Corriere della Sera, 28 dicembre 2025
Intervista a Francesca Pascale
Dietro al cancello abbaiano 11 cani di razza e stazze diverse, tra i quali è impossibile non menzionare la quindicenne Dudina (sì, la fidanzata di «quel» Dudù...) e le sue figliole Wendy e Trilli (il maschio Peter è rimasto ad Arcore dai tempi della separazione); e poi Harley, golden retriever di 14 anni, al quale il Presidente era molto affezionato. Siamo nella campagna senese, in un bellissimo casale che Francesca Pascale ha costruito a sua immagine e somiglianza, accogliente e lindo. Le foto sue con Silvio Berlusconi arredano la parete di una sala, mentre un ciliegio maestoso è il vero totem del suo grande amore, con cui parla, piange, trova conforto: sotto, c’è una sedia «rubata» a Villa Maria, dove vivevano insieme in Brianza. «Ci lascio sempre un cuscino, è la sua postazione per guardare il panorama». Chissà se da lassù vede la casa di Rosy Bindi, poco distante. «Non vado a chiederle lo zucchero, se lo finisco. Però ci incrociamo dal macellaio».
Come mai vive qua?
«Ho sempre desiderato trasferirmi nella campagna toscana, lontano dai rumori e dalla ressa. Mi sono decisa dopo essermi separata da Silvio. C’era solo il terreno».
Chi l’avvisò della morte?
«Un’autrice di Otto e Mezzo. Subito dopo mi chiamò il professor Zangrillo. Ricordo solo di essere scoppiata a piangere e di aver messo giù. Ero talmente sconvolta che chiamai le mie sorelle: un dolore così forte lo avevo provato solo per nostra madre. Ma allora, il 28 gennaio 2007, avevo chiamato Berlusconi: erano le tre e mezzo del mattino. Lui pronunciò parole piene di cura: mi sentii aggrappata a qualcosa di solido».
Non stavate ancora insieme.
«No. Ma dopo il funerale corsi verso la stazione senza neanche farmi la valigia, e andai a Roma a Palazzo Grazioli. Cenai con il piatto e le forchette come qui adesso, lui rimase seduto sul tavolo ad accarezzarmi la faccia. Mi sentivo a un vicolo cieco della mia vita, eppure ho questo ricordo terribilmente dolce».
Andò al funerale.
«Sì, me lo permise Zangrillo attraverso il dottor Letta. Mi sedetti nell’ultima fila, all’ultimo posto, tra gli ultimi amici di Silvio Berlusconi».
Le diede fastidio?
«No, per me era importante poterlo salutare. Ma mi sono chiesta se era ciò che voleva».
Fa qualcosa il giorno dell’anniversario?
«No. Ma per le ricorrenze gli lascio sul tavolo un bicchiere di amaro e i suoi cioccolati preferiti. Era goloso, impazziva per il babà. Poi Zangrillo mi sgridava...».
Il vostro rapporto si incrinò sui diritti civili. Possibile?
«Dal 2013 il Presidente aveva voglia di rinnovare il linguaggio del partito. Uno dei temi era aprire ai diritti civili, sui quali da leader di Forza Italia aveva sempre lasciato libero arbitrio. In quella fase, chiamò Alessandro Cecchi Paone, Daniele Priori e altri vicini a quello che oggi si chiama il mondo queer. Andammo in piazza a Napoli con Vittorio Feltri, per dimostrare che il tema era trasversale».
Cosa si inceppò?
«L’ala del partito più conservatrice non la prese bene, vedi Gasparri, un traditore di Fini che ha lasciato An perché non sopportava l’ascesa di Giorgia Meloni: ci facevo certe litigate... Berlusconi rideva sotto i baffi, anzi sotto il tovagliolo, però a un certo punto non poté più difendermi».
Fu solo una questione politica?
«Ma no. Berlusconi diceva che avevo bisogno di libertà, che non poteva farmi vivere la sua vecchiaia e non voleva imprigionarmi. La situazione diventò fragile per tanti motivi. Ma la verità è che tra di noi non è mai finita, non ci siamo mai realmente separati».
Quando lo ha sentito l’ultima volta?
«Tre mesi prima che morisse. Non sapevo stesse così male. Quando mi chiamava parlava a voce bassissima. Diceva solo: ti voglio bene, ti penso».
Che effetto le ha fatto il «non matrimonio» con Marta Fascina?
«Ci ho messo un po’ a elaborarlo, non capivo. Berlusconi era un uomo discreto, a parte quando doveva esibire la sua goliardia. Era difficile che ti baciasse o ti accarezzasse davanti agli altri. Mi spiace solo vedere come certi principi in politica, che era la sua vita, siano stati traditi. Lui mi diceva sempre: si deve essere i primi a entrare e gli ultimi a uscire, onorando il mandato degli elettori. Ecco, non mi pare che la parlamentare Marta Fascina li rispetti».
L’ha mai chiamata?
«No. Ma per quanto io possa essere ruvida verso di lei, credo abbia svolto un ruolo importante accanto al Presidente. Lui ha scelto per il finale della sua vita ciò di cui aveva bisogno e io quella cosa lì non sarei mai stata in grado di dargliela, non sarei stata all’altezza: a stento ho sopportato la scomparsa di mia madre».
Dunque nessun rimpianto?
«No. Io ho conosciuto il Presidente quando aveva 69 anni ed era un uomo forte e libero. Siamo stati insieme per 15 anni. Ho ho vissuto tutto il bello possibile».
Si favoleggia della sua buonuscita. C’è stata?
