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 2025  dicembre 30 Martedì calendario

I soldi di Hamas: 1 mld l’anno da tasse e fondi esteri. Anche con l’ok di Israele

Una quota per gli stipendi, una per i bisognosi e una per le armi. Per 15 anni l’economia di Hamas ha funzionato così, quasi alla luce del sole. E ha funzionato bene per l’organizzazione islamista, che governa Gaza dal 2007 e che nel 2014 è stata classificata da Forbes “il secondo gruppo terroristico più ricco al mondo”, dopo l’Isis. Da allora, e almeno fino al 7 ottobre 2023, gli analisti (in assenza di dati ufficiali) attribuiscono ad Hamas un fatturato di 1 miliardo di dollari annui. In rapida ripresa da quando è in corso il cessate il fuoco.
Almeno un terzo di questi fondi proviene dalle tasse riscosse a Gaza dall’amministrazione civile e dai balzelli imposti ai commercianti (sul mercato legale e nero). Il resto, centinaia di milioni all’anno, da finanziamenti di due Stati esteri, Iran e Qatar, e da una rete commerciale con un perno importante in Turchia. Secondo il Dipartimento di Stato Usa, al 2021 l’Iran forniva “fino a 100 milioni di dollari all’anno in aiuti combinati ai gruppi terroristici palestinesi, tra cui Hamas”. E lo farebbe dagli anni 90, dalla nascita di Hamas. Gli emiri del Qatar entrano nella partita più tardi: dal 2012, quando la leadership politica di Hamas si trasferisce a Doha (su spinta degli Usa) per via della guerra civile in Siria, e sono arrivati a far entrare nella Striscia 30 milioni al mese. A differenza di altre linee di credito, questa era coordinata con Israele, mentre al governo sedeva Benjamin Netanyahu.
Se qualcosa si sa dei flussi di denaro, poco si può dire del modo in cui i soldi sono stati usati. Nel 2023, funzionari di Hamas stimavano il costo degli stipendi della Striscia in 34,5 milioni di dollari all’anno. L’ala militare, secondo stime americane, assorbe “tra 100 e 300 milioni di dollari”. I proventi dovuti alle tasse, prima del 2023, sarebbero almeno 12 milioni di dollari al mese, 360 milioni l’anno. È stata breve, pare, la sortita nel mondo delle criptovalute: nel 2021 le entrate in Bitcoin per Hamas valevano circa 41 milioni annui, ma dopo il 7 ottobre 2023 Israele ha chiuso 190 conti su blockchain e prosciugato le fonti. A ciò si sarebbero aggiunti i soldi destinati alla beneficenza musulmana (Zakat) e umanitaria, che secondo Israele sarebbero regolarmente taglieggiati da Hamas a scopi militari.
Gran parte del denaro accumulato dall’organizzazione, tuttavia, sarebbe frutto di investimenti di imprese che operano in Paesi come l’Algeria, gli Stati del Golfo e, soprattutto, la Turchia (dove Hamas non è gruppo terroristico). Si parla di 500 milioni annui, secondo il Dipartimento di Stato Usa. La Turchia, marginale come finanziatore diretto, qui diventa centrale. Le banche turche (come l’istituto Kuveyt Turk) sono accusate di aiutare le imprese di Hamas a evadere le sanzioni e di custodire i denari del gruppo, il governo di Recep Tayyp Erdogan di distribuire passaporti facili. Hamas non è un’organizzazione terroristica per la Turchia, e quello a Istanbul è rimasto l’ultimo ufficio politico stabile.
Il Qatar è invece in assoluto il primo finanziatore dei palestinesi. Fino al 2023 ha inviato 1,5 miliardi all’Autorità palestinese, di cui un terzo per Gaza. Doha ha pagato gli stipendi dell’amministrazione civile dal 2018, dopo che l’Anp di Abu Mazen ha tagliato le linee di credito. Ed è noto che il governo Netanyahu l’ha incoraggiato, pretendendo anche che il finanziamento arrivasse in contanti. Il meccanismo lo ha svelato lo stesso Qatar: i fondi venivano trasferiti elettronicamente dal Qatar a Israele, poi funzionari israeliani e dell’Onu li infilavano in valigette e li portavano a mano oltre il valico di Rafah. I soldi venivano dati direttamente alle famiglie: ogni ricevente firmava un documento con nome e cognome e la somma versata, di cui venivano fatte tre copie: una per Gerusalemme, una per l’Onu e una per Doha.