La Stampa, 29 dicembre 2025
L’anno del risiko
Il 2025 ha ridisegnato in profondità gli equilibri della finanza italiana. Spostando il baricentro del capitalismo italiano da Milano a Roma. Perno del cambiamento è stato il Monte dei Paschi di Siena, ma fin dall’inizio del risiko il bersaglio grosso era Generali, attraverso la conquista di Mediobanca. Soprattutto dopo che a gennaio l’amministratore delegato del Leone, Philippe Donnet annuncia il piano per creare una joint venture con i francesi di Natixis per dare vita a un colosso del risparmio gestito: un piano sostenuto dall’ex ad di Piazzetta Cuccia Alberto Nagel, ma su cui c’è il veto silenzioso del governo.
Ma per capire cosa è successo, bisogna riavvolgere il nastro. E tornare al Monte dei Paschi di Siena, la banca simbolo delle crisi passate, che, risata dall’ad Luigi Lovaglio, torna al centro del gioco. A novembre 2024 il Tesoro colloca attraverso una procedura rapida il 15% del capitale: a rilevare le quote sono Francesco Gaetano Caltagirone, la Delfin della famiglia Del Vecchio e Banco Bpm: un segnale chiaro, politico e industriale. Almeno per Andrea Orcel che, pochi giorni dopo, si muove.
L’ad di Unicredit, che era già al lavoro sul complicato dossier tedesca Commerzbank (dove è salito a ridosso del 29%), lancia un’Ops senza premio su Banco Bpm. L’obiettivo è evidente: bloccare sul nascere il possibile matrimonio tra Bpm e Mps che avrebbe dato vita a un nuovo polo bancario sotto l’ombrello del Tesoro. È il primo atto di un risiko che nel 2025 diventa il vero motore della finanza italiana.
La situazione resta congelata fino a fine gennaio quando, a sorpresa, è Mps a rompere l’equilibrio. Chiusa da Unicredit la strada verso Banco Bpm, l’istituto guidato da Lovaglio annuncia un’Ops su Mediobanca, sostenuta apertamente dal Tesoro e dai suoi nuovi grandi azionisti, Caltagirone e Delfin. È una mossa che cambia completamente lo schema: è un attacco al cuore del capitalismo finanziario italiano. Un azzardo, per qualcuno. Un piano studiato dal 2022, per Lovaglio.
Alberto Nagel reagisce con durezza, ma si scopre solo. Parla di “concerto”, accusa Caltagirone e Delfin, azionisti di Mediobanca, di avere un unico vero obiettivo il controllo di Generali e rivendica l’autonomia e il ruolo storico di Piazzetta Cuccia. Nagel non ha dubbi: Caltagirone e Delfin, soci anche del Leone, puntano su Trieste, l’asset capace di spostare potere finanziario, relazioni industriali e influenza politica. D’altra parte, non si tratta solo del primo gruppo assicurativo del Paese, ma di una delle principali cassaforti del risparmio italiano, snodo centrale tra famiglie, mercato dei capitali e debito pubblico.
La battaglia si sposta rapidamente dai mercati alle assemblee. Lo scontro è frontale. Totale. Anche perché all’orizzonte non c’è alcun cavaliere bianco per Nagel.
Ad aprile arriva un altro passaggio chiave: il rinnovo del consiglio di amministrazione di Generali. Vince la lista di Mediobanca che dopo giorni tenta l’ultima carta con un’Ops su Banca Generali, nel tentativo di rafforzare la propria posizione, rendere più complessa la scalata di Mps e spezzare il vincolo con Generali: sul piatto, infatti, mette tutta la sua quota del Leone. Ma a inizio agosto l’assemblea dei soci di Mediobanca boccia l’operazione. È il segnale che gli equilibri sono ormai cambiati.
Da quel momento la strada per Mps è in discesa. L’Ops su Piazzetta Cuccia si chiude con la banca toscana che arriva a controllare l’86% del capitale. Il delisting viene messo in calendario per il 2026, sancendo la fine di Mediobanca come public company indipendente e aprendo una nuova fase per Generali.
Una svolta epocale, nella quale il ruolo del Tesoro è stato centrale. Non solo come azionista di Mps, ma come regista di una privatizzazione che aveva l’obiettivo di creare un nocciolo duro di azionisti italiani per sostenere la nascita di un terzo polo bancario. D’altra parte, per il governo, il risparmio degli italiani non è più soltanto materia di mercato, ma è una questione di sicurezza nazionale. E sono proprio i paletti sul risparmio a far naufragare l’Ops di Unicredit su Banco Bpm: il Golden power imposto dall’esecutivo – su cui ha acceso un faro la Ue – è troppo duro e presenta troppe incertezze per Orcel che non ha altra scelta che ritirare l’offerta. Alimentando le speculazioni che il prossimo matrimonio sia proprio quello tra Mps e Banco Bpm.
Il finale dell’anno, però, getta un’ombra sul risiko. La procura apre un’indagine sul presunto concerto denunciato da Nagel. Tra gli indagati ci sono Caltagirone, Delfin e Lovaglio – che hanno espresso «piena fiducia» nella magistratura. Nel frattempo, gli equilibri di potere sono cambiati e il capitalismo italiano è entrato in una nuova fase, in cui banche, risparmio e assicurazioni sono considerati alla stregua di infrastrutture strategiche. —