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 2025  dicembre 27 Sabato calendario

2016-2026, dieci anni senza David Bowie

Avevo un appuntamento con David Bowie. Primavera 1987: con un fax da New York, la Capitol mi annunciava l’ok per un’intervista esclusiva, un’ora in compagnia del Duca Bianco in un albergo romano. C’era da parlare dell’album Never Let Me Down e di tanto altro. Julie, l’addetta stampa, mi fece accomodare in una sala riunioni deserta, annunciandomi di lì a pochi minuti l’arrivo di Bowie. Una sola porta nella stanza, proprio davanti a me. Sedevo a ridosso di una parete, certo che la rockstar avrebbe fatto il suo ingresso trionfale da laggiù. Passò mezz’ora. D’improvviso, sentii una mano sulla mia spalla. “Hai una sigaretta?”. Un trucco da mago. Da dove diavolo era entrato? Era davvero un essere caduto sulla terra, per giunta capace di attraversare i muri?
Alto quanto me, dopo quel colpo di teatro pareva un gigante. Simulava complicità, come tutti gli artisti quando vogliono il consenso di un giornalista: quel “lo dico solo a te” che non è mai vero. Come fosse, aveva vinto in partenza. Accadeva quasi quarant’anni fa, le sue parole sono da copiare e incollare ancora oggi: “In gran parte dell’Europa e dell’America è in atto – da parte dei governi – un imponente sforzo strategico per mantenere la supremazia militare nei confronti dei russi. E i problemi interni finiscono nascosti sotto il tappeto, con buona pace del desiderio di risolverli”. Sostituite Reagan con Trump e il gioco è fatto. Gli chiesi per quale motivo, in passato, avesse vagheggiato l’avvento di un Grande Dittatore. “Credo che i miei attestati di simpatia per un sistema totalitarista derivassero da un eccessivo uso di cocaina”, rise amaramente. “Al tempo mi servivo dei reporter per fare dichiarazioni sensazionali. Il 1975 e il ’76 furono due anni terribili per me, ero immerso nelle droghe fino alla punta dei capelli. Così decisi di lasciare l’America e stabilirmi a Berlino con Iggy Pop. Scappai, perché cadevo a pezzi. Le droghe mi avevano assorbito al punto che poteva finire solo in un modo. E non era esattamente ciò che desideravo”. Davanti al Muro vide un uomo (il suo produttore Tony Visconti) baciare una donna (non la moglie) e ne trasse ispirazione per Heroes, giurando che non avrebbe tradito le identità dei due amanti. “Vedere quella scena così ottimistica all’ombra di una costruzione che contraddice l’amore mi provocò un intenso turbamento”. Aggiunse, valutando l’effetto della frase: “Nessuno mi crede se dico che mi sento una persona come le altre, non una star. Vivo le stesse emozioni di chiunque”. Ripudiò con me il suo periodo hollywoodiano, quando si interessava “per noia” alla cabala e alla magia nera, ma difese la “sperimentazione bisessuale da adolescente”: “Uscivamo dai Sessanta, testavamo il corpo: non eravamo più figli dei fiori, c’erano da abbattere altri tabù. Mi divenne presto chiaro che ero un eterosessuale: sono attratto esclusivamente dalle donne”, dichiarò solennemente.
Affrontammo il tema dell’Aids, Bowie confidò nella scoperta di un vaccino, tracciò un parallelo con le urgenti ricerche sul cancro. Verso la fine della conversazione ci concentrammo sulle peripezie cosmiche dei suoi personaggi, da Ziggy al Maggiore Tom. Fu drastico: “Ridicolo pensare che gli uomini possano tentare di raggiungere qualcosa lassù tra le stelle, e abbiano la presunzione di impadronirsi di nuovi mondi. Il vero spazio infinito è quello interiore: troppo facile esteriorizzarlo alzando gli occhi al cielo e studiando soluzioni tecnologiche. I problemi dentro di noi non vengono risolti dal tentativo simbolico dell’esplorazione dell’universo. Dovremmo dedicare tutte le energie a inoltrarci nella psiche, non nel sistema solare. Se non disponiamo di un missile per perlustrare l’anima, concentriamoci su questa priorità, altro che Via Lattea. Conquistare cosa?”, si infervorò. A ripensarci adesso, Bowie avrebbe trovato la risposta alle proprie inquietudini con il suo passo d’addio, l’album Blackstar, dove il mistero dell’uomo perduto nel gelo di una tenebra senza fine pareva un’illuminazione definitiva. E lo era. Il disco, di nera, sconvolgente bellezza, uscì l’8 gennaio 2016. Due giorni dopo, David abbandonava il corpo fisico per vestire quello astrale. Cremato a New York, ceneri disperse a Bali in un luogo imprecisato: non voleva che la meta divenisse luogo di pellegrinaggio. Il 2026 sarà il decennale: tra gli altri eventi, un gala alla British Library di Londra, la mostra d’arte Hello Starman a Parma, il progetto live per orchestra “David Bowie Rock Symphony”, il documentario The final act, il libro di Paul Morley Oltre lo spazio e il tempo.
Il Duca Bianco sarà ovunque. Forse è pure rimasto in quella sala d’albergo, per chiedere tabacco a chi non fuma.