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 2025  dicembre 28 Domenica calendario

L’alta società in posa per Beaton

Un elenco di definizioni per il leggendario fotografo inglese Cecil Beaton potrebbe essere infinito. Cultore maniacale della bellezza, dandy vizioso (oppio), bisessuale evasivo sulla sostanza delle sue pratiche amorose, snob sedotto da personalità stravaganti, calamita per individui baciati dal talento e dalla fama… Nato a Londra nel 1904 e morto nell’80, Cecil è scenografo e costumista per il teatro e per il cinema, ambito dove vince tre Oscar. Ma è soprattutto nell’arte della fotografia che svela un’unicità geniale, miscelando estro e classicismo, senso espressivo della luce e magia nel carpire l’anima dei soggetti. Dato che il suo obiettivo rende chiunque attraente o almeno interessante, è tampinato da star di Hollywood, scrittori illustri, pittori come Pablo Picasso, Francis Bacon e David Hockney, politici come Winston Churchill e teste coronate. Ritrae una bruttona come Gertrude Stein e un’abbagliante Marilyn Monroe, rendendole notevoli per ragioni differenti. Scruta i volti con una sorta di chiaroveggenza psicologica. 
Per molto tempo è il fotografo ufficiale dei reali inglesi e le riviste patinate fanno a gara per averlo. Collabora con Voguee stabilisce una solida amicizia con Wallis Simpson e l’ex re Edoardo VIII d’Inghilterra, che ha rinunciato al trono per amore. È un ottimo fotografo di guerra, assunto dal ministero dell’Informazione britannico per coprire i fronti del conflitto dal 1939 al 1945. 
Accanto a questo, Beaton non smette mai di scrivere tutto ciò che osserva e che gli accade, dimostrandosi un memorialista arguto e sottile. Come narratore ha il medesimo impulso del Cecil fotografo: inseguire la fugacità dell’essere per fissarla in quadri atemporali. Confessa d’aver riversato su carta una quantità immensa di appunti per gli stessi motivi che lo hanno spinto a scattare foto, «nel futile tentativo di preservare un attimo fuggente come una mosca nell’ambra». Dal 1922 al 1974 inzeppa di episodi, giudizi e gossip 145 diari, da cui ricava sei tomi usciti tra il ’61 e il ’78. Laura Grandi, traduttrice e curatrice della prima edizione italiana dei diari ora pubblicata da Neri Pozza, prende da quel vasto materiale una serie di testi dedicati specialmente agli incontri “straordinari” di Beaton, formando un volumone di 600 pagine intitolato Molto dipendeva dal futuro. 
I tagli all’opera originale sono cospicui e Grandi spiega, in una nota introduttiva, d’aver sacrificato «a malincuore» descrizioni di viaggi e l’attività del fotografo di guerra. Resta moltissimo altro, suddiviso in fasi distinte da aggettivi che ne indicano i climi: ci sono “gli anni erranti” della giovinezza (quando Cecil non esita a fare «scorpacciate di modelle»), “gli anni operosi” del lavoro frenetico, “gli anni inquieti” dell’inizio del tramonto e così via. 
Gli anni “felici” di Cecil, nella seconda metà dei Quaranta, sono segnati dalla sua relazione con Greta Garbo, a cui rimane legato a lungo benché in modo altalenante. Oppressa da una «tendenza morbosa» alla tristezza, l’attrice non rinuncia mai al suo partner stabile, George Schlee, detto “il piccolo uomo”, amministratore dell’esistenza della diva. Malgrado tale minacciosa presenza, Cecil e Greta camminano avvinghiati per le strade di Manhattan, si rincorrono in California, si baciano contemplando un panorama. Lei si fa carezzare le vertebre, gli riferisce le sue fisime sul cibo e si rivela al lettore come una noiosa bacchettona. Lui è estatico. Greta ha le stelle negli occhi, una risata che spezza il cuore, un’«incandescenza opalina» nella carnagione e l’odore fresco «del fieno appena tagliato». La coppia è lo spettacolo effimero di due narcisisti incapaci di slanci autenticamente passionali. 
In altre zone del racconto sfilano le escursioni di Beaton a Cap Ferrat e a Tangeri, le sue gite a Venezia e a Taormina, i soggiorni produttivi o debosciati a Los Angeles e a Parigi, le apparizioni di dame come la Regina Madre e la settantenne Marlene Dietrich ("bambola meccanica” che non lesina ammiccamenti) e di artisti come Jean Cocteau, sprofondato nell’oblio della droga «con le pupille dilatate degli sporgenti occhi da pesce». 
Di Picasso Cecil trova violente certe tele, occupate da «donne strabiche con tre nasi, lampadine elettriche o pesci in guisa di cappelli». Karen Blixen è «un ragno medioevale» e i Rolling Stones, conosciuti nei Sessanta, sono «zingari dell’aria assonnata». La pelle di Mick Jagger «è del bianco di un petto di pollo». 
Mae West, che fotografa nel ’69, si rimira allo specchio come in una fiaba, dichiarando a sé stessa: «Sei una regina». Di Truman Capote lo eccita l’intelligenza inesauribile («la sua mente è come un coltello: si apre un varco in ogni facciata»). Nei Settanta slitta nel rimpianto dei passati ardori: il mondo gli sembra divenuto grigio. Tuttavia spera in qualche sfavillìo che nell’avvenire lo sorprenda. «Molto dipendeva dal futuro» è la sua frase di commiato.