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 2025  dicembre 28 Domenica calendario

La rivincita del gioco da tavolo

Natale, suonerà un po’ banale, è il mio periodo preferito dell’anno. Sebbene io sia nata a Roma, la mia famiglia è tutta campana, e per le feste scendevamo sempre a Benevento, dove si trovava la gran parte dei miei parenti. Di quel periodo ho ricordi sovrapponibili a quelli di chiunque altro: le tavolate, le chiacchiere di vario genere, e in mezzo un ricordo vividissimo, tra i più belli della mia infanzia: io e i miei cugini che giocavamo a Hotel. 
Hotel è quella specie di Monopoli chic, in cui le casette in legno sono sostituite da lussuosi modellini in plastica e cartone di alberghi fighissimi: ci sono i grattacieli dell’ambitissimo President, le casette di paglia del Waikiki, la struttura curva del Boomerang, che, nonostante il suo aspetto da motel in tangenziale, può essere una buona testa di ponte per la scalata al settore alberghiero, e quindi alla vittoria della partita. Perché lo scopo del gioco è appunto far soldi con i suddetti hotel: chi guadagna di più, vince. 
A me già facevano impazzire i modellini dei vari hotel, ma soprattutto, per qualche ragione che ormai non saprei più neppure ricostruire, quando giocavamo a Hotel morivamo dalle risate. Mi sentivo letteralmente ubriaca di risate. Era una sensazione fantastica, probabilmente irripetibile, come tante cose dell’infanzia. Però, chissà, forse quel divertimento si può non dico replicare, ma magari rivivere in un’altra forma. E allora perché non dare a Natale una possibilità ai giochi da tavola? 
Cosa sia un gioco da tavolo, lo sappiamo un po’ tutti: è un’attività che coinvolge un certo numero di giocatori riuniti intorno a un cartellone sul quale spesso è tracciato un percorso da coprire, e sul quale ci si muove grazie a un elemento aleatorio, il tiro del dado. Non tutti i giochi da tavolo funzionano così, può non esserci una plancia, possono non esserci i dadi, ma il punto saldo è che si tratta di un’attività in cui un certo numero di persone riunite “fanno finta che” assieme. Col tempo, l’offerta si è estesa a dismisura, e per questo mi azzardo a proporvi una cosa insolita: Dixit, che piace molto ai più piccoli, ma è divertente anche per i grandi. 
Da un mazzo di carte, illustrato con disegni meravigliosi e molto immaginifici, il narratore pesca una carta coperta e le dà un titolo. Gli altri giocatori, dalle carte che hanno in mano, ne pescano un certo numero che secondo loro vanno bene per quel titolo specifico. Si mescolano assieme tutte le carte, e i giocatori devono indovinare qual è quella giusta. Lo scopo è dare titoli che possano essere capiti da un buon numero di giocatori, ma non da tutti, perché si guadagnano più punti quando solo alcuni azzeccano la carta giusta. Il meccanismo è semplice, i disegni straordinari, ed è divertente scoprire chi tra i giocatori ha gli immaginari più in sintonia. Ricordo che da piccola mia figlia e la sua migliore amica si intendevano alla perfezione tra loro, mentre noi grandi non riuscivamo a capire i riferimenti nei titoli che inventavano. 
Dixit ha una plancia, ma è già in parte un gioco di carte; perché, sì, esistono giochi con le carte che non usano né quelle francesi né quelle napoletane. Carte fatte ad hoc, per regole tutte diverse. Il mio preferito è a man bassa Munchkin. Siamo in un mondo fantasy – anche se col tempo sono fiorite innumerevoli espansioni un po’ su tutti i temi, da Star Wars al western – in chiave però parodistica. Ci sono infiniti riferimenti alla cultura pop e al più famoso dei giochi di ruolo, Dungeons & Dragons (ci arriviamo), godibili comunque anche per chi non è addentro a quel tipo di cultura. I giocatori si trovano in un dungeon – un labirinto sotterraneo pieno di tesori e minacce – e devono aprire delle porte, dietro le quali si può trovare una ricompensa o un mostro. La ricompensa si guadagna, il mostro va sconfitto. Ogni volta che si sconfigge un mostro, si sale di livello, come nei videogiochi. Chi raggiunge per primo il decimo livello, vince. 
