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 2014  novembre 25 Martedì calendario

Elezioni, tutto sull’astensionismo alle regionali in Emila Romagna e Calabria

il Fatto Quotidiano

Un grazie particolare è dedicato al mio onorevole papà”. Lacrime agli occhi la signorina Flora Sculco festeggia la sua elezione (è l’unica donna) a consigliera regionale della Calabria. Oltre novemila cittadini hanno segnato il suo nome sulla scheda, in onore suo, ma in onore soprattutto del papà Enzo, mastodontico ex sindacalista della Cisl di Crotone, eletto pure lui alla Regione, ma ai tempi della Margherita rutelliana. Una brutta condanna a quattro anni per concussione ne interruppe la carriera politica. Lui fondò “I Demokratici” con la k e si impegnò per il centrodestra di Scopelliti. Ora è ritornato a casa con la lista “Calabria in rete” che ha sostenuto la marcia trionfale di Mario Oliverio (61,40% e 19 consiglieri su 30) alla conquista della poltrona di governatore e ha sistemato l’adorata figlia Flora. Era socialista nel 2005, passò a destra nel 2010, ci ha ripensato ed è tornato a sinistra quattro anni dopo: è Salvatore Magarò, ex consigliere regionale nelle fila di Peppe Scopelliti, omaggiato con l’inutile carica di presidente della Commissione antimafia, oggi batte le mani anche lui per Mario ‘o lupu Oliverio, e con 3166 preferenze torna al posto suo. C’è poco da analizzare, non disturbate sociologi e analisti dei flussi elettorali per capire perché solo il 44% dei calabresi domenica ha scelto di infilare la scheda nell’urna. Chiamatelo astensionismo, certo, ma della disperazione. Sentimento che spesso prende l’anima degli abitanti dello “sfasciume pendulo sul mare” (Giustino Fortunato nel 1904), già ampiamente descritto da uno sconfortato Corrado Alvaro, “la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”. Astenuti, quindi, perché disperati nel vedere le solite facce, i soliti ghigni indifferenti a scandali e inchieste giudiziarie, ritornare sul ponte di comando, saltare da un carro all’altro, purché a condurlo sia il vincitore. “È un giudizio moralistico che non condivido, se uno è impresentabile lo decide l’elettore, ma poi cosa vuol dire impresentabile?”, l’onorevole Enza Bruno Bossio, Pd, nella lunga notte dei festeggiamenti per Oliverio, ci ha spiegato la sua filosofia. Quindi inutile accanirsi con menate “moralistiche” sulla elezione di Tonino Scalzo. Già consigliere regionale Pd lo rieleggono con12631 voti, sette giorni dopo la candidatura è stato rinviato a giudizio insieme ad altre dieci persone per lo scandalo Arpacal, l’agenzia regionale per l’ambiente. E lasciamo in pace anche Michele Mirabello, sempre Pd, votato da 9795 calabresi che poco peso hanno dato alla richiesta di rinvio a giudizio perché coinvolto nell’inchiesta “Persefone” sulla sciagurata gestione di una società mista per la raccolta di rifiuti. Perché dalla parte del centrodestra non è che le cose vadano meglio. I calabresi, quelli che sono andati a votare, sono di bocca e animo buoni e hanno perdonato la marachella dell’onorevole Nazzareno Salerno. Una innocente mail inviata in qualità di ex assessore al lavoro ai “premiati”, 1600 giovani laureati in attesa di un lavoro. “Carissimo/a, alle elezioni del 23 novembre sarò di nuovo in campo… sono sicuro che, con il tuo voto, vorrai dare forza alla mia idea di portare i giovani a essere i protagonisti di un stagione in cui la prima fila è riservata a chi investe sulle proprie conoscenze…”. L’assessore, scoperto, si è poi scusato e i calabresi lo hanno premiato. Poco da dire sul ritorno in grande stile di Pino Gentile. A casa, insieme al fratello Tonino, che è senatore e come lui del Ncd di Angelino Alfano, sta ancora contando le 10609 schede con su impresso il suo nome. È di nuovo alla Regione, la famiglia è salva, Cosenza è sua, anche se il potere nella città dei Bruzi ora deve spartirlo con vecchi e nuovi potenti della politica. Tutti sul carro. Bastava sorbirsi il freddo della notte dello spoglio tra domenica e lunedì e le intemperanze contro il nostro giornale di una deputata del Pd, per assistere alla prima vittoria elettorale senza popolo. Le bandiere c’erano, l’entusiasmo pure, ma a prevalere era quello sguaiato del ceto politico. Quei praticoni che vivono all’ombra della Regione, quelli che quando la loro bandiera vince si sistemano i casi loro, quelli che basta con gli inutili moralismi. Quelli che hanno convinto metà dei calabresi a fottersene del voto e a rimanere a casa.
Enrico Fierro

