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 2025  dicembre 28 Domenica calendario

Intervista a Massimo Mauro

Anomalo.
(Silenzio di sconcerto) Perché?
Ex calciatore preparato, non banale, attento alla politica.
(Altro silenzio) Mi rendo conto che il mondo del calcio dovrebbe aprirsi per migliorare.
Però?
È complicato. Vivono regole ferree, antiche quanto radicate: se uno le cambia, il calcio teme di scoprirsi vulnerabile.

Le piace sempre parlare di calcio?
A volte mi rompo, ma qualcosa devo pur fare; (ride) ho famiglia.
Giusto.
Ho giocato in un periodo nel quale non si guadagnava bene, ma benissimo, ma non ai livelli di oggi.
Nella sua carriera è stato un po’ George Best che spendeva tutto in auto, alcool e donne?
Ho due figli, una di dieci anni e mezzo e uno di nove, quindi fino a 47-48 anni mi sono molto divertito.

E Gianluca Vialli?
Molto più conservatore che progressista.
Democristiano.
Persona attenta, bravissimo nell’arte del compromesso e quello stesso compromesso finiva a suo vantaggio; gli ripetevo sempre: saresti il più grande presidente della Federazione o di un club.
Addirittura.
Era capace di approfondire ogni questione con il piglio dell’intellettuale; sapeva risultare profondo e competente di tutto quello di cui parlava. Se taceva era perché non maneggiava alla perfezione l’argomento.
Leader.
La Fondazione è gran parte merito suo ed è giusto festeggiarlo.
(Massimo Mauro conosce le geometrie del campo e della vita; anzi, le sue doti sul rettangolo le ha traslate nel quotidiano. Conosce il valore dell’amicizia e sembra aver fatto propria la massima di Picasso, anni dopo “sottratta” da Dario Fo: “Un bravo artista copia, un grande artista ruba”. “Per questo ho sempre scelto compagni e amici più bravi di me”. Tra i compagni e amici c’è stato Gianluca Vialli, insieme al quale nel 2003 ha aperto una Fondazione per la lotta contro la SLA; da quando nel gennaio 2023 Vialli è morto, Mauro ne è diventato “purtroppo” presidente. E il prossimo 19 gennaio, dalle 20, per la prima volta al Teatro Regio di Torino, è organizzata una serata dedicata a lui e alla Fondazione)
Con Vialli sempre insieme.
Dal 2003 ci vedevamo o sentivamo tutti i giorni; stare accanto a lui ti spronava non essere approssimativo.
In cosa vi differenziavate?
Io più intuitivo, amo l’impronta, essere diretto. Luca si preparava. Questa Fondazione funziona e ha funzionato in maniera straordinaria grazie a questo binomio. Riusciamo a raccogliere 700 mila euro l’anno; (pausa) abbiamo messo i nostri nomi per strumentalizzarci in positivo.
Il suo nome è servito pure per arrivare in Parlamento.
Eppure di politica attiva non mi ero mai occupato, al massimo mi informavo e leggevo.
Da ragazzo andava in sezione?
Qualche volta, poi a quindici anni ho iniziato a giocare seriamente.
La politica in casa da dove arrivava?
Più da mio fratello, universitario a Cosenza: periodo tosto, problematico, di scontri. Una volta mio padre tornò a casa con il giornale e sopra c’era scritto: “Arrestato Guglielmo Mauro”; mio fratello e i suoi due amici vennero liberati perché intervenne di persona il segretario del Psi, Giacomo Mancini.
Suo padre?
Disperato. Ma in quel periodo, a Cosenza, c’erano Toni Negri, Potere Operaio, tutta quella banda lì…
I Cattivi maestri.
(Sorride) Dicembre del 1984, giocavo con l’Udinese e vengo convocato dalla società: “Ti vuole la Juventus”. “Ho già parlato con la Roma…”. “Noi abbiamo un accordo con Boniperti”. Così organizzano un incontro tra me e il presidente bianconero in un luogo schifoso, umido, super riservato, abitato solo d’estate per le ferie. Presi l’ascensore e pensai: se si ferma non mi salva nessuno.
Quindi?
Entro in una stanza, vedo Boniperti e subito mi domanda: “Sei comunista?”.
E lei?
Ho risposto come un bambino impaurito: “No!”; “Bene, allora parliamo di calcio”.
Era da solo.
Non avevo alcun procuratore, a 22 anni mi gestivo da solo.
Solo davanti a un totem come Boniperti?
E in una situazione oltre il limite: in quella fase non erano consentite le operazioni di mercato. Eppure ho tenuto testa sui soldi.
Non sarà stato comunista, ma votato in Parlamento con l’Ulivo.
Esperienza meravigliosa, eletto nel collegio di Catanzaro; a quel tempo dovevi prendere i voti e non sono stati loro a farmi un favore a candidarmi, piuttosto il contrario.
Bravone.
Avevo una credibilità forte e la conoscenza del territorio; per cinque anni mi sono comportato da soldatino, convinto di fare la cosa più importante per il collegio.
Serio.
Per due anni e mezzo, il tempo del Governo Prodi, mi sono messo a disposizione; la mia compagna di banco era Giovanna Grignaffini, donna straordinaria, una vera intellettuale bolognese; oltre a lei avevo accanto Furio Colombo e Fabrizio Bracco.
