Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Presto Antonia Custra incontrerà Mario Ferrandi, l’uomo che le ha ucciso il padre.
• Di che stiamo parlando?
Di una vecchia storia impossibile da dimenticare. Ricorda la foto dell’autonomo che, il volto coperto dal passamontagna, spara a mani unite e ad altezza d’uomo in una via di Milano? la foto simbolo degli anni di piombo. Era il 14 maggio del 1977, di pomeriggio. Due giorni prima, a Roma, era stata ammazzata Giorgiana Masi, 19 anni. E 20 giorni prima le Brigate rosse avevano freddato il presidente degli avvocati torinesi, Fulvio Croce. Il terrore era tale che a Torino bisognò rinviare un processo ai brigatisti, perché non c’era nessuno disposto a far parte della giuria popolare. Del resto neanche un anno dopo ci sarà via Fani, l’eccidio dei cinque della scorta, il sequestro di Moro, la prigionia di 50 giorni, il massacro a colpi di mitra in via Caetani.
• Ferrandi... era uno di quelli?
14 maggio 1977, Milano, grande manifestazione che deve concludersi in piazza Duomo. Duemila autonomi si stanno attardando a San Vittore, gridano a favore dei carcerati e contro la repressione. In mezzo ci sono una ventina di compagni del collettivo Romana Vittoria, tutti armati. Arriva Oreste Scalzone: «Che fate qui? Tutti a piazza del Duomo!». I duemila si muovono. I venti del collettivo risalgono via Olona, con l’intenzione di imboccare via Carducci. Ma, in fondo a via De Amicis, vedono schierato il Terzo Celere. Si fermano di colpo e si schierano, nascondendosi dietro le automobili e tirando fuori le pistole. Uno di loro sale su un autobus, lo dirotta, lo fa mettere di traverso in modo che funga da barricata. Gli altri balzano fuori dai loro ripari, sparano ad altezza d’uomo e poi si riaccucciano dietro le macchine in sosta. Piovono da tutte le parti candelotti lacrimogeni e bombe molotov. Cinque fotografi, ignorati da tutti, stanno a loro volta nascosti per immortalare la scena. Uno di questi piglia Mameo, che sta davanti al 59 – una copistera (c’è ancora adesso) – e consegna alla storia la celebre foto. Mameo aveva una calibro 22 e quel pomeriggio non colpirà nessuno. Ma due anni dopo andrà ad ammazzare, insieme con Cesare Battisti – quello che sta in Brasile e che deve essere estradato – l’orefice Pier Luigi Torregiani in via Mercantini. Davanti a Memeo, sta Mario Ferrandi. stato fotografato anche lui e lo si vede, in un’immagine pubblicata dal Giornale, accovacciato dietro una macchina in sosta, l’arma in pugno. Nel gruppo di fuoco ci sono anche Enrico Pasini Gatti, Walter Azzolini, Marco Barbone, l’assassino di Walter Tobagi, che quel pomeriggio ferì gravemente l’edicolante Marzio Golinelli. E altri ancora. L’inferno dura un minuto, un minuto e mezzo. Gli autonomi hanno sparato ad altezza d’uomo, ma non sanno bene quello che hanno combinato. A sera, sentono alla televisione che un poliziotto è rimasto sul campo. Si chiama Antonio Custra, ha 25 anni. Colpito in testa. La moglie, incinta di quasi otto mesi, se n’è tornata al paese per partorire vicino ai genitori. Sono poveri del Sud, venuti a Milano da San Giorgio a Cremano, provincia di Napoli. Gente a cui l’ingresso in polizia era sembrato un terno al Lotto.
• Come si fa a sapere che l’assassino è proprio Ferrandi?
Il pomeriggio è stato ricostruito nel dettaglio dal giudice Salvini, dieci anni dopo. Quegli autonomi, quando non sono morti ammazzati, sono stati tutti presi e condannati. La moglie di Custra non è mai voluta rientrare a Milano, non è praticamente mai più uscita di casa. Si rifiuta da trent’anni di fare anche un piccolo viaggio fino a Napoli, di andare al cinema, di vedere un’amica. La figlia, Antonia, è cresciuta schiacciata dalla tragedia. Anoressica, bulimica, sola, disperata. Ha fatto la spazzina, poi l’hanno presa al ministero dell’Interno. Sabato scorso ha accettato di parlare con Stefano Zurlo, un bravo giornalista del Giornale. Gli ha detto di aver saputo da pochi giorni il nome dell’assassin Mario Ferrandi, detto Coniglio. «Finalmente ho un nome da odiare. Vorrei incontrarlo e dirgli che ha distrutto tre vita: papà, mamma, la mia».
• Ferrando le ha risposto?
L’altro ieri, sempre sul Giornale. un uomo di 51 anni, è stato in galera fino al ’91. Ha aiutato per cinque anni don Mazzi a liberare il parco Lambro dagli spacciatori. Ha telefonato a Zurlo, gli ha detto: «Sono pronto. terrificante, è uno schiaffo violentissimo, durissimo. Ma non voglio attenuarlo. Antonia Custra ha detto che vuole la faccia dell’assassino di suo padre per poterla odiare. Io gliela consegno. Andrò da lei quando vorrà». Ha anche detto: «Portavamo le armi alle manifestazioni ed io ero il capo di quella struttura. Di quello che accadde porto tutta la responsabilità». Ha aggiunt «Sono pronto a rispondere a ogni domanda».
• Servirà a qualcosa?
E’ già servito. Antonia ha letto sul Giornale le parole di Ferrandi, parole da cui si capisce che anche a lui è passata la voglia di vivere, che anche lui si tiene su a forza di antidepressivi. Ha fatto sapere d’aver smesso tutt’a un tratto di odiare. Al Corriere della Sera, che l’ha chiamata, ha risposto così: «Siamo tutti e due vittime della stessa tragedia». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 18/5/2007]
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