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 2010  gennaio 12 Martedì calendario

«Mio padre Craxi e quei fondi del Psi»

Corriere della Sera, 12 gennaio 2010

«Il tesoro di Craxi non è mai esistito. Mio padre è morto povero. Sbagliò a fidarsi». I ricordi di Stefania Craxi, figlia del leader del Psi morto nel 2000: «Il vero errore di Bettino? Non accorgersi di quanto fosse corrotto il partito. Il Pd rivedrà la sua posizione. Bersani venga ad Hammamet sulla tomba di papà, lo invito». «Eravamo soli in casa, io e lui. Si era alzato da tavola esclamando: “Di’ al tuo amico Boselli che noi socialisti non potremo mai andare con i comunisti”. Poi mi disse che sarebbe andato a dormire, e di preparargli un caffé. Lo trovai riverso sul letto: “Papà, non stai bene?”. Fu allora che rovesciò gli occhi».

Stefania Craxi parla senza lacrime né rabbia. «È cambiato tutto, lo so. Ad Hammamet verranno tre ministri importanti: Frattini, Sacconi, Brunetta. Milano e Roma avranno una via Craxi. Pure a sinistra qualcosa si muove. Ma vedo anche tornare le vecchie bugie. “Quando Craxi si beveva Milano”. “Il tesoro di Craxi”».

Solo bugie?
«Il tesoro di Craxi è una maxiballa. Non è mai esistito. Esisteva il “tesoro” del partito: i conti esteri del Psi. Mio padre non se n’era mai occupato. Dopo la morte di Vincenzo Balzamo, l’amministratore, la sua segreteria comunicò a Bettino i numeri di alcuni conti esteri del Psi, quelli che supponevano lui conoscesse: i conti del partito di Milano. Quindi solo una piccola parte del totale, visto che nel partito c’erano ras e correnti e ognuno badava a se stesso. Mio padre mandò la busta al nuovo segretario, Giorgio Benvenuto. Che gliela rimandò indietro. Lo stesso fece il successore di Benvenuto, Ottaviano Del Turco. A quel punto Craxi passò i riferimenti a persone di cui pensava di potersi fidare». Maurizio Raggio? «Raggio, e altri. Mal gliene incolse. Ma mio padre era un uomo solo. In quel clima di intimidazione, era facile commettere errori. E anche lui ne commise. Il finanziamento illegale genera corruzione; e il suo vero errore fu non accorgersi di quanto fosse cresciuto il livello di corruzione nel partito. Ma il finanziamento illegale non comincia certo con Craxi. Fino al 1957, il Psi era finanziato dai comunisti. Poi, quando Nenni rompe con Togliatti, attraverso l’allora amministratore Lami stringe un accordo con l’Eni. Poi, dal ‘63 in avanti, il Psi — allora amministrato da Talamone — viene finanziato dalle grandi aziende pubbliche, come la Dc. Nel ‘76 Craxi trova un sistema oliato da anni. Per lui il denaro era un’arma per la politica, anche per fronteggiare il Pci, finanziato da una potenza nemica. Non a caso, è morto povero». Povero? «A Milano stavamo in affitto; infatti non abbiamo più casa. Papà non ha mai chiesto un’auto alla prefettura: il sabato lo portava in giro Nicolino, un immigrato calabrese, con la macchina della mamma, che andava a fare la spesa in tram. Avevamo la cameriera a ore, non fissa: perché non chiedete a lei com’era il nostro tenore di vita? Il sabato sera in trattoria. D’estate ad Hammamet, quando non c’andava nessuno: il terreno della casa ci costò 500 lire l’ettaro».

E voi figli?
«Mio fratello e io siamo usciti di casa con i vestiti che avevamo addosso. Quel che ho, lo devo al lavoro mio e di mio marito: e ci sono stati anni in cui alla Rai non mi rispondevano al telefono e la banche ci ritiravano i fidi. Quanto a Bobo, ha il mutuo da pagare. Certo, a Milano il denaro girava. Nei famigerati Anni ’80 la gente usciva, andava al ristorante. La città spodestava Parigi come capitale della moda. Ma dov’è il vulnus democratico? L’economia italiana superava quella inglese e cresceva più di tutte in Europa. Sono andata a rileggermi la relazione dell’87 del governatore di Bankitalia, Ciampi, che definisce l’aumento del pil “il risultato ultimo dell’azione del governo Craxi”. Il debito pubblico è un’eredità del consociativismo Dc-Pci, non sua. Tra l’83 e l’87 il disavanzo primario scese dal 16,3% al 12,5: il debito aumentò per effetto degli interessi e dell’inflazione, che peraltro fu domata».

