds 17/3/1978]
Ore 11.07. Cgil, Cisl e Uil proclamano lo
sciopero generale in tutto il Paese, con inizio immediato e durata fino alla
mezzanotte, come primo atto di mobilitazione dei lavoratori per la difesa delle
libertà e delle istituzioni democratiche. Esclusi gli addetti al trasporto
pubblico (i treni si fermano solo per 15 minuti fra le 13 e le 17) e ai servizi
essenziali, gli ospedali e l’informazione. Chiudono i bar, si abbassano le
saracinesche di negozi e supermercati. Chiusi anche teatri, cinema, sale da
concerto. Manifestazioni e comizi in tutte le principali città: si calcola che
vi abbiano partecipato nel complesso almeno 15 milioni di lavoratori. A Roma,
nel pomeriggio, parlano in una piazza San Giovanni gremita i segretari
confederali Lama, Macario, Benvenuto.
Ore 11.37, palazzo del Quirinale. Il presidente della Repubblica
Giovanni Leone condanna il rapimento e il «barbaro eccidio», invitando gli
italiani a «non perdere la calma».
Ore 11.57. Il ministro dell’Interno Francesco
Cossiga, all’uscita dal Consiglio dei ministri, rivolge un appello a stampa e
televisione perché forniscano «una informazione precisa ed equilibrata per
darci la possibilità di gestire, nell’interesse dello Stato e della tutela
delle vite umane, questa grave crisi che il Paese attraversa».
Ore 12.05, Camera dei deputati. Il presidente del Pri, Ugo La Malfa,
prima di entrare in aula a Montecitorio: «I terroristi dichiarano guerra allo
Stato, lo Stato democratico deve rispondere con misure eccezionali di guerra.
Si accetta la sfida e si risponde adeguatamente. Se necessario, per i casi
specifici, anche ripristinando la pena di morte».
Ore 12.32, Policlinico Gemelli. L’intervento chirurgico non è servito: muore anche Francesco Zizzi, il vicebrigadiere di Ps rimasto gravemente ferito
nell’attentato.
Ore 12.40, Camera dei deputati. Il presidente Ingrao apre la seduta.
L’assemblea lo ascolta in piedi. Pochi minuti dopo Andreotti inizia il suo
discorso, breve, con cui comunica per grandi linee il programma di governo. I
deputati intervengono, uno per gruppo, per non più di trenta
minuti. E il
sequestro Moro resta al centro dei discorsi. La Malfa parla di leggi di
emergenza ma non di pena di morte. Il segretario del Psi, Bettino Craxi:
«Tentate l’impossibile per liberare Moro». Durissimo Enrico Berlinguer,
segretario del Pci: «Tutte le energie devono essere unite e raccolte perché
l’attacco eversivo sia respinto con il rigore e la fermezza necessari, non
perdendo la calma, ma anche adottando tutte le iniziative e le misure
opportune».
Ore 13.57, Camera dei deputati. Il segretario del Msi, Giorgio
Almirante, propone che il ministro dell’Interno dia immediatamente le
dimissioni e sia sostituito da un militare. E chiede che il Parlamento approvi
una legge speciale contro il terrorismo, comprendente la pena di morte per i
crimini particolarmente efferati.
Primo pomeriggio. A Roma quasi tutti i giornali escono
in edizione straordinaria, alcuni in due edizioni. L’Osservatore Romano dedica
l’intera prima pagina, fatto inconsueto, al rapimento di Moro. Per la prima
volta, inoltre, il foglio vaticano pubblica la fotografia di un cadavere,
quello di un uomo della scorta coperto da un lenzuolo.
Ore 15.44, Città del Vaticano. Il Papa condanna la «disumana ferocia
dell’attentato». In mattinata ha inviato un telegramma alla moglie di Moro,
Eleonora. Il Papa conosce e stima lo statista dc dai tempi della Fuci (1939).
