la Repubblica, 29 dicembre 2025
Intervista ad Alice De André
Alice non canta De André: lo mette in chiaro fin dal titolo del suo prossimo tour teatrale, da Milano a febbraio, che lei, 26enne quarta figlia di Cristiano e nipote di Fabrizio, scrive, fa ridere (sabato ha debuttato in Sardegna all’Abbarì Festival di Bari Sardo con il chitarrista storico di Ligabue, Federico Poggipollini), conduce (Gli occhi del musicista dal 13 gennaio su Rai 2 con Enrico Ruggeri, “uomo molto intelligente e preparato, un altro nonno contastorie che è un piacere ascoltare”), insegna teatro ai ragazzi con spettro autistico (come il fratellastro) con cui dopo lo spettacolo Take me aut potrebbe allestire ora un Romeo e Giulietta in versione Asperger, parla nei reel col severo ritratto del nonno su Instagram. Ma cantare no, non se ne parla nemmeno, né ora né mai. “Di famiglia ho la passione per la Sardegna e per l’alcol… – scherza -. Quando gli agenti ai provini da attrice mi dicevano ‘ok però se canti ti portiamo a Sanremo’, mi devastava. A Sanremo potrei andare solo a condurre. Neanche come ospite, perché sono una maniaca del controllo e invece mi piace il ruolo di chi mette un artista a suo agio”.
Più vantaggi o svantaggi da un cognome così pesante?
“Nessuno dei due, mio padre non è un nepotista, ho fatto tutto da sola. Magari il cognome aiuta ad aprire la porta, ma poi resta deluso chi si aspetta qualcosa di diverso. Il paragone con un genio è assurdo, eppure non cessa di esistere. È uno stimolo per ingegnarmi ad arrivare a essere riconosciuta come Alice e non più la figlia o nipote di. Lo spettacolo che ho scritto con Alessio Tagliento andrà in quel senso: sono la nipote di Faber, ma anche altro. Sono da sempre stata innamorata del teatro e di famiglia sono testarda quindi mi sono imposta, la musica è una grande passione ma cantare non è il mio. Mio padre mi ha anche chiesto se volessi fargli da corista, ma proprio no. Al massimo posso proporgli dei testi, da bambina glieli ho scritti in inglese. Voglio dimostrare di sapere stare comunque sul palcoscenico. Sarebbe una pazzia fingere di non essere una De André, oltretutto è un cognome talmente bello e non ci voglio rinunciare”.
Lei vive tra Milano e la Sardegna, dov’è nata a Tempio Pausania, nella tenuta dell’Agnata, cinque mesi dopo la scomparsa del nonno.
“Ha solo fatto in tempo ad accarezzare il pancione di mia madre. All’Agnata ho vissuto i primi tre anni della mia vita e ci torno ogni anno perché lì sento un legame diretto col nonno. Sono venuta al mondo in un posto che lui amava come un ritiro, è come aver ereditato un addio. La vena malinconica è di famiglia. Lì respiro il più possibile l’aria del nonno, mi ci sento in contatto molto più che altrove. Così come nella casa di Portobello di Gallura dove Paolo Villaggio, Ugo Tognazzi e Walter Chiari creavano i loro personaggi col nonno”.
L’Agnata adesso è un resort meta di pellegrinaggio.
“Quando ero piccola era un agriturismo vero, con gli animali. Una volta un maiale, arrabbiato perché avevano ucciso la scrofa, scappò dalla porcilaia e si tuffò in piscina tra gli ospiti. Mio nonno lo aveva pensato così, oggi non possono neanche entrare i cani. È diventato un posto un po’ chic, molto lontano da quel che era e non so se a mio nonno sarebbe piaciuto che divenisse una specie di santuario. Era un essere umano. Questo fatto che si sentono in loop tutte le sue canzoni continuamente dopo un po’ ti viene da strapparti la faccia, si sarebbe annoiato anche lui. Dopo una settimana, i turisti vanno via a fondare un club contro De André”.
È stato anche un luogo di dolore, per la vostra famiglia.