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Il Fatto Quotidiano
“L’astensione è la vera vincitrice delle elezioni. Il partito di maggioranza relativa in questo Paese è il partito di chi si astiene o vota scheda bianca o nulla. Su questo tutti dobbiamo riflettere”. No, non è questo il commento di Matteo Renzi alle elezioni in Emilia Romagna e in Calabria, disertate rispettivamente dal 62,3 e dal 56,2% degli elettori (cioè, se valesse la regola referendaria del quorum, nulle). Quello era il commento alle regionali del marzo 2010, quando le vinse il Pd di Bersani. E non è nemmeno questo: “Chi gridasse al trionfo e stappasse champagne farebbe un errore: abbiamo vinto, però c’è stata un’astensione strabiliante che supera la maggioranza assoluta. E il Pd quasi dimezza i suoi voti sulle ultime regionali”. Qui Renzi parlava del voto in Sicilia dell’ottobre 2012. E non è neppure quest’altro: “Il Pd ha eletto tanti sindaci, ma un sacco di gente non è andata a votare e l’astensionismo fa paura: dobbiamo recuperarlo. Abbiamo fatto il sorpasso in retromarcia. C’è stata una altissima astensione; abbiamo perso meno degli altri, ma decine di migliaia voti sono andati via. Non è importante che poltrona occupi, ma avere idee. Mi piace la politica come passione e coinvolgimento, è il modo per dire alle persone che sono state a casa ‘venite a darci una mano’”. Qui Renzi si riferiva alle comunali del maggio 2013, vinte dal Pd di Epifani. No, il commento alla fuga dalle urne calabro-emiliano-romagnole è questo: “2-0 netto. La non grande affluenza è un elemento che deve preoccupare, ma è secondario. Checché se ne dica, oggi non tutti hanno perso: chi ha contestato le riforme può valutare il suo risultato. Negli ultimi 8 mesi ci sono state 5 elezioni regionali, che il mio partito ha vinto 5 a 0. Oggi una qualsiasi persona normale dovrebbe essere felice per questo”. Proprio quando l’astensionismo diventa il primo partito e prende la maggioranza assoluta, cambia nome: si chiama “non grande affluenza”. E cessa di essere un problema primario: diventa secondario. Cos’è cambiato da prima a dopo la cura? Che prima il Pd era in mano ad altri, ora è in mano a Renzi. Infatti non si chiama più Pd, ma “il mio partito”. Ed, essendo suo, non può sbagliare. Altrimenti sbaglierebbe Renzi, che invece – com’è noto – ha sempre ragione. Dunque, se gli elettori non votano, è colpa loro, non sua.
   La svolta anche semantica della Democrazia Renziana era già stata anticipata alle Europee di fine maggio, quando il Pd raccolse il 40,8% dei votanti, che però erano appena il 57,2% degli aventi diritto: ergo fu scelto da poco più del 25% degli elettori, con meno voti di quelli presi da Veltroni nel 2008 quando fu sconfitto da B. Pur chiamandola ancora astensione, Renzi si consolò col fatto che altrove s’era astenuta ancora più gente: “Abbiamo il primato come paese del numero di chi ha votato”. Ora che ha preso il 50-60% del 40%, gli manca anche la consolazione dei dannati e allora fa come i bambini: rimuove l’elemento negativo come “secondario”. E pazienza se il Pd, fra Emilia e Calabria, ha perso 769.336 voti da maggio e 322.504 dal 2009. Un bel paradosso, per un leader che ha sempre puntato tutto sul consenso popolare, dalle primarie al mitico Quarantunpercento. Ma c’è del metodo in questa follia. Mentre desertifica gli iscritti al Pd (il “mio partito” ne fa a meno) e diserta le piazze (ne fugge di continuo e sputtana chiunque – dai sindacati ai 5Stelle alla Lega – osi metterci piede), Renzi non fa altro che tentar di convincere gli elettori della loro inutilità: è andato al governo senza passare per le urne e vuole far nominare i deputati dai segretari di partito e i senatori dai consigli regionali. Gli elettori servivano alla retorica del sindaco d’Italia e delle primarie (solo le sue, però: quelle “aperte”, drogate dai votanti berlusconiani). Ora meno sono e meglio è: vedi mai che, una volta votato, pretendano di controllare che chi hanno eletto non faccia il contrario di quanto aveva promesso. Pussa via, rompicoglioni. Sempre in vista del traguardo finale: un solo elettore, Lui. Che si vota da solo e prende il 100 per cento.
Marco Travaglio


