Corriere della Sera, 28 dicembre 2025
L’arrivo nel 1983, il ruolo pubblico e l’esultanza per i morti in Israele. Un piano per scappare in Turchia
Soldi per beneficenza a Gaza utilizzati per finanziare anche le azioni sul campo di Hamas. Più di sette milioni di euro raccolti da tre società con fini umanitari attivate in Italia che secondo l’accusa sono finiti nelle casse del Movimento di resistenza islamica. Non solo l’ala politica e sociale, ma anche quella militare. Che per i vertici a Gaza, e adesso anche per i pm, sono direttamente collegate. Finanziamenti giunti anche prima dell’attacco a Israele del 7 ottobre di due anni fa: per chi indaga, dietro ai trasferimenti di denaro c’era Mohammad Hannoun, l’architetto imam di Genova, considerato membro del comparto estero di Hamas, punto di riferimento per la propaganda e l’attività di finanziamento con la raccolta di contributi nel nostro Paese da parte di tanti italiani, oltre che della numerosa comunità islamica. «La stragrande maggioranza però in buona fede», sottolinea chi indaga. Ieri in centro a Milano corteo di 200 persone – palestinesi, centri sociali, Potere al Popolo e Cobas – in segno di solidarietà ad Hannoun. Il giordano, leader del movimento palestinese in Italia, che ha definito proprio gli attacchi del 7 ottobre «un gesto di autodifesa di Hamas», è stato arrestato ieri nel corso dell’operazione «Domino» di polizia e Guardia di finanza che, coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ha preso le mosse da Genova anche sulla base di informazioni fornite da Israele e raccolte dall’Idf: gli investigatori hanno eseguito sette delle nove misure cautelari emesse dal gip per associazione a delinquere con finalità di terrorismo internazionale.
In carcere è finita la rete italiana, fra Genova, Milano, Firenze, Bologna e anche altre città. In particolare Hannoun, al tempo stesso organizzatore di numerosi cortei pro Pal, era al vertice di tre società: l’Associazione benefica di solidarietà col popolo palestinese costituita fin dal 1994 proprio a Genova, poi diventata nel 2003 Organizzazione di volontariato, e La cupola d’oro, fondata due anni fa, con sede invece a Milano.
Sigle che si sono viste chiudere i conti correnti inseriti nella blacklist europea di quelli con i quali venivano inviati i soldi ad Hamas in quanto ritenuto gruppo terroristico. I locali delle società sono stati perquisiti dalla Digos e dal Nucleo di polizia economico finanziaria delle Fiamme gialle che hanno sequestrato otto milioni di euro fra contanti e beni immobili.
Soddisfatto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, mentre la premier Giorgia Meloni ha espresso apprezzamento per l’operazione. «È stato squarciato il velo su comportamenti e attività che, dietro il paravento di iniziative a favore delle popolazioni palestinesi, celavano il sostegno e la partecipazione a organizzazioni con vere e proprie finalità terroristiche di matrice islamista», spiega il responsabile del Viminale da dove non è stata avviata la procedura di espulsione di Hannoun per non intralciare le indagini. Certo rimane fondamentale lo strumento dei rimpatri di soggetti pericolosi per la sicurezza nazionale e l’attenzione sull’«area grigia» del fondamentalismo islamico per individuare cani sciolti e chi aderisce alle reti terroristiche. «Le indagini – è il commento d’altro canto del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo e del procuratore capo di Genova Nicola Piacente – non possono in alcun modo togliere rilievo ai crimini commessi ai danni della popolazione palestinese successivamente al 7 ottobre 2023 nel corso delle operazioni militari intraprese dal governo di Israele. Allo stesso tempo – avvertono – tali crimini non possono giustificare gli atti di terrorismo compiuti da Hamas». All’appello mancano ora Osama Alisawi, ex ministro dei Trasporti nel governo di fatto a Gaza, e Abu Saleh Mohammed Ismail. Il primo si trova nella Striscia, mentre l’altro è a Istanbul. Viene considerato «il referente per l’area del Nord-est italiano, contribuendo in modo rilevantissimo alla raccolta di denaro che consegna in contanti alla prima associazione benefica.
C’è stato un tempo in cui l’architetto Mohammad Hannoun esultava per gli attentati in Israele della seconda intifada.
