Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  dicembre 29 Lunedì calendario

Enrico Vanzina ricorda: Bardot «Diretta da mio padre, Steno, recitò nel film "Mio figlio Nerone"

Faccio parte di quell’esercito di ragazzi degli Anni 50 che scoprirono l’estasi ed il tormento provocati dalla bellezza femminile crescendo con gli occhi incollati alle fotografie e ai film di Brigitte Bardott. Tra questi ragazzi io fui molto fortunato perché nel 1955 la conobbi. Ci conoscemmo a Roma quando lei venne a girare un famoso film di mio padre Steno, “Mio figlio Nerone”. Era un film con un cast stellare: Alberto Sordi nel ruolo di Nerone, Vittorio De Sica in quello di Seneca e addirittura l’anziana regina di Hollywood, Gloria Swanson, come Agrippina, la madre di Nerone. Trattandosi di una coproduzione con la Francia, il produttore Franco Cristaldi aveva scelto Brigitte Bardot, giovane attrice ancora alle prime armi, per interpretare il ruolo di Poppea, l’amante di Nerone/Sordi. Io avevo sei anni e lei ventuno. Ma quando la vidi per la prima volta sul set rimasi accecato dalla sua bellezza. Mio fratello Carlo, invece, il quale aveva soltanto quattro anni, si innamorò perdutamente di lei.
Resta memorabile una sua battuta infantile pronunciata alla vigilia di Natale in casa di Gloria Swanson. La grande attrice ci aveva invitati per darci dei bellissimi regali: un elmo, una daga e una corazza da antichi romani, in tema con il film che era venuta a girare in Italia.
Io l’abbracciai, mentre Carlo non le disse nulla. Mamma lo pregò di ringraziare la signora Swanson, ma lui si attaccò alle sue gonne in assoluto silenzio. Intervenne Papà intimandogli di ringraziare Gloria. Carlo lo fissò quasi piagnucolante ed esclamò: “Voglio la Bardot!”. Aveva ragione. Brigitte era qualcosa di entusiasmante, di quasi irreale. Anche Papà la ricordava sempre con gli occhi che gli brillavano. Oltretutto era molto fiero perché era stato lui a volerla per la prima volta bionda in un film, azzeccando quello che sarebbe diventato il suo inconfondibile marchio di fabbrica: Brigitte diventò bionda a Cinecittà con Steno. Da quel lontano 1955, il mito di B.B. (altro marchio di fabbrica, così evocativo e Pop) mi ha accompagnato per tutta la vita. Ricordo quando a sedici anni partii per un viaggio che avevo programmato tutto l’inverno, destinazione Saint Tropez. Dove viveva lei. Che emozione quando mi ritrovai finalmente lì. La prima cosa che feci mi tolsi le scarpe e restai a piedi nudi, come faceva lei. Poi mi precipitai alla “Madrague”, la sua famosa villa sula mare dalla quale era partito il mito di “SainTrop” come dicevano i francesi. Rimasi diverse ore invano, fuori dal cancello, sognando di vederla. E fu lì che mi resi conto di amarla alla follia. E come me l’amava una intera generazione di miei coetanei.
Perché lei era diversa dalle altre, ribelle, anticonformista, speciale in tutto e per tutto. Io l’amavo a tal punto che non ero nemmeno geloso dei suoi tanti uomini. Anzi li ammiravo per il fatto stesso di aver potuto condividere momenti d’amore con lei. Mi stava simpatico Roger Vadim (in realtà non lo era), Trintignant (che invece lo era), Sami Frey, Jacques Charrier, Gunther Sachs, Bob Zaguri e soprattutto Gigi Rizzi. Il suo flirt con Brigitte mi entusiasmò in maniera nazionalistica, come se avessi fatto il tifo per la nazionale: un italiano che conquista Brigitte Bardot, che eroe! Anni dopo venni a sapere che aveva avuto una storiella anche con Raf Vallone. Lui abitava vicino a casa mia ma non ebbi mai il coraggio di chiedergli come era andata. Comunque, applausi anche a lui.

Lo dico sinceramente perché Brigitte era una Dea. Era lei a scegliere gli uomini, a stregarli, a farli suoi. E come li prendeva, li lasciava. È stata sempre l’immagine dell’indipendenza femminile. Talvolta scomoda. Non avere paura della solitudine. A un certo punto dedicarsi agli animali. Vivere con loro. Brigitte era un’altra categoria. In un cinema di sinistra non ha mai avuto paura di dire che era di destra (in realtà è stata una fervente Gollista). Conscia di essere stata un modello planetario di bellezza, quando la sua bellezza è sfiorita, senza rimpiangerla, non si è mai rivolta ad un chirurgo estetico, come per dire: Brigitte Bardot non si può “rifare”. Eppure, senza di lei non esisterebbe la “nouvelle vague”, non sarebbe esploso nel mondo il fenomeno del grande cinema francese del dopoguerra. Indimenticabile insieme a Jean Gabin, a Belmondo, a Jeanne Moreau, al suo grande amico Alain Delon. Modello per i fumetti, parola chiave di tante canzoni, ispiratrice della moda, faro per i grandi artisti (tra tutti Andy Warhol).
Icona eterna della voglia di vivere seguendo l’istinto, pagando debolezze e contraddizioni, ma sempre alla ricerca della libertà. Che ci ha contagiati, liberandoci da mille pregiudizi e dall’orrore dei falsi moralismi. Addio mia, nostra Brigitte. Qui sulla terra hai brillato per novant’anni come una stella, una “star” (come forse solo Marilyn Monroe.) Adesso volerai in cielo e lì diventerai una stella eterna, una stella per sempre che continuerà ad illuminare il firmamento con la luce accecante della tua bellezza ribelle.