«No, non ho avuto buonuscita perché ho avuto una vita piena di cose bellissime che mi ha dato Silvio Berlusconi. Da quando sono entrata nella sua vita mi ha sempre sostenuto, mantenuto, riempito di doni: dal suo tempo alle case, a un patrimonio che mi ha permesso di costruire una società immobiliare e di vivere nel totale privilegio, grazie al quale riesco anche ad aiutare i miei amici».
La sua, che famiglia era?
«Papà operaio, mamma casalinga: un patriarcato naturale. A mio padre rimprovero di non avermi mai fatta sentire amata. Mi è mancato poter immaginare la mia casa come luogo sicuro e confortevole».
Cosa vuol dire?
«Che mio padre era un uomo violento: con mia madre, con me e le mie sorelle. Non lo perdonerò mai di essere stato violento con mamma anche durante la malattia. Lei ho provato a spingerla verso un’emancipazione che neanche io sapevo bene cosa fosse, ma non è mai riuscita a lasciarlo: la preoccupava cosa avrebbe detto la gente. E si preoccupava per lui».
Da quando non lo sente?
«Dal matrimonio di mia sorella Marianna, nel 2016 o 2017. Ma ho già fatto testamento: non voglio nemmeno che venga al mio funerale».
In che modo pensa di esserne stata condizionata?
«Beh, i tuoi genitori sono la radice dell’amore. Per me dare e ricevere amore è su questo binario di non reciprocità e di sofferenza. Oggi ho deciso di non stare con nessuno».
Conquistare l’amore dell’uomo più importante d’Italia fu una rivalsa incredibile.
«Sì, l’ho sempre pensato. Ho fatto analisi e mi è servita, anche se poi ho smesso perché mi sentivo giudicata, come se dovessi guarire. Ora faccio grandi conversazioni con padre Sergio, il parroco di Trequanda. Bizzarro, se penso che mi ero sbattezzata».
Lo ha fatto davvero? Lo aveva minacciato dopo l’affossamento del Ddl Zan.
«Mandai una Pec alla parrocchia dell’Immacolata a Fuorigrotta, dove sono nata: non mi hanno mai risposto».
Chi è l’erede politico di Berlusconi?
«Nessuno. Mi piacerebbe tantissimo Mario Draghi, ma ha altre ambizioni. Tajani è inadeguato e dovrebbe solo dimettersi. Più di tutto, mi piacerebbe che Marina e Pier Silvio entrassero a gamba tesa nel partito e rimettessero mano allo statuto, per resettare e ripartire con i congressi».
Vorrebbe avere un ruolo?
«Mi piacerebbe candidarmi per la segreteria toscana. Ma io non ho mai smesso di fare politica. La faccio andando al Pride, alle manifestazioni, dicendo cosa penso».
Con Marina Berlusconi ne ha parlato?
«Sì, perché è da sempre un mio riferimento, in virtù anche di un sentimento indelebile e del rapporto che è nato quando stavo con il padre. E pur vivendo vite differenti in città diverse, so che quando cerco un confronto, lei c’è».
Ha fatto pace con Salvini?
«Tempo fa ci siamo scambiati cordialità al telefono tramite un amico parlamentare. Di tutte le cose brutte che ho detto di lui, pentendomi talvolta per la forma mai per la sostanza, mi ha querelato per la meno grave di tutte».
Quale?
«Avevo detto che era meglio votare Paperino che lui. Oggi vorrei che il posto di segretario della Lega lo prendesse Zaia».
Giorgia Meloni?
«È una donna vincente, la conosco da quando con Azione giovani indossava il giubbotto nero, mentre noi di Forza Italia con tacchi e cravatte cantavamo meno male che Silvio c’è. Ho tanti motivi per stimarla: dal matriarcato portato in un partito patriarcale fino al non mettere il velo quando va nei Paesi arabi per rispetto della sua religione. Ma non condivido molte idee, come aver voluto includere nella sua maggioranza estremisti cattolici come Roccella e Mantovano».
Cosa diavolo ci faceva nell’ultima Miss Italia?
«Miss Italia è coerente con il mio percorso! A 17 anni fui Miss Mascotte. Penso sia diventata bersaglio di critiche ingiuste, le ragazze non sono mica costrette a partecipare. Ma poi, perché oggi possono sognare di diventare qualsiasi cosa, ma non di valorizzare la loro bellezza? Sono stata felice e onorata di partecipare al concorso da presidente di giuria. Viva la bellezza! Non voglio liberarmi dagli stereotipi per abbracciarne altri».
Parliamo della sua unione civile?
«È stata una relazione tossica, non ero pronta dopo Berlusconi, era un chiodo schiaccia chiodo. Ma mi prendo la mia responsabilità. Di quella storia mi ha fatto soffrire l’ipocrisia: stavo con una donna che disprezzava Berlusconi, ma non il fatto di vivere in casa mia con il suo denaro».
Le spiace che Villa Certosa sia in vendita?
«Moltissimo. Ma mi spiace di più vedere come è stato trasformato Palazzo Grazioli: trovare un bar nel soggiorno dove noi guardavamo la tivù in pigiama prima di andare a dormire mi fa effetto».
Ha più visto la Santanché?
«Mai più, e le sue Kelly farlocche le ho regalate. Me ne è rimasta una, vera, che avevo comprato io. Non mi è dispiaciuto troppo che fossero taroccate, ma l’aver provato imbarazzo quando mi hanno chiamata dal negozio. Pensavo: tra una napoletana e una cuneese a chi crederanno?».