L’1 agosto del 2002, per esempio. Lui e il fratello Said, dice un passaggio dell’ordinanza di ieri, «gioiscono per un’esplosione nel bar dell’università di Gerusalemme, dove sono morti nove civili». Il 5 maggio del 2003 le cimici degli inquirenti li registrano di nuovo in un momento di esaltazione: «Festeggiano per un attentato su un bus nel quale sono stati uccisi 23 civili». Il 19 agosto di quello stesso anno la gioia è incontenibile: stavolta «sono stati uccisi 23 civili», come quella precedente, ma per gli odiati «sionisti» la ferita è più profonda perché fra le vittime sono «compresi diversi bambini», perciò Hannoun fa festa con un altro dei suoi fratelli, Ahmad.
Sono passati più di vent’anni. E nel frattempo Hannoun – sott’accusa allora come adesso – ha fondato l’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (nel 1994) ed è diventato presidente dell’Associazione palestinesi in Italia. La sua laurea in architettura finora non è servita. Ma basta leggere queste 308 pagine di ordinanza (che attingono informazioni anche dalle vecchie inchieste, finite in nulla) per seguire invece il suo percorso politico: da quell’esultanza dei primi anni Duemila alla militanza pro Pal iperattiva di oggi. Con la raccolta di fondi per Hamas diventata motivo di vita. Con le foto e il vanto per aver incontrato e parlato con i vertici del gruppo islamista, a cominciare da Ismail Haniyeh, capo dell’ufficio politico di Hamas fino a luglio del 2024, quando Israele lo uccise a Teheran.
Il presidente Hannoun, 64 anni, giordano di nascita, arriva in Italia nel 1983. Dieci anni dopo, da presidente del Centro islamico genovese, prova un’operazione che non vedrà mai la luce, anche se ci contava molto, data la sua buona integrazione nella comunità genovese: voleva costruire una moschea in un’officina meccanica abbandonata del quartiere di Cornigliano. Un desiderio irrealizzabile.
Nel 2004, quando la Procura di Genova lo tiene già d’occhio da anni, lui guida la preghiera per Fabrizio Quattrocchi nella moschea di Sampierdarena. «La sofferenza del popolo italiano è anche nostra», dice alla folla dei fedeli riunita davanti a lui in memoria della guardia di sicurezza rapita a uccisa in Iraq.
Sono parole di pace, ma gli inquirenti non gli credono e a più riprese lo indagano, controllano, perquisiscono. Nel 2023 il Dipartimento del Tesoro Usa inserisce la sua associazione di beneficenza nella blacklist dei finanziatori dei terroristi. Nel 2024 la Questura di Milano gli consegna un foglio di via dopo il suo elogio ai ragazzi che ad Amsterdam avevano aggredito i tifosi israeliani del Maccabi che insultavano gli arabi. Il 18 ottobre 2025 durante un corteo pro Pal si parla delle esecuzioni di Hamas contro i civili a Gaza, dopo il cessate il fuoco. Hannoun se ne esce con «i collaborazionisti vanno uccisi. L’Occidente dice che i palestinesi hanno ucciso poveri ragazzi, ma chi lo dice che sono poveri ragazzi?». Altro foglio di via.
Lui sente di avere addosso il fiato degli investigatori. Se ne vuole andare per sempre dall’Italia e aprire altrove un ufficio della sua associazione. Destinazione: Turchia, si scopre dalle intercettazioni. Partenza: ieri, per Istanbul. «E noi quando partiamo?» chiede sua figlia J. E lui: «Quando vi chiamo e vi dico di venire». Lei felice «canta “Nasheed” che inneggia ed elogia Hamas», annotano nell’ordinanza. Fonti inquirenti rivelano che J., come suo fratello M. e sua madre, H. F., sono indagati. La ragazza, per dire, è intercettata in auto col padre il 26 gennaio 2025. Lui le spiega che cos’è per l’Islam una «baiyaa», cioè una sorta di giuramento di fedeltà. E per spiegarsi meglio precisa che la baiyaa, fatta davanti a un responsabile di Hamas, è necessaria per entrare a farne parte. Parole «indicative», è convinto chi indaga, «dell’appartenenza di Hannoun al Movimento».