Restano le condanne.
«Due. Entrambe dichiarate illegittime dalla Corte di Strasburgo. Nel processo Eni-Sai, la posizione di mio padre fu stralciata insieme con quella di Aldo Molino, che mi disse testualmente: “Non capisco cosa c’entri Craxi con questo processo”. La condanna per la metro milanese fu bocciata dalla Cassazione in quanto “il principio del non poteva non sapere non può essere motivo di prova”. Non sta a Craxi dire il motivo per cui in seguito la condanna fu riconfermata. Voglio ricordare che con la metro di Milano si sono finanziati tutti i partiti. E anche la Curia».

La Curia? E in che modo?
«Nello stesso modo degli altri. Ci sono diverse testimonianze in merito».

Dice Stefania di essere convinta che «prima o poi il Pd rivedrà la sua posizione. I segni ci sono. Veltroni è venuto a un convegno della Fondazione Craxi a tessere le lodi della sua politica estera. D’Alema riconosce che i Ds sbagliarono a seguire l’ondata giustizialista. Eppure, in questi giorni il silenzio del Pd è imbarazzante. Chiedo a Bersani di romperlo. Faccia un gesto di coraggio. Venga ad Hammamet sulla tomba di mio padre. Lo invito. Lo aspetto. In fondo, Bettino è stato un grande leader della sinistra italiana ed europea».

Sua figlia però è sottosegretario nel governo Berlusconi.
«Berlusconi e mio padre hanno due profili molto diversi. Ma erano due innovatori, e sono stati combattuti dai conservatori. Scorra l’elenco degli avversari di Berlusconi: sono gli stessi di Craxi».

Berlusconi è alleato della Lega, il partito del cappio in Parlamento.
«La Lega urlava in piazza. Ma ha responsabilità molto meno gravi di chi manovrava le procure. La verità è che dalla disgrazia di mio padre hanno tentato di trarre profitto in molti. Anche tra i suoi compagni». Si riferisce a Martelli? «Non vorrei parlarne. Quando dice che “fu Craxi a tradire me” rasenta l’impudenza».

Amato?
«Ho un buon rapporto con Giuliano, ma non gli si può chiedere quel che non ha».

Violante?
«Da lui attendo delle scuse, per come descrisse la mia famiglia in quei giorni».

D’Alema?
«Deve ancora spiegare perché offrì a un “latitante” i funerali di Stato, e non la possibilità di farsi curare in patria».

Ma Berlusconi fece tutto il possibile per aiutarlo?
«Tra loro ci fu un’amicizia sincera. A parti invertite, mio padre avrebbe avuto il coraggio di prendere un aereo e andarlo a trovare. Lui non lo fece. Non dimentico però che i socialisti della sottomissione, che sono andati a sinistra, hanno fatto una triste fine, da ultimo Del Turco; nel governo Berlusconi occupano ministeri-chiave, e nessuno si definisce “ex socialista”. Tanto meno io, che mi ritengo una donna di sinistra».

Ad Hammamet, Stefania ritroverà memorie familiari, anche dolorose. «Con mio fratello Bobo non andiamo d’accordo, è vero. Ma è mio fratello. L’unico che ho. Vorrei che i giornali avessero almeno ora per noi il rispetto che non ebbero quando Bettino era vivo. Di lui ho un ricordo molto dolce. Non che in casa fosse meno brusco, anzi. Ma era sensibile, attento. Facile alla commozione. Quando andavamo a trovare la nonna al Musocco, ci portava sempre sulla tomba degli uomini di Salò: trovava vergognoso che non avessero nome, e lasciava fiori sulle uniche lapidi conosciute, quelle di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti. Era affascinato dalla storia da Mussolini, e un giorno a Dongo deponemmo fiori sotto la targa che ne ricorda la fucilazione, derubricandola a “fatto storico”: “Che ipocrisia”, commentò».

E le altre donne di suo padre?
«Da ragazza ne ero gelosissima. Da adulta ho capito che un matrimonio può contenere altri rapporti di affetto. Lui piaceva anche quand’era giovane; segno che il suo fascino non era legato solo al potere. Era facile da sedurre e difficile da tenere; mia madre ha saputo tenerlo, e io le invidio la capacità di perdonare».

Il clima è molto cambiato, riconosce Stefania. «Ma non dimentico la frase che mi disse mio padre al risveglio dall’operazione, un mese prima di morire: “Ho sognato che ero a Milano, in piazza Duomo”. Non dimentico che i miei figli, per portare un fiore sulla tomba del nonno, devono attraversare il mare. Quanto a me, mi piace ricordare un proverbio arabo: quel cucciolo è figlio di quel leone».

Aldo Cazzullo