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 2025  dicembre 28 Domenica calendario

Il pane del perdono fa da pranzo e da cena

«Si mangia poco, e parcamente, nei Promessi sposi. Il pane vi compare come elemento di base, fondativo, che spesso fa da pranzo e cena», scrive Ernesto Ferrero nel saggio La luna del Manzoni e altre storie di grano saraceno (2009).
Il pane è un elemento narrativo decisivo nei Promessi sposi e accompagna il libro dall’inizio alla fine, come presenza e come assenza. Il pane rappresenta il cibo essenziale, primario, indispensabile; è soprattutto di pane che vive l’uomo. E la carestia che colpisce la Lombardia, di cui padre Cristoforo è testimone e coscienza vigile, significa in primo luogo mancanza di pane, come mostra in modo eclatante la spettacolare «sedizione del giorno di San Martino e del seguente» che occupa passaggi centrali della trama manzoniana. «Quando s’ha a misurar il pane», replica con rassegnata mestizia Agnese a fra Galdino in giro per l’elemosina delle noci, «non si può allargar la mano per il resto».
Il pane è quindi necessità materiale a cui si tenta di rispondere con concretezza e utopia evangelica da un lato («i miracoli veri sono quando si moltiplicano pani e pesci e pile di vino, e la gente mangia gratis tutta insieme», sostiene Bianciardi nella Vita agra); dall’altro si utilizzano gli strumenti sovversivi della società, a cui Manzoni nipote dell’Illuminismo e prossimo alla Rivoluzione francese, non viene meno. «Pane e giustizia» è quello che si grida ed esige da più parti: perché senza pane non c’è giustizia. Il «pane della provvidenza» è anche quello conquistato dai furori popolari, perché si possa avere quel «pane a buon mercato; che è quello per cui ci siam mossi». Nel tumulto milanese del proditorio assalto al forno delle grucce Renzo Tramaglino si fa coinvolgere con accalorata ingenuità e da gregario vorrebbe diventare protagonista, ardito capopopolo (e come tale essere ammirato dalla folla, provare il brivido ubriacante del successo). Nel vasto e variegato concerto della rivolta le voci si susseguono confusamente, intrecciandosi e sovrapponendosi, alzando e vanificando le momentanee imprese dei tanti attori coinvolti.
Manzoni offre un quadro realistico e grottesco delle illusioni e dei disincanti, dal miraggio del «paese di cuccagna» alle manette «de’ birri». Renzo che «sgranocchia» con gusto il pane dopo la presa e il saccheggio del forno rinvia all’ignara e beata leggerezza con cui don Abbondio passeggiava «bel bello» per le campagne di Lecco recitando il breviario, prima del sinistro e diabolico incontro con i bravi. Per entrambi è un brutale e illuminante risveglio (e a Renzo non resterà che l’eredità del falso ma indicativo nome di Antonio Rivolta quando dovrà rifarsi un’identità fuggendo nella Repubblica di Venezia). Della sommossa del pane manzoniana fece una ripresa (anche parodica) Ippolito Nievo nel decimo capitolo delle Confessioni d’un italiano («Cittadini, – ripresi – voi volete la libertà; per conseguenza l’avrete. Quanto al pane e alla polenta io non posso darvene: se l’avessi vi inviterei tutti a pranzo ben volentieri. Ma c’è la Provvidenza che pensa a tutto: raccomandiamoci a lei!»).
L’altro e complementare pane (che lega l’intera durata del racconto, dai primi agli ultimi capitoli) è quello «del perdono», che si identifica con la vicenda personale di padre Cristoforo e quella collettiva del «sugo di tutta la storia». Il «pane del perdono» compare per la prima volta nel quarto capitolo del romanzo quando padre Cristoforo, giunto dalla famiglia dell’uomo che egli aveva ucciso in duello per chiedere scusa (ed essere umiliato), in realtà viene esaltato per il sincero e profondo pentimento. Invitato a partecipare al banchetto in onore della rinnovata conciliazione, padre Cristoforo oppone «una certa resistenza cordiale» e in segno di gratitudine accetta soltanto un pezzo di «pane, perché io possa dire d’aver goduto la sua carità, d’aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono». Nella commozione generale, il pane viene portato su un piatto d’argento e padre Cristoforo, «presolo e ringraziato, lo mise nella sporta».
Quel pezzo di pane ricompare nel diciannovesimo capitolo quando padre Cristoforo, per «provvedimento prudenziale» dei superiori, deve trasferirsi a Rimini: «andò nella sua cella, prese la sporta, vi ripose il breviario, il suo quaresimale, e il pane del perdono». Torna di nuovo, in una circostanza ancora più drammatica, quasi al termine della storia, nel trentaseiesimo capitolo. Nel lazzaretto di Milano, dopo avere imposto a Renzo il perdono per don Rodrigo morente, padre Cristoforo benedice i promessi sposi che si sono infine ritrovati e accomiatandoli consegna loro la propria eredità spirituale e materiale: «e qui levò dalla sporta una scatola d’un legno ordinario, ma tornita e lustrata con una certa finitezza cappuccinesca; e proseguì: “qui dentro c’è il resto di quel pane… il primo che ho chiesto per carità; quel pane, di cui avete sentito parlare! Lo lascio a voi altri: serbatelo; fatelo vedere ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto! e che preghino, anche loro, per il povero frate!”».
Nella chiusura del Sentiero dei nidi di ragno di Calvino, il piccolo Pin cammina per la campagna con il partigiano Cugino, l’«omone» e «il grande amico tanto cercato, quello che s’interessa dei nidi di ragni». Rassicurato e in pace, «Pin tiene la mano in quella soffice e calma del Cugino, in quella gran mano di pane».