Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  dicembre 28 Domenica calendario

Panettone sotto l’albero... e in spiaggia a copacabana

Panettone a Natale, in estate, tutto l’anno, dolce e salato. Ormai è come Figaro, tutti lo vogliono, che sia artigianale o industriale, sotto l’albero con le candeline e la neve fuori; in spiaggia, sotto l’ombrellone al sole, con il gelato; al ristorante griffato dallo pastry chef.
E perché no, anche fatto in casa con la ricetta del ormai famoso panettone Marietta, ricetta 604 di Pellegrino Artusi, che così commenta: «la Marietta è una brava cuoca e tanto buona da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei. È un dolce che merita di essere raccomandato perché migliore assai del panettone di Milano, che si trova in commercio, e richiede poco impazzimento».
Chissà a chi faceva riferimento Artusi; pare non avesse visitato Milano e, dato che il suo famosissimo testo risale al 1891, in quell’epoca nella città meneghina pochi erano i produttori del panetun, forse la pasticceria confetteria Cova, che inizia l’attività nel 1817 o Paolo Biffi (fornitore assiduo di panettone della casa di Alessandro Manzoni e della seconda moglie Teresa Borri) o Marchesi o Baj o Le Quattro Marie (poi divenuta Tre Marie), non Angelo Motta, protagonista del grande successo del dolce, che comincia a produrre nel 1919 a soli 17 anni.

Di certo lo ha comunque assaggiato nella prima decade del’900 il padre della cucina futurista Marinetti che scrive dal carcere: «cara Nina mandami ogni giorno un panettone e tutti i giornali politici». Uno studioso, Guido Andrea Pautasso, ha poi rivelato nel suo «Panettone in velocità» che quei panettoni, amati da Marinetti fossero della pasticceria confetteria Giuseppe Baj che aveva sede in piazza Duomo, angolo Santa Redegonda.
Una passione condivisa anche dal futurista Fortunato Depero, che in un articolo (Zzzang Tumb Tumb Panetun) per l’amico tipografo Cavanna, invoca per gli studenti milanesi «il Panettone Gigante della bontà e della digestione per fugare la preistorica pastasciutta» e, cita anche il congresso dei Panettoni di Parigi.

