il Fatto Quotidiano, 30 dicembre 2025
Dossena torna in “campo”: “Aiuto ex atleti in difficoltà”
La solitudine, il sentirsi inadeguati e, nella quasi totalità dei casi la depressione: al fischio finale di una carriera, sono i mostri con i quali devono confrontarsi gli ex atleti. La questione riguarda tutti, dai calciatori ai rappresentanti di discipline meno esposte alla luce dei riflettori. Ieri, oggi e domani: anche nel 2025, camminare verso il futuro può rappresentare un trauma per chi ha vissuto anni di gloria. La novità è rappresentata da un ente del terzo settore che si occuperà di ex sportivi che vivono momenti di disagio. Si chiama Special Team, il presidente Paolo Maldini e Giuseppe Dossena sono i promotori, insieme con Marcello Lippi e Andriy Shevchenko, ma in una riunione che si svolgerà il 14 gennaio 2026, entreranno nel consiglio direttivo Juri Chechi, Dino Meneghin, Elisa Di Francisca, Claudio Chiappucci, Francesca Piccinini, Oreste Perri, Michael Mair, Pasquale Gravina, Giampaolo Ricci e Alessandra Sensini.
Dossena, perché quest’attenzione per gli ex atleti?
Lo sport è una comunità e ogni comunità deve proteggere i più deboli. Abbiamo tracciato due strade: una si rivolge a chi ha bisogno di sostegno socio-sanitario, l’altra a chi deve esplorare il mondo del lavoro. In Italia, gli ex atleti sono utilizzati per tagliare i nastri e fare passerelle, ma non ci si pone mai la domanda sulle loro vite e sul loro futuro. Il passaggio dalla luce dei riflettori al buio è traumatico. C’è un diffuso senso di disagio e di inadeguatezza. Qualcuno viene assalito da brutti pensieri.
Nell’opinione comune, immaginare nel 2025 ex sportivi in difficoltà, con i guadagni che girano, riesce difficile.
Questo avviene perché si pensa solo ai calciatori, ma dobbiamo capire che ci sono discipline dove il denaro che circola è decisamente minore.
I pericoli ai quali va incontro l’ex atleta?
Il primo è chiudersi in casa e perdersi nel vuoto. Di fronte hai un muro e non sai come superarlo. Ti assale la depressione.
Il telefono che non squilla è simbolo della solitudine?
L’immagine rende bene l’idea: ricevevi cento chiamate al giorno e, all’improvviso, c’è il silenzio. Anche la perdita degli orari è un problema. La vita di un atleta è scandita da ritmi ben precisi. Cancellare bruscamente queste abitudini crea un senso di vuoto.
Uno dei mostri emersi negli ultimi anni è la ludopatia.
Il vizio del gioco c’è sempre stato, ma oggi rappresenta una tentazione più forte.
I matrimoni falliti sono un altro problema serio.
Sbagli un matrimonio, o un’amicizia, e ti ritrovi in difficoltà. Il problema non è solo economico, ma anche affettivo.
I procuratori non dovrebbero rappresentare un supporto?
Non tutti cercano di spremerti come un limone, ma la miglior rete di protezione è quella della famiglia. Io, per fortuna, non ho avuto problemi dopo il ritiro perché mi fu offerto il ruolo di dirigente nel settore giovanile della Lazio e avevo una laurea nel cassetto, ma gli affetti sono fondamentali.
Mai avuto un momento di vuoto?
Successe quando giocavo, nel Torino. Dopo un test del sangue, il medico mi disse che avevo contratto l’Aids. Trascorsi una settimana terribile, alla vigilia di una gara con la Nazionale, contro la Germania. Nelle controanalisi, emerse la verità: il responso del primo esame era stato errato. Quei giorni mi fecero riflettere.
Uno dei problemi degli ex atleti è la bassa scolarizzazione?
Rispetto ai miei tempi, il livello è migliorato, ma spesso si scelgono indirizzi che non aiutano a inserirsi nel mondo del lavoro. Nell’associazione ci occupiamo anche di questo: creare percorsi di riqualificazione.
C’è un senso di pudore nel confessare il disagio post carriera?
C’è pudore e c’è vergogna. Dobbiamo confrontarci anche con questa realtà. Abbiamo attivato un dialogo con il Coni, con Giovanni Malagò alla fine del suo mandato e ora con il suo successore, Luciano Bonfiglio. Abbiamo cercato di aprire altri canali: qualcuno si è reso disponibile, altri no.
Il problema di base che ostacola il futuro degli ex atleti?
Non viene percepito il valore assoluto del loro potenziale. Gli ex sportivi sono portatori di messaggi importanti anche sul piano culturale: individuazione degli obiettivi, programmazione, disciplina. Penso a quanto potrebbero dare al mondo della scuola, ma in generale all’economia e alla società nel suo complesso. Rappresentano un patrimonio non trascurabile: un museo a cielo aperto, un libro da tenere sul comodino. Anche gli ex atleti devono sicuramente svolgere la propria parte. Non si vive solo di passato, ma bisogna studiare e aggiornarsi per affrontare una nuova vita