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 2025  dicembre 28 Domenica calendario

La verità degli ispettori sul suicidio di Paolo Mendico: “La scuola ha mentito”

Per Paolo Mendico, il quattordicenne che si è suicidato il primo giorno di scuola nella sua casa di Santi Cosma e Damiano, in provincia di Latina, si poteva e si doveva fare di più. Lo scrivono gli ispettori del Mim inviati dal ministro Valditara, nella loro relazione dopo gli accertamenti nell’istituto tecnico Pacinotti. Si doveva avviare un protocollo antibullismo in una classe turbolenta e «dai comportamenti non conformi al regolamento d’istituto». Anche per aiutare i suoi compagni. Invece, nel corso dell’ispezione, dopo il suicidio dell’11 settembre scorso, è emerso che «non vi è traccia di una valutazione approfondita indipendentemente dalla qualificazione giuridica degli episodi» davanti a comportamenti «quasi aggressivi».
Gli ispettori del ministero dell’Istruzione e del merito hanno chiesto tre procedimenti disciplinari a carico della dirigente scolastica «per le responsabilità che interessano la funzione dirigenziale», della vicedirigente e della responsabile della succursale dell’istituto per «condotte omissive». Alla domanda se quei procedimenti siano stati notificati o meno, l’ufficio regionale scolastico del Lazio risponde: «La procedura è ancora in corso».
Parallelamente all’accertamento del Mim corrono due inchieste giudiziarie. La procura dei minori ha iscritto i nomi di quattro compagni di classe di Paolo per istigazione al suicidio. Il fascicolo della procura di Cassino, invece, è contro ignoti. «Aspettiamo l’esito sullo studio delle chat, utili per verificare l’eventuale commissione di reati», spiega il procuratore capo, Carlo Fucci.
Dalle 28 pagine di relazione del Mim, che Repubblica ha visionato, emerge un intreccio di bugie e omissioni. Gli ispettori scrivono: «Si è innescato un meccanismo difensivo, tanto che questo collegio ritiene più verosimile la descrizione delle dinamiche della classe che si legge nei verbali dei consigli di classe anziché quella offerta dai docenti durante l’accertamento». Un monito per gli insegnanti, visto che nei verbali «problemi disciplinari emergevano dal 18 dicembre 2024 per poi acuirsi alla fine dell’anno». Ma anche su Paolo si è taciuto. Davanti agli ispettori la vicepreside, componente del team antibullismo, sostiene: «Posso escludere categoricamente che a scuola Paolo avesse subito atti di bullismo. Non ne sono venuta mai a conoscenza. Né la famiglia, né i colleghi, né Paolo hanno mai segnalato o fatto percepire che si siano consumati atti di bullismo».
Tutto il contrario di quanto dichiarato in audizione dai genitori di Paolo: «Abbiamo avuto almeno cinque o sei incontri con lei, segnalavamo di matite spezzate, di calci allo zaino, di derisioni». E a mettere in imbarazzo la professoressa è anche il rappresentante degli studenti: «Un giorno è venuta anche la vicepreside per riprenderci e poi in generale ha richiamato come fondamentale il rispetto verso la sensibilità del compagno».
Per gli ispettori, poi, la dirigente non si doveva limitare a «esortare i docenti a punire determinati comportamenti». Avrebbe dovuto «promuovere l’individuazione condivisa di interventi più incisivi». E «non può affermare di non aver avuto contezza delle problematiche comportamentali nella classe». Tutta questa narrazione trova poi un muro, quello dello scaricabarile, quando la dirigente dichiara: «Le due referenti di sede non mi hanno comunicato mai di queste segnalazioni. Durante i consigli di classe, che ho presieduto, non è mai emerso alcunché in merito ai fatti riferiti». Ma sono almeno sei i verbali che mettono in luce le criticità disciplinari.
Poteva fare di più, per gli ispettori, anche la responsabile della succursale che, quando apprende dai genitori di Paolo dei nomignoli affibbiati al figlio (Paoletta, femminuccia, Nino D’Angelo) fa un intervento generale in classe «non ritenendo di dover dare seguito alla procedura prevista in caso di presunto episodio di bullismo».
Gli ispettori, però, raccolti i casi riferiti dai genitori, precisano che «manca la ripetitività nel tempo, uno degli elementi necessari per configurare il bullismo» ma che i «comportamenti aggressivi» non dovevano «esimere il personale scolastico dalla dovuta presa in carico». Non è stato rispettato «il rigoroso dovere di vigilanza». Insomma, non bastava fare un richiamo una tantum o organizzare incontri sul bullismo, ci voleva «una fase 2 della procedura come da protocollo». Resta adesso una domanda. Una cura maggiore della classe avrebbe potuto salvare Paolo?