Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 06 Sabato calendario

Ieri sera, poco prima delle 22.00, il governo ha varato un ”decreto legge interpretativo” in quattro articoli che potrebbe/dovrebbe rimettere in gioco sia la lista del Popolo della Libertà a Roma (elezioni regionali del Lazio) sia il listino collegato al nome di Roberto Formigoni, candidato presidente in Lombardia

Ieri sera, poco prima delle 22.00, il governo ha varato un ”decreto legge interpretativo” in quattro articoli che potrebbe/dovrebbe rimettere in gioco sia la lista del Popolo della Libertà a Roma (elezioni regionali del Lazio) sia il listino collegato al nome di Roberto Formigoni, candidato presidente in Lombardia. E, con Formigoni, riammetterebbe alla gara anche il Popolo della Libertà e la Lega, le cui liste erano collegate al nome di Formigoni ed erano decadute con lui.

Che cosa dice questo decreto interpretativo?
Primo: che i termini di presentazione delle liste si basino anche sul fatto che con qualsiasi mezzo si dimostri la circostanza che si era presenti nel luogo di consegna nei termini stabiliti dalla legge. Secondo: che la documentazione possa essere verificata anche in un secondo momento, per la parte che attiene ai timbri e alle vidimazioni. Terzo: che al Tar possano ricorrere le liste non ammesse, mentre per le liste ammesse contro le quali è stato fatto ricorso ci si può rivolgere al tribunale amministrativo solo dopo il voto. Quarto: il decreto si applica già alle prossime elezioni regionali. Ciascuno dei quattro punti si riferisce – e intende sanare – uno dei pasticci in corso. Primo punto: riuscendo a dimostrare “con qualsiasi mezzo” che Alfredo Milioni era nell’area prescritta del tribunale prima di mezzogiorno lo scorso sabato, si costringerà (forse) la Corte d’appello ad ammettere la lista del Pdl esclusa a Roma. Secondo: attraverso questa interpretazione, la lista che ha problemi solo con bolli e timbri deve intanto essere ammessa e ai timbri e ai bolli si penserà dopo. Il terzo punto intende parare una vecchia pronuncia del Consiglio di Stato che vieta al Tar di esaminare ricorsi in materia elettorale nel mese precedente le elezioni. Il quarto punto non ha bisogno di spiegazioni.

Funzionano questi rimedi?
Temo di no e mi pare difficile che il Presidente possa firmare, benché ieri pomeriggio sia stato tutto un discutere tra gli esperti del Quirinale e quelli di Palazzo Chigi per arrivare a un testo che, formalmente almeno, non presentasse problemi. Il Consiglio, che era stato convocato per le 18, è slittato poi alle 19,30 ed è effittvamente cominciato alle 21 e 10. Il testo è stato stilato in 35 minuti. Credo che il Capo dello Stato se lo terrà tutto oggi per decidere. Di Pietro reclama l’intervento dell’esercito, Bersani è contrarissimo, idem i radicali e la Bonino. Napolitano l’altra sera, di ritorno da Bruxelles, aveva chiesto un provvedimento condiviso. La condivisione non c’è per niente. E questo è il primo problema.

Ma c’è qualcosa che non va anche nelle quattro norme?
Intanto il “decreto interpretativo”, in quanto tale, non esiste. Il solo fatto di aver adoperato questa formula denuncia il carattere “innovativo” dell’iniziativa del governo. Ma il Capo dello Stato aveva raccomandato, l’altra sera, proprio di non varare norme “innovative”. In altri termini, Napolitano voleva che il decreto o il disegno di legge trovasse forza in un qualche precedente consolidato. Il provvedimento di ieri sera va in realtà considerato un normale decreto legge, a cui il governo può ricorrere in caso di necessità e urgenza (così la Costituzione). Ci sono, in questo caso, i requisiti di necessità e urgenza? molto difficile sostenerlo. Inoltre: la pronuncia del Parlamento del 1995, di cui abbiamo già parlato ieri, esclude che il governo possa legiferare sulle elezioni in corso. E infine esiste una legge – la 400 del 1988 (articolo 15) – che vieta al governo di intervenire sulla materia elettorale con un decreto legge. Ci sono poi considerazioni di merito.

Quali?
Che significa, relativamente al primo punto, che si può «testimoniare con qualsiasi mezzo»? Che basta una dichiarazione di un qualunque cittadino, magari passato per caso là nei pressi? Ma in ogni caso queste testimonianze non potranno essere valutate che dalla Corte d’Appello, la quale ha già escluso, relativamente alla lista Pdl romana, che vi fosse la presenza richiesta all’ora prevista del rappresentante del partito. E sono un pasticcio anche gli altri punti: se dopo le elezioni si scoprirà che i bolli quadrati dovevano esser tondi, si invaliderà tutto? Non ho l’impressione che Berlusconi l’abbia indovinata, neanche sul piano dell’astuzia.

Quindi?
Napolitano potrebbe non firmare. Ricadremmo nel conflitto istituzionale dei tempi di Eluana.

Cioè?
La firma del presidente della Repubblica è un atto dovuto qualunque cosa decreti il governo? O vi sono circostanze in cui il Capo dello Stato ha il diritto/dovere di non firmare? Nel braccio di ferro dell’anno scorso ebbe la meglio la tesi che il Presidente può, in certi casi, rifiutare la firma a un decreto. E senza firma, il decreto non è pubblicabile in Gazzetta. E se non si pubblica in Gazzetta non ha neanche forza di legge. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 6/3/2010]