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 2025  dicembre 28 Domenica calendario

Le elezioni a pezzetti della giunta del Myanmar

La teorica buona notizia sarebbe che a Myanmar si stanno per tenere finalmente le elezioni, più volte rinviate dalla giunta militare che ha preso il potere quattro anni fa imprigionando la premier e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. La cattiva notizia, assai più concreta, è che quando e dove esattamente si voterà dipende da un rebus geopolitico. In alcune parti dell’ex-Birmania, il nome che questa nazione del sud-est asiatico di 55 milioni di abitanti aveva nell’era coloniale britannica, si va alle urne stamani, domenica 28 dicembre. In altre, si vota tra due settimane, l’11 gennaio. In altre ancora, non si sa quando si voterà. E in certe zone si sa che non si voterà affatto.
I generali golpisti giustificano queste elezioni a tappe, a macchia di leopardo se si guarda la mappa, con «motivi di sicurezza», sostenendo che in determinate aree la violenza orchestrata dall’opposizione illegale e da forze guerrigliere impedisce di aprire le urne. Non è chiaro, in realtà, perché si possa votare in una regione quest’oggi, ma non in un’altra, dove invece l’11 gennaio sarà tutto sufficientemente tranquillo da permettere regolari votazioni. In larghe fette del Paese, comunque, non si voterà per niente. La comunità internazionale afferma che la giunta si prepara ad annunciare un risultato fasullo dopo un’elezione truffa, rigidamente controllata dai militari. Le elezioni a tappe probabilmente consentiranno di pilotare meglio il voto, evitando sorprese.
Del resto, mentre San Suu Kyi (a sua volta criticata dalle associazioni per i diritti umani per avere avvallato la repressione della minoranza islamica dei Rohingya) rimane prigioniera, la giunta ha vietato al suo partito, la National League for Democracy, che aveva stravinto le elezioni del 2020, di partecipare alla odierna consultazione elettorale. E vietati sono comizi, propaganda, volantinaggi, se non autorizzati dal governo. Dopo avere preso il potere con una feroce repressione, a base di arresti di massa, stragi di civili e uno stato di emergenza durato più di un anno, l’attuale leader militare Min Aung Hlaing è un dittatore a tutti gli effetti, che cerca una legittimazione farlocca dalle urne. L’Onu lo accusa di genocidio e del colpo di stato che ha innescato la guerra civile, provocando almeno 90 mila morti. L’elezione a tappe non cancellerà i suoi misfatti né migliorerà la sua reputazione. Con le armi fornite dalla Russia e il sostegno politico ed economico della Cina, tuttavia, il suo potere appare al momento inattaccabile.