Il meccanismo è banale, le regole molto flessibili, e la combinazione con l’intento parodistico del gioco fa sì che ci si diverta da pazzi: si ride per le carte, divertenti in sé, ma anche per le meccaniche di gioco, piene di colpi di scena. Ci si può alleare, ci si può pugnalare alle spalle – letteralmente – si possono fare usi creativi delle carte che si hanno in mano. Praticamente tutto è possibile. In genere, tra i miei amici l’obiettivo delle partite è sconfiggere mio marito, che in questo gioco è imbattibile. Ci siamo riusciti tipo due o tre volte in tutto, e una di quelle volte dopo ha nevicato – e all’epoca vivevo a Roma, dove la neve non è proprio roba di tutti i giorni. 
Munchkin in parte è anche gioco di ruolo, e allora eccoci a parlare di Dungeons & Dragons, per chi vuole un Natale più creativo. Il gioco di ruolo è sostanzialmente una forma di racconto collettivo di una storia: c’è un master che tira le fila, fornendo uno scheletro per l’avventura, e i giocatori che interpretano un certo numero di personaggi. L’elemento aleatorio, al solito, è dato dai dadi, mentre un set di regole stabilisce cosa succede a seconda del risultato dei tiri. In Dungeons & Dragons in genere si raccontano storie fantasy: un certo numero di avventurieri è impegnato in un’impresa di qualche genere, che sia conquistare un tesoro o salvare qualcuno. Si tratta di un gioco in cui l’interpretazione ha un suo ruolo – i giocatori sono i personaggi – e quindi risulta più coinvolgente e un po’ più impegnativo di quelli che ho proposto fin qui. 
Io però, per Natale, non vi suggerirei Dungeons & Dragons, ma qualcosa a tema: Hometown Holiday. Il master è il regista di uno di quei film di Natale tipici, quelli col protagonista rampante che dalla grande città torna al paesello per le feste, e qui ritrova il microcosmo della sua infanzia, compresa quella persona per cui tanti anni fa aveva una cotta. I giocatori sono gli interpreti del film. Lo scopo è raccontare la storia coprendo il maggior numero possibile di cliché di opere del genere: insomma, un film di Natale brutto. L’ho giocato lo scorso anno col mio gruppo – si chiama Only Nerds, se vi interessa, ci trovate su Twitch perché in genere le giocate sono pubbliche – ed è stato divertentissimo. Io ero la renna Rudolph, quella col naso rosso, spedita per punizione sulla Terra nelle vesti di una ragazza svampita fissata col Natale e con una fastidiosa propensione a innamorarsi un po’ di chiunque. 
Ma perché giocare a Natale, infine? Natale è attesa – del secondo primo del cenone, della mezzanotte – che si può riempire, invece che con le solite discussioni di politica – che, tra il parente complottista e l’anziana zia trumpiana, sappiamo tutti come vanno a finire – con un bel gioco, vecchio o nuovo. Così, per litigare su qualcosa di più concreto dei vaccini che ti cambiano il Dna o i bei tempi andati in cui c’era il rispetto per l’autorità e due ceffoni non hanno mai fatto male a nessuno, qualcosa come un carro armato rubato a Risiko o un’alleanza infranta a Munchkin. In tempi di interazioni disincarnate, stare assieme intorno a un tavolo a inventare storie, a fingere di essere qualcun altro, può essere un atto rivoluzionario, che forse abbiamo bisogno di riscoprire. Per ritrovare quello spirito dei Natali passati e morire dalle risate su un tiro di dadi.