Bel quartetto.
Ogni tanto li guardavo e ripetevo: “Che cazzo ci faccio in mezzo a voi tre”.
E lei?
Ero bravo.
In cosa?
Nell’ascoltarli e imparare per evitare banalità. Non era semplice: ho sofferto nel non sentirmi adeguato.
Diplomato?
Ragioniere.
Università?
Non avevo una grande passione per lo studio, ma bravissimo nello scegliere gli amici più bravi o i compagni più bravi.
Oltre a Vialli, chi?
Dopo la candidatura, Veltroni organizza una cena e mi trovo tra Ettore Scola, Giulio Einaudi, Lamberto Sposini, Carmen Lasorella e Idris.
Perfetta cena veltroniana.
Confido a Scola le mie preoccupazioni rispetto alla candidatura: “Giù non ho tanti rapporti politici”. E lui: “Resta lontano dalle segreterie di partito. Hai una macchina?”. “Sì”. “Sali su, prendi una segretaria brava e gira per piazze e negozi”.
Lei tra Einaudi e Scola, non male.
Alla fine si finisce sempre a parlare di calcio.
Il calcio è un bel passaporto.
E con personaggi così particolari nascono delle chiavi di lettura molto interessanti; e lì emerge l’essenza della tua vita e uno che ha giocato si può atteggiare.
Su cosa si atteggiava?
Raccontavo di Boniperti, poi mi chiedevano e chiedono sempre di Diego.
Maradona è un rimpianto?
Sì, per non essere stato capace, con i compagni e la società, a salvarlo dalla cocaina. Ovviamente lo sapevamo tutti.
Era possibile?
Non lo so, ma siamo stati zitti. Io ci sono pure entrato in conflitto e, finito di giocare, sono andato apposta a Buenos Aires: non ho ripreso l’aereo fino a quando non sono riuscito a parlarci.
Un rimpianto su Vialli?
Volevo mostragli il paese dove in Calabria vivo l’estate. Mi chiama: “Ad agosto, se vuoi, ho tre giorni liberi”. Solo che esattamente nello stesso periodo avevo organizzato con i compagni di mio figlio e i loro genitori. “Riproviamo a fine settembre o ottobre?”. Non ci siamo riusciti e a gennaio è morto.
Vialli ha raccontato a Cazzullo di aver indossato un maglione sotto la camicia per non svelare la magrezza.
Succedeva anche quando veniva alle gare di golf: gli preparavamo le magliette più spesse; (cambia tono) l’ho visto in tutte le situazioni ed è stato pazzesco come è rimasto in piedi fino alla fine.
La foto tra Vialli e Mancini dopo la finale degli Europei è di rara bellezza.
La Federazione e Roberto sono stati fantastici: la Nazionale gli ha allungato la vita. E Gianluca è stato importante per vincere.
Lei come mai non è diventato allenatore?
Perché per vedere applicate le tue idee devi diventare falso, presuntuoso, insopportabile. E questo non mi piace, preferisco far finta di capire di calcio in televisione.
Il più insopportabile?
Eh, ce ne sono.
Massimiliano Allegri?
Ce ne sono di peggio.
Fabio Capello?
Lui non lo nasconde; (torna alla politica, ci ripensa) una volta caduto il governo Prodi ero convinto si dovesse andare alle elezioni.
E invece.
Avevamo passato due anni e mezzo unici con Bindi alla Sanità, Berlinguer all’Università, Bersani all’Industria, Ciampi al Tesoro. È chiaro il livello?
Fassino settosegretario…
(Silenzio) Era così e così.
Specifichi.
Andiamo oltre.
L’essenza della politica.
I cittadini sono sempre stati abituati a un certo tipo di approccio che non è “risolvo il problema attraverso lo sviluppo del territorio”, piuttosto si va avanti con le questioni personali. E lì mi sono trovato malissimo, un fallimento. Così ho lasciato; però sono stato un soldatino.
Come nel calcio.
Quando giocavo ero un professionista lavativo perché avevo una schiena di merda: dovevo allenarmi il giusto, altrimenti mi bloccavo.
Si è fermato a 31 anni.
È stato un miracolo arrivarci.
Lo vuole il ponte sullo Stretto?
È una delle più grosse cazzate.
Meglio il potere o i soldi?
Oggi sembra che contino di più gli uomini ricchi; sono talmente ricchi da risultare indispensabili.
Torniamo alla Fondazione?
Gianluca era felice, perché aveva paura di non aver restituito abbastanza della fortuna avuta.
Chi era Vialli?
Un leader naturale e su questo era un genio.
Era più lui possessore di segreti suoi o viceversa?
Io di segreti suoi.
Avremmo scommesso sul contrario.
A parte il suo aspetto serio era uno capace di qualsiasi cosa. E chi lo ha conosciuto bene, sa.
Quando ha capito che sarebbe stato un suo grande amico?
Non abbiamo mai giocato insieme, ci siamo dati solo la mano durante un cambio in un match dell’Under 21; tutto è mutato quando ho smesso di giocare, allora sono tornato a vivere a Torino, e quell’anno lui ha iniziato ad avere problemi con la Juve: Boniperti lo aveva messo in discussione, per caso ci siamo incontrati e abbiano iniziato a parlare. È nata la nostra amicizia.
Lei chi è?
Un marito e un padre contentissimo e purtroppo oggi sono il presidente della Fondazione, ruolo perfetto per Gianluca.