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Il Messaggero,
Diciamola tutta: in queste ore giornali e tv strabordano di elezioni regionali che in realtà sono state ignorate fino all’ultimo e di cui, in fondo, importa qualcosa solo ad una minoranza del Paese. «E sarà banale ma questa è una fortissima ragione della scarsa affluenza al voto», spiega subito Enzo Risso, direttore della SWG, davanti alle tabelle fresche fresche sui flussi di voto.
Che gli italiani fossero profondamente delusi dalle Regioni e dalla loro sciatta quanto superprivilegiata classe politica è ormai un dato acclarato, tanto che già nelle scorse tornate elettorali, sia in Sicilia che in Sardegna, i votanti erano scesi al di sotto del 50%. «Del resto, i dati sulla fiducia parlano chiaro – aggiunge Risso – Solo il 20% degli italiani si fida delle Regioni contro il 45% che dà credito ai Comuni».
Tutta questa premessa serve a spiegare la novità più clamorosa di queste elezioni: due emiliani su tre si sono tenuti alla larga dalle urne. Perché? Secondo l’Istituto Cattaneo di Bologna le risposte sono quattro: gli scandali che hanno coinvolto i consiglieri regionali; lo scontro Renzi-sindacati che ha demotivato una parte dell’elettorato Pd; l’incapacità di raccogliere ancora la rabbia da parte dei 5Stelle; lo scarso appeal del candidato del centro-destra. 
LA DOMANDA
SWG invece dettaglia il fenomeno così: «La delusione dell’elettorato – spiega Risso – non poteva non colpire il partitomassa che in Emilia è il Pd che vede ben 627 mila suoi elettori delle recenti europee, ovvero il 52%, scegliere il non voto. Ma l’astensione ha colpito ancora più duramente in percentuale i 5Stelle che hanno ceduto il 59% dei propri elettori al non voto. Mentre”solo” il 44% degli elettori di Forza Italia hanno ignorato le urne ma perché il 18%, cioè in ben 49.000, hanno deciso di votare per il Carroccio. Rispetto alle europee solo un elettore di FI su tre ha confermato il voto al partito».
E proprio il Carroccio rappresenta l’altro dato più interessante di questa tornata elettorale. «La Lega triplica i suoi voti raccogliendone 30.000 dal non voto; 35.000 dai 5Stelle; quasi 50.000 da Forza Italia e ben 36.000 dal Pd. Segno che ha fatto leva su temi sentiti nel profondo della società italiana come le contraddizioni sull’immigrazione», è l’analisi SWG. Sul tavolo però resta una domanda importante: nel crollo numerico del consenso Democrat quanto pesa il fattore”C” inteso come Cgil o Camusso? «Per rispondere compiutamente andrebbe fatta un’indagine ad hoc – si difende Risso – ma non mi nascondo dietro un dito e rispondo: poco». Perché? «Chi ha voluto punire il Pd renziano ha votato per i partiti a sinistra del Pd. Ma questo flusso è modesto, parliamo di 24.000 voti pari al 2% del totale. Secondo noi, il Pd ha raccolto pochi voti per tre motivi: non c’era il richiamo della foresta di un voto nazionale e quindi moltissimi elettori non hanno”sentito” la posta in gioco; poi le elezioni sono state anticipate a causa di dimissioni di un governatore del Pd; infine le inchieste sulle spese dei consiglieri regionali hanno disgustato moltissime persone. Quindi, secondo me, la punizione c’è ma è soprattutto verso la gestione regionale del Pd».
Secondo l’analisi di SWG la ragione per cui l’area a sinistra del Pd non capitalizza politicamente il malcontento sociale è chiara: non definisce un’idea credibilmente diversa di Paese da quella di Renzi e non ha leader. «Si tratta di una frangia di elettorato legato al percorso storico della metà degli anni Settanta. Una parte di elettori italiani, anche a destra, vota guardando al passato», chiosa Risso. 
E la Calabria? Qui invece le analisi si fanno più classiche. Sostanzialmente ha votato la stessa quota di elettorato che si era recata alle urne alle europee e il Pd è passato da forza d’opposizione a forza di governo coagulando, o per interesse o per opinione, vari spezzoni di elettorato. Non a caso qui i Democrat perdono solo 38.000 voti verso il non voto sui 268.000 raccolti alle Europee. Chi va malissimo sono i 5Stelle che lasciano sul terreno ben 131.000 voti sui 160.000 delle europee cedendono ben 30.000 all’area del centrosinistra. Campanello d’allarme anche per Forza Italia che perde 62.000 voti sui 147.000 delle Europee cedendone 18.000 ai Democrat. Che qui – in una Italia inquieta ma meno dinamica dell’Emilia – assumono il profilo di un partitone piglia tutto.
Diodato Pirone
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Il Sole 24 Ore
Non è mai successo in tutta la storia della Repubblica che si sia votato così poco in una regione italiana. È accaduto domenica in Emilia Romagna. Solo il 37,7% degli elettori si è recato alle urne. Percentuale simile a quella registrata alle elezioni di mid-term negli Usa (36,4%). È questo uno dei dati più significativi della tornata elettorale. Un calo dell’affluenza era atteso ma non in queste proporzioni. Tra le regionali del 2010 e quelle di domenica si è eclissato più di un milione di votanti in Emilia Romagna su circa tre milioni e mezzo.
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Corriere della Sera

Il picco di non voto nel paese di Bersani Record negativo di affluenza a Bettola, nel piacentino, paese natale dell’ex segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani: 23,3%, con un’astensione di quasi il 77%. A difendere i suoi concittadini, il sindaco Sandro Busca, eletto con una lista civica: «L’astensione è stata altissima, è vero, ma lo è stata anche a causa delle frane. Ha pesato sicuramente il forte dissesto del territorio: abbiamo strade distrutte e frazioni ancora semi-isolate, la gente fa fatica a muoversi».