È fuori di ogni discussione che il panettone Marietta ha fatto storia nella diffusione di questo dolce nelle case di migliaia di casalinghe, talebane del libro di Artusi, che non prevede l’utilizzo del lievito nella ricetta, divenuto negli anni un mantra di chi lo produce.
Ogni pasticciere ha il suo “lievito madre segreto”, lo protegge, lo tramanda nel tempo (anche oltre 40 anni), come Teresio Busnelli di Arluno (oggi pasticcieria Busnelli del figlio Andrea): frutto della sua esperienza, della sua tecnica (imparata da Angelo Motta), che lo aveva addirittura “battezzato” Gigi e, lo portava sempre con sé, anche in vacanza.
Il lievito madre è componente fondamentale per produrre un panettone di qualità. Si tratta di un impasto fermentato di acqua e farina, ricco di lieviti selvatici e batteri lattici, indispensabile per il panettone tradizionale per conferire sofficità, volume, aroma unico e, a prolungare la conservabilità del prodotto, attraverso lunghe lievitazioni (36-48 ore).
In Italia sovraintende l’Accademia dei maestri del lievito madre e del panettone artigianale, che non ammettono ai produttori, l’utilizzo di additivi chimici, conservanti e aromi artificiali.
Quando un panettone si può definire artigianale? Per definirlo tale non è sufficiente, come per il gelato, la scritta “artigianale” nell’insegna negozio, sia esso panetteria o pasticceria; artigiano è una valenza che riguarda l’organico e l’organizzazione produttiva.
Il panettone artigianale richiede l’utilizzo di lievito madre (non in polvere o liquido), almeno 36 ore di lavorazione, ingredienti freschi e nessun aroma artificiale e, last but not least, il rispetto del disciplinare spesso trascurato o non conosciuto.
Il disciplinare (22 luglio 2005, aggiornato 19 giugno 2017) prevede l’utilizzo di farina di frumento, zucchero, uova di gallina di categoria A, tuorlo d’uovo, uvetta, scorza di agrumi e candidi, in misura non inferiori al 20%; facoltativi il miele, burro cacao, aromi naturali ed emulsionanti (ahimè non specificati).
Anni fa il panetun era una rarità, diffuso a Milano e dintorni, visto come un prodotto statico, legato ad una ricetta standard. a un periodo dell’anno, poi nel tempo, grazie ad un manipolo di pasticcieri, di panettieri e di pizzaioli, è diventato anche oggetto di ricerca, sempre più iconico, sempre più evoluto.
Le cifre mostrano questa crescita negli ultimi 2 anni, con grande successo non solo in Italia (596 milioni di euro) ma all’estero (113 milioni di euro): Francia, Germania, Svizzera e Belgio, come principali mercati europei, mentre, oltre oceano spiccano Stati Uniti, Canada, Australia, Argentina, Brasile.
Nel paese del Carnevale di Rio la concorrenza non manca, anzi è presente il più grande produttore di panettone al mondo, Baudacco, con 80 milioni di pezzi, messi sul mercato nell’arco di tutto l’anno. Un antesignano della destagionalizzazione, soprattutto tenendo presente un paese caldo, come il Brasile.
La famiglia di Luigi Baudacco, fondatore dell’azienda è emigrata dal torinese negli anni’50, prima produttrice di dolci, poi specializzata nel panettone. Da tempo corrono voci di un possibile ingresso di Baudacco nel mercato italiano.
Non di meno importante è la storia di questo dolce in Perù, dove il pioniere è stato Pietro D’Onofrio, emigrato da Sessa Aurunca, prima gelataio con carrettino, conosciuto per il ricorso alla neve delle Ande per produrre le sue specialità, poi quale produttore di panettoni.
Attualmente l’azienda D’Onofrio, che ha come partner la multinazionale Nestlè, è leader, con circa 30 milioni di pezzi, in un mercato, dove il consumo tocca i 42 milioni di panettoni.
In Brasile, Perù, pure Argentina e Cile, gli italiani hanno portato la cultura del panettone, rendendolo il dolce delle ricorrenze, prodotto tutto l’anno, non solo a Natale.
Anche in Italia si comincia a produrlo e a mangiarlo fuori stagione e con nuove modalità di consumo (a colazione, a fette, salato).
Un sacrilegio per i tradizionalisti che nel Panettone identificano un simbolo delle feste natalizie.
Viene da chiedersi però quali siano i legami di questo dolce con il Natale. In realtà poche leggende, storyteller d’antan, quando non esistevano gli attuali mezzi di comunicazione pubblicitaria.
La più nota è la “Pan del Toni” story, di cui la versione più accreditata risale al 1495 a Milano, alla corte di Ludovico il Moro. Durante la Vigilia di Natale, un giovane sguattero di nome Toni, incaricato della preparazione del dolce, lo brucia e, per rimediare, propone un suo dolce fatto con avanzi di impasto, arricchito con uova, burro, canditi e uvetta.
Non di meno diffusa è la leggenda di Ughetto, il falconiere, innamorato di Adalgisa, che si fa assumere dal padre di lei, pasticciere, per inventare un nuovo dolce che possa conquistare l’amata e i milanesi. Impasta farina, uova, burro, miele e uva sultanina: così crea un panettone jn nuce.
Queste leggende più che convalidare un nesso con il Natale mi riportano al testo: «la tradizione inventata» di E. J. Hobsbawn e T. Ranger.
Ritengo si posa sostenere che più di una tradizione il panettone per Natale è una “consuetudine” secolare che, giustamente, vale la pena di consolidare e di sostenere; ma ciò non si scontra con un panettone dolce o salato tutto l’anno. Così è se mi piace!