La Gazzetta dello Sport, 21 settembre 2011
Ieri, in piena notte, Standard and Poor’s ha tagliato il rating dell’Italia da A+ a A (breve termine) e da A-1+ a A-1 (lungo termine), con outlook negativo
Ieri, in piena notte, Standard and Poor’s ha tagliato il rating dell’Italia da A+ a A (breve termine) e da A-1+ a A-1 (lungo termine), con outlook negativo. Outlook significa: prospettive per il futuro. Motivi: crescita indebolita, «la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all’interno del Parlamento continueranno probabilmente a limitare l’abilità dell’esecutivo a rispondere con decisione a un contesto macro-economico interno ed esterno difficile». La manovra è a parer loro poco soddisfacente, gli obiettivi fiscali che si propone di raggiungere improbabili. Berlusconi ha polemicamente commentato che le valutazioni di S&P sono politiche e influenzate dai giornali. La stessa agenzia, sorprendentemente, ha controreplicato al governo italiano che i suoi rating sono invece apolitici e si limitano a valutare il «rischio di credito».
• Che conseguenze può avere un giudizio
simile?
Forse niente, forse molto. Alla fine una qualche
influenza sui tassi d’interesse che paghiamo su Bot, Cct e Btp ci sarà. Ci sono
fondi d’investimento a cui è proibito comprare titoli che non abbiano almeno
una certa valutazione. Se ci sono meno compratori, i tassi d’interesse salgono
quasi per forza. Lei ha capito che il giudizio di un’agenzia di rating riguarda
le probabilità che il debito sia rimborsato? Se le probabilità scendono, scende
anche il rating. Si potrebbe anche dire che il rating (o giudizio) riguarda il
rischio di fallimento o default dell’emittente (in questo caso l’Italia).
• Chi ha ragione nella polemica tra
Berlusconi e S&P?
Anche Obama si arrabbiò quando S&P tolse la
tripla A agli Stati Uniti. Naturalmente è assurdo pensare che le agenzie di
rating – che ragionano su dimensione planetaria – diano i loro giudizi
basandosi su quello che scrivono i giornali. Non è escluso invece che vi siano
calcoli di politica generale. Le tre sorelle, cioè le tre agenzie che si
esercitano a dar voti, non sono certamente delle santarelline. Alla vigilia
della crisi del 2007-2008 avevano inzeppato di triple A cdo che avrebbe
impestato mezzo mondo e mandato all’aria Lehman. Sono poi in perenne conflitto
d’interesse: i loro giudizi si pagano ed è ovvio che in tante occasioni, e con
clienti importanti, i rating non dico che si falsifichino, ma che perlomeno si
aggiustino. Guardiamo anche ai padroni delle tre agenzie per renderci conto che
si tratta di combattenti del mercato per niente neutrali. Moody’s – l’agenzia
che ha rinviato di un mese la stangata su di noi – è per il 12,47% nelle mani
di Warren Buffet, il cosiddetto oracolo di Omaha, e per un altro 31,2%% in
quelle di McGraw Hill, che fa capo per il 29,69% a Capital World Investors,
Blackrock, State Street, Vanguard Group, T Rowe Price Associates. McGraw Hill è
poi la padrona di S&P, sicché le due agenzie americane fanno capo in
qualche modo allo stesso gruppo e possono benissimo giocare al poliziotto buono
e al poliziotto cattivo. La terza agenzia, Fitch, è francese per il 60%
(Fimalac) e americana per il 40 (Hearst) e non è quotata in borsa. Si sono
fatti la loro agenzia anche i cinesi, la Dagong, che giudica però solo i
prodotti finanziari interni.
• Che
convenienza avrebbero le agenzie a parlar male del debito italiano? Dove
starebbe la malizia politica?
Beh, è in corso una battaglia tra le valute, una
battaglia strana perché la posta in palio è il titolo di moneta più debole.
Svizzeri, giapponesi, americani, cinesi lottano disperatamente per tener basso
il valore di franco, yen, dollaro e yuan in modo da incoraggiare le
esportazioni. In questo quadro un default dell’euro manderebbe alle stelle il
valore della moneta tedesca (euro di serie A o marco che fosse) togliendola in
pratica dal campo di battaglia.
• Non ho capito perché.
Il cambio euro-dollaro oscilla oggi tra 1,35/1,40,
cioè per comprare un euro bisogna sborsare poco meno di un dollaro e mezzo.
Questa valutazione corrisponde a una moneta che rappresenta l’economia di
un’Europa corredata da tutte le sue debolezze, Portogallo Irlanda Italia Grecia
Spagna. Se i cinque piigs tornassero alle loro valute, ci vorrebbero
probabilmente due dollari per comprare un euro o un marco. I prezzi delle merci
tedesche sarebbero a quel punto troppo cari e la Germania, che vive di
esportazioni, avrebbe difficoltà serissime a vendere le sue cose all’estero. È
quello che si rifiutano di capire i cosiddetti falchi di Germania, cioè i
liberali massacrati ora alle elezioni di Berlino, lo Stark che si dimise una
settimana fa a mercati aperti, il vertice della Bundesbank.
• Notizie dalla Grecia?
Nessuna notizia. Non ci sono comunicati sul vertice
dell’altra notte tra Venizelos e i rappresentanti di Fmi, Bce, Ue. Non è un
buon segno. Se avessero deciso di concedere gli otto miliardi alla Grecia ce lo
avrebbero fatto sapere. Non vorrei trovarmi con qualche brutto annuncio a
mercati chiusi, cioè venerdì sera o sabato mattina
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 21 settembre 2011]