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 2025  dicembre 28 Domenica calendario

Regine di quadri: Maria Amalia è salita a cavallo

Catharina-Amalia (Paesi Bassi), Leonor (Spagna), Elisabetta (Belgio), Vittoria (Svezia), Ingrid Alexandra (Norvegia) e forse (se verrà abolita la discendenza solo in linea maschile) anche Aiko (Giappone): saranno loro le regine del futuro. La mostra alla Reggia di Caserta racconta anche questo: il destino di donne segnate dal destino di essere regine. Oltre 200 opere per spiegare il pensiero, l’educazione, il gusto e l’influenza delle sovrane tra Settecento e prima metà del Novecento: Elisabetta Farnese, Maria Amalia di Sassonia, Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, Giulia Clary, Carolina Murat, Maria Isabella e la Restaurazione borbonica, Maria Cristina di Savoia, Maria Teresa d’Asburgo-Teschen, Maria Sofia di Baviera, le regine di Casa Savoia (Margherita, Elena di Montenegro, Maria José del Belgio).
Sette sezioni che scandiscono una sorta di manuale di istruzioni per l’uso / vademecum per le prossime regnanti. Curata da Tiziana Maffei (direttrice della Reggia di Caserta) e Valeria Di Fratta Regine. Trame di cultura e diplomazia tra Napoli e l’Europa appare come un viaggio nel cuore di donne «che hanno indossato di volta in volta le vesti di sovrane, influenzato le sorti di Stati e culture, plasmato i simboli e le iconografie del potere femminile». Lasciando tracce sia nelle vicende storiche che nell’arte, rivelando come l’impatto delle regine superi spesso «la semplice rappresentazione ufficiale».
È un modo per evidenziare anche il ruolo politico e diplomatico di queste sovrane. Un’installazione multimediale sottolinea, però, come l’arma della diffamazione venisse usata in modo particolare soprattutto contro le regine per minarne autorità e legittimità attraverso stereotipi di genere: l’ambizione, nel loro caso, diventava «arroganza», l’autonomia «scandalo», il potere «tirannia». Una dinamica che invita a riflettere, oggi, su cosa significava anche all’epoca essere «donne di potere». Le loro sono storie di personalità forti, di scelte complesse, di trame di alleanze e di continuità dinastiche, di ambiguità e autonomia che hanno contribuito a consolidare un’immagine di donna «forte» a lungo sottovalutata (rispetto ai regnanti maschi), ma da riscoprire ora nella sua profondità.
Il percorso si snoda attraverso ritratti, oggetti, lettere e installazioni, creando un tessuto variegato che intreccia storia, iconografia e cultura. Un itinerario intrigante che vede, nel ruolo di narratori per immagini, artisti come Antonio Rafael Mengs, Jean-Baptiste Wicar, Élisabeth Vigée Le Brun, Joseph Karl Stieler, Ilario Spolverini, Giuseppe Bonito, Giuseppe Cammarano, Molinaretto, Francesco Liani. Ognuno ha rappresentato, riletto, rivisto, analizzato a suo modo la regina che aveva davanti, forse non tanto per ragioni estetiche quanto piuttosto dinastiche e «di Stato».
Francesco Torr, ritrattista assai apprezzato dalle royalties europee del XIX secolo, cerca così di dare dignità e ruolo a Maria Teresa d’Asburgo-Teschen (1816-1867), seconda moglie di Ferdinando II. Per questo, nel dipinto del 1837, fornisce Tetella (come l’aveva soprannominata il marito per la bassa statura) di copricapo di piume sbarazzine, tiara e relativi accessori assai preziosi, tentando in qualche modo di certificarne lo status di regina, status che lei stessa, assai religiosa e assai riservata per natura, non accetterà mai. E nemmeno i suoi sudditi. Quando si sposa con Ferdinando II, il suo arrivo a Napoli viene oltretutto accompagnato da segnali di sfortuna: un incendio devasta il palazzo di corte, e poco dopo un’epidemia di colera coglie impreparato il regno. Anche per questo, Tetella sceglierà l’isolamento, preferendo un’esistenza ritirata e dedita principalmente al ruolo di madre, di moglie, di custode della continuità dinastica.
Il grandioso Ritratto equestre di Maria Amalia di Sassonia (metà XVIII secolo) di Francesco Liani, invece, propone un’immagine femminile insolita e potente, realizzata in un periodo in cui la regina sembra voler affermare una sua presenza forte e intransigente. Raffigurata su un cavallo rampante, vestita con abiti maschili, sembra sfidare le convenzioni del tempo, comunicando una personalità decisa e capace di influenzare le decisioni politiche e la corte. L’immagine, così inusuale rispetto (ad esempio) al ritratto ufficiale realizzato intorno al 1740 da Giuseppe Bonito, sottolinea il ruolo politico e la forza di Maria Amalia, rievocando le immagini dei cavalieri medievali e degli uomini-re. E se sullo sfondo si affacciano, timidamente, alcuni cavalieri maschi, è la figura della regina a imporsi comunque (e nonostante l’aspetto appesantito dagli anni), con un’impronta di autorità e di influenza che traspare dallo sguardo deciso.
A sua volta Anton Raphael Mengs con il Ritratto di Maria Carolina d’Asburgo Lorena (1768) rende omaggio alla sovrana colta e intelligente, all’epoca appena diciottenne, giunta a Napoli con un bagaglio culturale vasto e innovativo. La sua raffigurazione riflette la sua personalità complessa e la sua capacità di esercitare un’influenza non solo attraverso i titoli e i gioielli, ma anche con acume politico e cultura. Maria Carolina (sorella della Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI, finita sotto la ghigliottina) è ritratta come una donna di potere, con uno sguardo vivo e penetrante, che comunica autorevolezza e discernimento. La sua formazione intricata e ricca di studi diventa l’emblema di una sovrana partigiana di un’idea più ampia di regalità, più moderna e più consapevole. Un’immagine che oltrepassa la mera celebrazione del suo status, invitando a riflettere sulla forza di una donna che, anche all’interno di un sistema patriarcale, seppe ritagliarsi uno spazio di moderna autonomia.
Il percorso della mostra si espande oltre le sale principali, passando dagli Appartamenti reali di Caserta alle stanze private, creando un dialogo tra le immagini pubbliche e le emozioni intime di queste donne. Lungo l’itinerario nel Palazzo reale, le regine tornano a raccontare di sé nel Boudoir di Maria Carolina e nella Biblioteca Palatina dove è esposto il suo leggio, nelle sale private di Maria Cristina di Savoia. La rappresentazione tardosettecentesca della Partenza di Elisabetta Farnese di Ilario Spolverini, ora in fase di restauro (che si potrà seguire dal vivo nella sala della Pinacoteca) si inserisce in questa narrazione come esempio evidente di come l’arte possa diventare non solo testimonianza storica, ma anche spazio di trasmissione di valori e identità. Non solo regali.
«In un tempo in cui l’Europa è chiamata a ritrovare il senso delle proprie radici comuni – conclude Tiziana Maffei – le regine tornano a parlarci di visione, di intelligenza e di cultura come strumenti di relazioni tra i popoli».