Corriere della Sera, 30 dicembre 2025
La «formula» di Schumann
«Non credi, barone Walborn, che spesso la tua parola potrebbe essere la mia melodia e la mia melodia la tua parola?». Lo scrive E.T.A. Hoffmann nella raccolta Kreisleriana, ma potrebbe essere l’epigrafe del saggio che Elisabetta Pani dedica a Robert Schumann. Sottotitolo: Una musica letteraria (Florestano edizioni). Si tratta di un ampio studio centrato sul rapporto che lega l’opera del compositore alla frequentazione della letteratura, con l’intento di verificare quanto dello Schumann lettore, critico, scrittore sia confluito nella sua musica, conferendole la sua originalissima cifra.
Se si trattasse di un thriller sarebbe peccato mortale, ma vista la natura di questo libro, ci permettiamo di cominciare dalla fine: la tesi dell’autrice è che la letteratura sia per Schumann non una fonte di ispirazione, un serbatoio di parallelismi e risonanze, ma un fattore consustanziale all’atto del comporre. Pani si muove nel solco dell’intuizione che era stata già di Franz Liszt nel 1855: «Musica e letteratura sono state separate per secoli come da un muro (…) Schumann era originario di entrambi i “paesi” e ha aperto una breccia». Parlano in questo senso numerosissimi elementi, a partire dall’indecisione giovanile tra le ambizioni di poeta e quelle di musicista, in conflitto entrambe con gli studi di giurisprudenza, ma espressione di un’esitazione ancora più profonda sull’indirizzo da dare a una precoce e irruenta vocazione creativa.
Diciottenne, Robert scrive: «Tutto ciò che accade nel mondo mi colpisce, la politica, la letteratura, gli uomini – penso a tutto questo secondo la mia indole, ciò che poi si fa sentire attraverso la musica e vuole così cercare una via d’uscita. Per questo le mie opere sono così difficili da capire, perché sono connesse a interessi remoti, spesso significativi, perché tutto ciò che è strano del tempo mi afferra e poi devo esprimerlo musicalmente». Una straordinaria consapevolezza di sé e della sorgente della propria arte, da cui prende corpo il progetto del Dichtergarten, il «giardino dei poeti», che ambiva a raccogliere ogni riferimento alla musica nella letteratura di tutti i tempi, da Omero fino agli scrittori a lui contemporanei, anzitutto l’amato Jean Paul.
Per Schumann compositore, il riferimento letterario, implicito o esplicito che sia, non è mai richiamo banale, dichiarativo, a un libro o a un’atmosfera, ma totale immersione in uno stato d’animo, in una disposizione mentale. Non puro contenuto, ma narrazione che si «trasmuta» in un altro linguaggio, come se ne cambiasse gli elementi primi (dalle parole ai suoni) mantenendone inalterata l’intenzione espressiva. Siamo molto lontani dalla tradizionale musica descrittiva, o «a programma». Schumann cerca (e trova) una sintesi più profonda, significante, tra l’elemento extramusicale da cui si parte e la realizzazione musicale che ne deriva: questo rende la sua arte «letteraria» nel senso più autentico.
Prendiamo ad esempio Kreisleriana op. 16, il cui titolo rimanda all’omonima opera di Hoffmann, tratta dai Pezzi fantastici alla maniera di Callot pubblicati dallo scrittore tedesco fra il 1814 e il 1815. Protagonista è il maestro di cappella Johannes Kreisler, artista declassato, miserabile pagliaccio, costretto a una irriducibile estraneità rispetto a un tessuto sociale di cui non accetta le regole e l’imperante grettezza. La sua musica tende a un irraggiungibile infinito, condannandosi così all’incompiuto. Schumann fa rivivere questo personaggio componendo una «fantasia» nello stile di Kreisler: la frammentarietà, l’alternanza tra umori e modi diversi e contrastanti rinviano a una superiore unità, in cui l’immaginazione, finalmente libera da vincoli, trova nell’improvvisazione, nell’inesausto cercando, la sua coerenza di senso.
Schumann rompe le forme non per iconoclastia, ma per adesione a una «poetica» intensamente sentita: per questo gli è congeniale la formula elastica del ciclo per pianoforte, e quando si cimenterà con la dimensione più classica della sonata, ne farà piuttosto una fantasia.
La forza persuasiva dello studio di Elisabetta Pani sta nella solidità delle sue argomentazioni, ma anche nella passione che si percepisce a ogni riga, una passione coltivata con dedizione e costanza nella veste di pianista prima ancora che di studiosa. È passione per la musica di Schumann, ma anche per la tensione intellettuale e per l’energia coraggiosa che sostiene l’eccentricità di questo romantico tra i romantici, che ha combattuto anima e corpo la propria battaglia contro i filistei, contro una visione dell’arte come futile, accessorio gioco di società. Una battaglia che non si vince mai una volta per tutte, e fa parte di una guerra che non è certo finita con lui.