“Dovevano rapire mio padre, insieme al nonno. Il piano era quello, ma lui non c’era e presero Dori. È un argomento che non tocchiamo mai in casa. Papà voleva parlare solo delle cose belle del passato. Pensa che in un bar in Sardegna un cameriere è venuto a dirmi ‘sai, mio nonno ha sequestrato il tuo’. Ed era anche un po’ fiero di questa cosa… È stato un po’ imbarazzante”.
Più difficile avere come padre Fabrizio o Cristiano?
“Credo Fabrizio, dai racconti che mi sono stati fatti. So che non è stato facile avere un genio di quel calibro come padre e avere a che fare anche col lato oscuro della genialità. Quando racconta del tour che fecero insieme ancora gli luccicano gli occhi. Per il nonno dargli la responsabilità degli arrangiamenti fu un gesto enorme. Cristiano è un musicista immenso, e un papà molto sensibile e presente così come è meravigliosa la mia mamma, Sabrina La Rosa, che ha studiato danza. Non sono mancate le difficoltà, da piccoli è tutto più complicato poi da grande riesci a capire le loro mancanze e ad accettarle nel momento in cui inizi a vederli non solo come genitori, ma anche come figli a loro volta che trasmettono quel che hanno ricevuto”.
Il De André che tutti conosciamo quanto è diverso dal Fabrizio che le hanno raccontato in famiglia?
“Mio padre mi dice che con me sarebbe stato un bravissimo nonno. Non lo saprò mai. Ognuno mette del suo, nel raccontarmelo, e io compongo un puzzle i cui pezzi però non si incastrano mai. Cerco allora la verità nelle sue canzoni e la trovo lì: il mio Faber non è tanto diverso dal vostro, perché si raccontava dentro quei versi ed era una Bocca di rosa, un amico fragile, un suonatore Jones…”.
Se fosse stata figlia di attori come avrebbe voluto chiamarsi?
“Mastroianni e Vitti”.
Scrittori?
“Sagàn e Bulgakov”.
Sportivi?
“Panatta. Simpaticissimo. Un nonno cui chiedere consigli”.
Com’è nata questa gag su Instagram dei dialoghi col nonno?
“Mio padre non sapeva dove piazzare questa gigantografia durante un trasloco e l’abbiamo presa noi anche se occupa mezza casa, così a volte durante le liti col mio fidanzato guardavamo il ritratto con quel suo sguardo severo aspettando che ci dicesse chi aveva ragione. E da lì è nata l’idea del confronto”.
E cosa gli avrebbe potuto insegnare lei?
“La leggerezza, ma poi non lo sono nemmeno io leggera. Lui era così avanti anche nello sguardo verso i giovani e verso il cambiamento. Aveva molta speranza nel futuro e continuo a imparare da lui. Vorrei tanto averlo vissuto almeno per un paio di giorni…”.
Cosa gli chiederebbe per prima cosa se lo avesse davvero davanti?
“Di leggere il testo del mio spettacolo”.
A quali comiche si ispira?
“Teresa Mannino, Anna Marchesini, Virginia Raffaele e Geppi Cucciari, che è un punto di riferimento: brillante, empatica, semplice. Le stand up comedian fanno ridere quando sono vere e non si nascondono dietro i soliti stereotipi: gli argomenti ormai si ripetono un po’ e trovo che sia uomini che donne non dovrebbero limitarsi a far ridere solo parlando di sesso. Nei miei pezzi racconto le cose che mi accadono”.
L’esperienza con i ragazzi autistici com’è nata?
“Il mio fratellastro Roberto con cui sono cresciuta, figlio del compagno della mamma, ha la sindrome di Asperger e da piccolina non capivo i suoi comportamenti. Mi sono diplomata in pedagogia teatrale e collaboro con l’associazione Scuola Futuro Lavoro per cercare di dar voce a chi purtroppo non ce l’ha, abituandoli a vedersi in altri contesti. Il tema ricorrente di famiglia è la bellezza della fragilità, non aver paura delle proprie paure, ogni sentimento va abbracciato e compreso, anche l’errore, per essere tutti più umani”.
I social non sono tanto umani.
“Li uso come una vetrina, senza fingere di essere quello che non sono, cercando un pubblico coerente col mio pensiero che venga a vedermi a teatro”.
Suo fratello, che non vuole recitare, cosa ha detto dello spettacolo?
“Carino. Ed è veramente il massimo che potesse dire: un grande successo”.