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 2010  marzo 07 Domenica calendario

La firma che Napolitano ha apposto al decreto salva-lista dell’altra sera è talmente al limite che il Presidente della Repubblica ha deciso, a memoria nostra per la prima volta, di spiegarsi direttamente con i cittadini sul sito internet del Quirinale

La firma che Napolitano ha apposto al decreto salva-lista dell’altra sera è talmente al limite che il Presidente della Repubblica ha deciso, a memoria nostra per la prima volta, di spiegarsi direttamente con i cittadini sul sito internet del Quirinale. Intanto, manifestazioni si svolgevano in tutta Italia, organizzate dall’Italia dei Valori, dalle varie formazioni di sinistra non rappresentate in Parlamento e anche dal Pd, benché nel corso della giornata i vari esponenti del Partito democratico abbiano tenuto la difficile posizione di difendere Napolitano e attaccare il decreto (Di Pietro non ha risparmiato i toni e si è spinto fino al punto di invocare la messa in stato d’accusa del Capo dello Stato). Infine il Tar della Lombardia ha riammesso il listino di Formigoni, con questo reintegrando nella corsa regionale anche la Lega e il Pdl. Non si sa se i giudici milanesi abbiano tenuto conto o no delle interpretazioni autentiche suggerite nel contestato decreto legge. Il Tar del Lazio, relativamente alla difficile posizione della lista Pdl di quella Regione, mai presentata all’apposito ufficio del Tribunale, deciderà lunedì.

Cominciamo da Napolitano.
Sul sito del Quirinale sono apparse ieri pomeriggio due lettere. Una firmata da Alessandro Magni, l’altra da Maria Cristina Varenna. Un uomo e una donna, due cittadini qualunque. Magni chiedeva di non firmare il decreto «in quanto in un paese democratico le regole non possono essere cambiate in corso d’opera e a piacimento del governo». La signora Varenna, al contrario, reclamava «la possibilità di votare in Lombardia chi crediamo ci possa rappresentare». Il Presidente ha risposto ricordando che erano in gioco due interessi primari: «il rispetto delle norme» e «il diritto dei cittadini di scegliere». A tutela del primo interesse, il Capo dello Stato ha fatto sapere di aver respinto «in un teso incontro giovedì sera» una prima bozza di decreto preparata dal governo, ma di non aver trovato poi «evidenti vizi di costituzionalità» nel decreto di venerdì sera. Ha poi ribadito che la necessità di provvedere al secondo interesse era stata ribadita «anche da parte dei maggiori esponenti dell’opposizione che avevano dichiarato di non voler vincere “per abbandono dell’avversario” o “a tavolino”». Dissoltasi presto la speranza di un accordo tra governo, maggioranza e opposizione, non essendo stata indicata dall’opposizione una via alternativa a quella poi scelta e mancando il tempo per un provvedimento diverso dal decreto legge, il Quirinale ha imboccato la via indicata dal Consiglio dei Ministri. Infine: «La vicenda è stata molto spinosa, fonte di gravi contrasti e divisioni, e ha messo in evidenza l’acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali». Napolitano ha concluso invitando «i soggetti politici e istituzionali» a «non rivolgersi al Capo dello Stato con aspettative e pretese improprie».

Che succederà adesso?
Lo strascico politico di tutta la vicenda è grosso. Sia Di Pietro che il Partito democratico hanno indetto una grande manifestazione per sabato prossimo. Non è chiaro se i due partiti sfileranno insieme. Di Pietro e i suoi simpatizzanti hanno ieri adoperato toni contro il Quirinale che tutti gli esponenti del Pd (Bersani, D’Alema, Fassino, Veltroni) hanno respinto con sdegno.

Quali toni?
Di Pietro ha parlato di “sporca faccenda”, “decreto criminale” e di “insurrezione democratica” (il corteo di sabato prossimo), De Magistris di “massacro del diritto e della Costituzione”, Ferrero di «scempio», i radicali si sono chiesti «se sia possibile continuare a giocare con i bari», la Bonino ha più tardi fatto sapere di aver accarezzato l’idea di ritirarsi, ma di averla subito abbandonata, la Federazione della Sinistra ha annunciato con un manifesto «la scomparsa della democrazia», eccetera. Sarà difficile raffreddare i toni della campagna elettorale. Il moderato Bersani ha comunque annunciato «una mobilitazione generale mi auguro fino alla Corte costituzionale».

C’è un problema di Corte costituzionale?
Esterino Montino, vicepresidente della Regione Lazio, vuole sollevare conflitto di competenze davanti alla Consulta. Il senatore del Pd Stefano Ceccanti, illustre costituzionalista, ha detto: «E’ forte il rischio che questo decreto sia dichiarato anticostituzionale con l’effetto di inficiare anche il risultato delle imminenti elezioni amministrative».

Quindi, le polemiche continueranno?
Si annuncia una campagna elettorale infuocata. Girano sondaggi secondo cui Berlusconi avrebbe comunque perso almeno tre punti. E poi il pallino è sempre in mano ai giudici. E se lunedì la lista del Pdl a Roma non venisse comunque riammessa? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 7/3/2010]