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 2025  dicembre 27 Sabato calendario

Le auto cinesi clandestine arrivano da noi

In Europa, culla di civiltà, baluardo di norme e regolamenti ossessivi per l’auto, c’è una crepa, una falla, un buco nero normativo attraverso cui sfrecciano – letteralmente – le auto cinesi di dubbia provenienza.
Non parliamo dei giganti come Byd, Geely, Chery, Leapmotor, MG e molti altri che arrivano con tutte le carte in regola, omologazioni luccicanti e un’aria da conquistatori educati. No, parliamo dei piccolissimi, dei brand dai nomi impronunciabili che sembrano usciti da Temu: auto che entrano in Europa come clandestini su un gommone, ma con quattro ruote e un motore turbo benzina da 1500 cc, sempre lo stesso, come un refrain ossessivo. La Commissione UE, con la solennità di un conclave, rivede la deadline per l’addio ai motori endotermici al 2035, lasciando uno spiraglio per le auto benzina e diesel, purché agghindate con moduli ibridi che nessuno capisce né vuole, ma che permette di fare il pieno dal benzinaio come sempre. E mentre noi europei ci gingilliamo con questi equilibrismi legislativi, i cinesi – che dal 2000 al 2021 (quando l’elettrico era ancora un sogno hippie) sono passati da 2 a 27,4 milioni di auto prodotte l’anno – marciano compatti. In Cina ci sono 150 marchi automobilistici, 97 dei quali domestici, più joint venture che spuntano come funghi. Un Far East dove startup nascono e muoiono, fusioni si consumano come matrimoni lampo. E i dazi sulle elettriche cinesi, quei baluardi doganali che dovrebbero proteggerci dall’invasione, non bastano. Perché? Perché esiste l’IVA. No, non quella sul valore aggiunto che ci tartassa al supermercato, ma l’Individual Vehicle Approval, un’omologazione per esemplari unici, one-off, roba da prototipi da salone o da collezionisti eccentrici. Invece, alcuni piccoli costruttori cinesi – e sottolineamo “alcuni”, per non offendere i grandi che giocano pulito – la usano come passepartout per inondare il mercato. Importatori spregiudicati, spesso in Germania o Polonia (dove tutto inizia), immatricolano queste auto come pezzi unici, bypassando i rigidi protocolli su CO2, inquinamento e sicurezza. Poi, zac, le rivendono in Italia o altrove, reimmatricolandole senza garanzie, senza ricambi, senza nulla.
Piccole aziende che si spacciano per costruttori, ma sono solo intermediari furbi, ingannano il mercato e persino gli addetti ai lavori. Intanto gli europei, con le loro flotte di ingegneri che sudano sette camicie per omologare ogni bullone, si trovano a competere con questi fantasmi orientali.
Concorrenza sleale, la chiamano, ma è un eufemismo. E il peggio è che questo macchia anche i cinesi seri che mai farebbero operazioni di questo tipo, quelli che investono miliardi in batterie e design, accomunati ai cugini di campagna dai nomi esotici in un unico calderone di sospetto. Così in un continente ossessionato dalle regole, c’è chi le aggira indisturbato e prospera alla grande.
Urge un intervento, una toppa normativa, un controllo ferreo da parte di chi di dovere. Per tutelare i consumatori, quei poveri automobilisti che si ritrovano con un’auto senza rete di sicurezza, letteralmente. E per salvare l’anima dell’industria europea.
Sono stati promessi controlli severi con conseguenze importanti. Staremo a vedere.