Ore 15.45. Il Corriere parla con il sostituto
procuratore della Repubblica di Roma Luciano Infelisi, magistrato di turno al
momento del fatto. Infelisi è convinto che i brigatisti e Moro siano ancora in
città: «Anche adesso sono in azione. Tentano con falsi allarmi di sviare e
confondere i nostri movimenti». Ancora Infelisi: «Hanno sparato con un revolver
Nagant (l’arma dei brigatisti) e con una pistola russa Tokarev». [Ulderico
Munzi, Cds 17/3/1978]
Ore 17. Il capo della procura della Repubblica
di Roma Giovanni De Matteo, che ha assunto la direzione delle indagini, dice
che ogni uscita della città, anche il più sperduto sentiero che immette nella
campagna, è sotto il controllo di migliaia di agenti, carabinieri e guardie di
finanza. Il magistrato ha invitato la tv a trasmettere in tutti i notiziari le
foto di nove brigatisti rossi ricercati. [Munzi, Cds 17/3/1978]
Pomeriggio, via del Forte Trionfale. La moglie di Moro, Eleonora
Chiavarelli, che in mattinata è stata sul luogo del sequestro e della strage
degli agenti di scorta, ha un collasso sentendo alla radio la notizia, poi
smentita, che il cadavere dello statista dc sarebbe stato trovato in un’auto
abbandonata alla periferia di Roma.
Ore 18, Washington (12 locali). Il portavoce della Casa Bianca legge
ai giornalisti un messaggio inviato dal presidente americano Jimmy Carter al
presidente Leone. «Questo atto indegno colpisce tutti noi», scrive Carter. La
Tass, in un dispaccio del suo corrispondente da Roma, definisce il rapimento di
Moro «una nuova pericolosa provocazione delle forze reazionarie» e «banditi» i
suoi rapitori. In Germania si affaccia l’ipotesi, coltivata da qualcuno anche
in Italia, che abbiano agito anche terroristi tedeschi. Con le stesse modalità,
infatti, il 5 settembre 1977 a Colonia un commando della Frazione Armata Rossa
liquidò a raffiche di mitra tre funzionari di polizia e un autista e sequestrò
il presidente delle associazioni degli industriali, Hanns Martin Schleyer.
Ore 20 circa. Andreotti fa appello agli italiani
attraverso la radio e la tv, «una parola insieme di fermezza e di invito alla
calma».
Ore 20.40, Camera dei deputati. Fiducia lampo e a larghissima
maggioranza al quarto governo Andreotti: 545 i sì su 578 presenti. Sabato
scorso, 11 marzo, Andreotti aveva sciolto la riserva e presentato al capo dello
Stato l’elenco dei nuovi ministri, con due soli nomi nuovi (Scotti e Pastorino)
e otto spostamenti. Cossiga è rimasto agli Interni, Forlani agli Esteri,
Bonifacio alla Giustizia. [Cds 12/3/1978] Astenuti gli altoatesini, hanno
votato contro missini, liberali, radicali e Democrazia proletaria. «Le
interminabili discussioni sulla procedura per arrivare al voto, che hanno
dominato gran parte della crisi, si sono liquefatte di fronte a quelli che lo
stesso Andreotti ha definito “quesiti angosciosi”». [Luigi Bianchi, Cds
17/3/1978] «Non è coincidenza fortuita che sia stato rapito proprio Moro,
l’uomo che di più ha fatto per portare la Dc al primo accordo di unità
antifascista dalla liberazione ad oggi (...)». [leggi l’editoriale
dell’Avanti!]
Ore 21.30. A causa dello sciopero e delle
edizioni straordinarie dei telegiornali, comincia solo a quest’ora la prima
serata sulle due reti Rai. Il popolare quiz di Mike Bongiorno Scommettiamo? slitta a sabato, altri due
programmi cancellati.
Attentato alla democrazia
Rapire Moro per colpire l’accordo della Dc con le sinistre? L’editoriale dell’Avanti! del mattino dopo.
Fonti:
Corriere della Sera (Cds); Avanti! (Av.); Adalberto Baldoni - Sandro
Provvisionato, Anni di piombo,
Sperling & Kupfer, Milano 2009 (Baldoni-Provvisionato 2009); Giovanni Bianconi, Eseguendo la sentenza,
Einaudi, Torino 2008 (Bianconi 2008).