Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Grillo e i grillini saranno a Genova domani per chiedere le dimissioni del sindaco Marco Doria. La cosa sta in piedi se non altro perché Marco Doria, uomo di Vendola, fece campagna elettorale contro l’ex sindaco Marta Vincenzi proprio speculando sull’allagamento del 2011. Lo stesso Doria (che forse non ne può più) ha detto peraltro di essere pronto, «se serve», a togliersi di mezzo.
• Non è di questo che dobbiamo parlare oggi, ma di Grillo e della tre giorni romana del Movimento 5 Stelle.
Ha ragione. Le dirò allora in poche parole quello che ho capito. La quasi inesistente affluenza del primo giorno ha fatto scrivere commenti troppo affrettati: sabato e domenica s’è vista parecchia folla al Circo Massimo di Roma e molto traffico in mezzo ai 199 (o 177?) gabbiotti bianchi disposti in forma di Italia. A parte la marcia su Genova di domani, i grillini sembrano pronti a piantare lì il Parlamento, non è chiaro se addirittura dimettendosi o solo disertando i lavori, prendendo cioè atto che Camera e Senato sono inutili. Questo passaggio dei discorsi del comico non va sottovalutato. Fassino ha detto a me alla radio e subito dopo a Cazzullo del Corriere della Sera che il Parlamento appare sempre più inadeguato al governo di una società moderna, in cui la rappresentanza non sembra più così importante e conta invece la capacità di decidere e di decidere rapidamente. La terribile sequenza di Genova mostra a che punto sia la nostra capacità di fare: praticamente a livello zero, e non nego che in questa ignavia entri anche la fiacchezza di politici a loro volta troppo burocratizzati.
• Grillo suona la sveglia?
Il nostro s’è perfino arrampicato a 25 metri, facendosi issare da una gru e arringando la folla da sotto le nuvole. Ha preso a parolacce i giornalisti, invocato l’intervento dell’esercito, implorato Renzi di metterci al più presto col culo per terra in modo da permettergli di costruirsi una scala di vittorie sulle sue macerie. E vuole fare il referendum sull’euro, «un milione di firme entro maggio». Il milione di firme potrebbe anche raccoglierlo (anzi, lo raccoglierà), il problema sarà poi il referendum in sé, che non abbia l’esito buffonesco di quello tentato dai veneti, credibile nelle prime ore e ridotto a carta straccia quando s’è andati a guardare un po’ meglio nel metodo.
• Anche se si organizzasse un referendum come Dio comanda e poi vincessero i sì, non è mica prevista dai trattati la possibilità di andarsene.
Ma la politica non può solo tenere conto dei trattati, e questo è l’enorme colpa del governatore Burlando, i cui discorsi di ieri mi sono sembrati semplicemente penosi. Il politico, se serve, attraversa a nuoto lo stretto di Messina o si arrampica in alto fino a 25 metri. Voglio dire: deve avere un obiettivo e lottare con tutte le sue forze per raggiungerlo. Se Grillo fosse al governo mollerebbe la Ue? Certo minaccerebbe l’uscita con una convinzione sufficiente a gettare tutti nello sgomento. Va a braccetto con Farage e Farage fa paura. Al tavolo si tratta meglio se quello che abbiamo di fronte è molto preoccupato. Lo dico senza minimamente sapere se lasciare la Ue sarebbe un vantaggio o no. Il grido grillesco di ieri, secondo cui tornando autonomi potremmo stamparci un po’ di lire e metterle in circolazione e far ripartire l’economia, non può essere creduto fino in fondo. Il sollievo a breve è assai probabile, ma alla lunga potremmo pargarla cara.
• E Di Maio? Doveva diventare il numero uno...
Prudentemente, il ragazzo (ha 28 anni), dopo aver cambiato il tema del discorso un paio di volte, ha detto: «Si è parlato di leadership, di incoronazione, voglio dirlo chiaramente: se volete cercare un leader andate alle feste dell’Unità. Qui siamo una comunità con tante teste pensanti, ma nessuna testa di legno». Grillo il primo giorno aveva detto: siamo un partito senza leader, ma con una base. A differenza del Pd, a suo dire partito senza base anche se con un leader. Questo non vuol dire che Di Maio non sarà candidato premier alle prossime elezioni.
• Come sono i sondaggi?
I sondaggi per Renzi si direbbero ottimi. Dopo la lieve flessione di un mese fa, il premier, stando almeno agli studi dell’Istituto Demos, è in risalita e si può supporre che, se si votasse ora, potrebbe prendere addirittura il 41%. Il Movimento 5 Stelle resta stabile tra il 20 e il 23%, dunque non è affatto in crisi come sostengono molti. Cresce anche la Lega, mentre Berlusconi sarebbe sceso al 15%. Ncd (cioè Alfano) e Udc (cioè Casini) veleggiano invece verso la sparizione. C’è in giro una grande simpatia, non si sa quanto convertibile in consenso elettorale, per Giorgia Meloni. Sarà bene prendere però con le molle le percentuali attribuite al Movimento 5 Stelle. Grillo, in campagna elettorale, è capace di exploit inverosimili.
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