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 2025  dicembre 28 Domenica calendario

Pane, nutellone e fantasia

Nella scena del Nutellone di Bianca, con cui Nanni Moretti realizza il sogno segreto degli italiani di tuffarsi nella più rivoluzionaria golosità del boom industriale, le fette di pane rustico quasi non si vedono. Eppure, senza di esse, l’estasi non è completa. È il 1984 e gli occhi dello spettatore sono puntati sulla nudità di Michele Apicella, coperta nelle pudenda dall’enorme barattolo, mentre armeggia con il coltello e spalma, soffiando disperazione a ogni morso. Lo stesso tipo di pane ha in mano l’operaio cui il Maresciallo Antonio Carotenuto-Vittorio De Sica passa accanto chiedendo con che cosa verrà condito: «Fantasia», risponde quello. È l’Italia del Dopoguerra che in Pane, amore e fantasia (1953) si accontenta di quello che può, mentre nel Paese già consumista di Bianca sfoga ansie e disagio esistenziale nel piacere materiale. Nel 2000 di Pane e Tulipani Silvio Soldini registra il bisogno di fuga nella società post industriale: il magnifico Bruno Ganz (Fernando) lascia sempre una fetta di pane a colazione a Licia Maglietta (Rosalba), che ricambia con fiori, spesso tulipani. Chi riesce a concedersi una seconda possibilità lo fa godendo di cose semplici, che riportano alla felicità persa. I tulipani, spiega Fernando, cameriere islandese in un piccolo ristorante italiano, non sono olandesi ma persiani. Non si sa se Soldini si sia ispirato e abbia, così, voluto fare un omaggio a Pane e fiore (1996) di Mohsen Makhmalbaf, dove il regista iraniano ritrova il poliziotto che aveva accoltellato due decenni prima, da ragazzo, quando militava contro il governo dello Scià. Qui il fiore è il simbolo della pace e il pane quello della lotta per liberare il popolo dalla fame e dall’oppressione.
Nel cinema italiano, dove la cucina regionale è un florilegio di varianti ed elaborazioni, il pane, anche quando trionfa nel titolo, non ha un posto di primo piano: è elemento imprescindibile e, come tale, poco celebrato. È, invece, un vero riferimento in quello americano, dove l’hamburger è il piatto nazionale. Davanti a un pastrami – pane di segale, farcito con punta di petto di manzo marinato, senape e cetriolini, must newyorchese di tradizione ebraica– si svolge la scena madre del cult Harry ti presento Sally (1989). Meg Ryan finge un orgasmo di fronte al panino al bacon di Billy Crystal per demolire le sue sicurezze virili. Sally mugula a voce sempre più alta, fermando le conversazioni degli altri avventori di Katz’s Delicatessen, ancora oggi luogo di peregrinazione cinematografica. Subito dopo, una signora si affretta a chiedere al cameriere: «Voglio quello che ha preso la signorina».
I sicari Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) e Vince Vega (John Travolta) di Pulp fiction (1994), entrando in casa di un debitore del boss della malavita Marcellus Wallace, trovano il giovane Brett (Frank Whaley) intento a mangiarsi un hamburger. «Ah! La base di una colazione nutriente», commenta Jules. Poi, però, vuole saperne di più. «Che tipo di hamburger?». «Cheeseburger», risponde quello terrorizzato. «No, no, no, no, no», mette le cose in chiaro Jules. «Dove lo hai preso? Da McDonald’s? Da Wendy’s? Da Jack in the Box?» e avvia una piccola dissertazione filosofica su peculiarità e differenze sostanziali delle catene di fast food, come base filosofica della cultura americana. «Da Big Kahuna Burger», risponde quello, sperando di placarlo. «Big Kahuna Burger... quella catena di hamburger hawaiana? Ho sentito dire che hanno degli hamburger molto gustosi. Io non li ho mai provati, come sono?» e addenta soddisfatto il panino di Brett, raccontando le privazioni cui lo sottopone il fidanzamento con una ragazza vegetariana. È la geniale impronta di Tarantino che condisce una violenza efferata, fatta di slang, nonchalance e granguignol spinto, con una chiacchiera da tè delle cinque. La sublimazione del B Movie da spazzatura in genere, iniziata già con le Iene (1992), si corona: la cultura televisiva è pronta per essere trasformata ed elaborata dal grande schermo.
Mentre vanno a spaccare un cranio o fare esplodere una testa, in auto, Vince e Jules continuano a disquisire: «La cosa divertente dell’Europa sono le piccole differenze – spiega Vince –. Laggiù hanno la stessa merda che abbiamo noi, solo che lì è un po’ diverso...» e ridacchia sulle sottigliezze un po’ snob con cui il Vecchio continente tiene a distinguersi. Per esempio, Parigi. «Come lo chiamano lì il Big Mac?», domanda Jules. «Le Big Mac», risponde Vince con accento francese. «E come lo chiamano il whopper (panino del Burger King n.d.r.)?», rilancia Jules. «Non lo so. Non sono mai stato da Burger King».
È, invece, il PB&J, Peanut Butter & Jelly americano, il panino con burro d’arachidi e marmellata, l’ultimo contatto con il reale di Bastian (Barret Oliver) ne La Storia Infinita, prima di essere risucchiato nel libro magico. È l’ancoraggio più dolce che un bambino, immerso nel pungente lutto materno, può scegliere prima di abbandonarsi alla fantasia. Il PB&J è il confort food che olia la potenza della lettura e dell’immaginazione, tramite cui Bastian riesce ad abitare una realtà dolorosa, senza abbandonarsi alla malattia della tristezza.
Per associazione fantasiosa con la pellicola del 1984 di Wolfgang Petersen, basata sul libro di Michael Ende, c’è poi la grande macchina che fa cadere hamburger dal cielo. È la migliore invenzione di Flint, protagonista del film di animazione Piovono polpette (2009), che cambia la vita di Shallow Marina, isola la cui economia era basata esclusivamente sulla lavorazione delle sardine.
Accanto all’hamburger, nella cultura doc a stelle e strisce c’è l’hot dog, il cibo portatile per eccellenza, lo street food più amato nella civiltà dove tutto è dinamico e corre veloce. L’hot dog, facile da addentare camminando, permette agli sceneggiatori lo sviluppo di un discorso o lo snodo della trama, mentre i chioschi che li vendono sono pittoresche cartoline delle grandi città Usa. Comprano e mangiano un hot dog nello stesso momento e nella stessa città, ma senza incrociarsi, Meryl Streep e Robert De Niro in Innamorarsi (1984). È uno dei tanti gesti che li accomuna verso un finale ineluttabile. L’hot dog è un cibo anche per supereroi: Peter Parker lo trangugia in una pausa da umano, mentre si trattiene dal trasformarsi nello Spider-Man 2 (2004) di Sam Raimi. Poiché l’attore, Tobey Maguire, è un vegetariano di lungo corso, i fan, in rete, notano che mastica solo pane, visto che la morsicata è troppo morbida. Lo fa sulle note di Raindrops keep falling on my head,mentre sente le sirene della polizia inseguire i criminali, forzandosi a non intervenire: ha deciso di abbandonare i panni dell’Uomo ragno.
Robert Redford se ne gusta uno per strada con Barbra Streisand in Come eravamo (1973) di Sydney Pollack. In divisa dell’esercito color cachi, si accompagna alla pasionaria comunista Katie dopo una notte d’amore. Stanno andando da un vecchio compagno di università che vota repubblicano. L’hot dog è il preludio dello showdown in cui Redford proverà a lasciare le proprie origini borghesi e a diventare uno scrittore.