La Stampa, 27 dicembre 2025
Finanza artificiale
Il codice ha vinto. Non è più una previsione da saggistica finanziaria, ma il bilancio consolidato di un 2025 che consegna Wall Street a una nuova era geologica. Mentre il mondo si appresta a festeggiare l’arrivo del 2026, la finanza globale si riscopre governata da una rete invisibile di circuiti che anticipano e decidono il destino di nazioni e risparmiatori. La massa di capitale gestita integralmente da sistemi di Ai ha superato i 21.600 miliardi di dollari, una cifra pari al Pil combinato di Stati Uniti e Cina.
Al centro di questo nuovo impero digitale siede la piattaforma Aladdin di BlackRock, un ecosistema tech che da solo amministra il 7% degli asset mondiali. Servendo giganti come Deutsche Bank, Prudential e CalPERS, Aladdin è diventato il sistema nervoso centrale del capitalismo moderno: una rete che elabora dati macroeconomici, fluttuazioni valutarie e variabili geopolitiche in millisecondi per costruire portafogli immuni all’errore umano.
I padroni del denaro sono diventati i padroni dell’architettura di calcolo, trasformando le banche in giganti tecnologici che prestano, solo incidentalmente, capitali. Questa metamorfosi non riguarda solo la velocità delle transazioni, ma la natura stessa della decisione finanziaria, passata dalle mani di gestori esperti a modelli di apprendimento capaci di analizzare 2.000 variabili in simultanea per ogni titolo in portafoglio.
JPMorgan Chase chiude il 2025 con un budget per l’innovazione che ha toccato i 17 miliardi. Jamie Dimon ha imposto l’integrazione dell’Ai in ogni fibra della banca, utilizzando strumenti come “Moneyball” per prevenire gli errori psicologici dei gestori e il sistema COiN, capace di analizzare 12.000 contratti di credito in pochi secondi. Questo risparmio di 360.000 ore di lavoro annue ha generato profitti record, ma la forza lavoro globale ha visto un rialzo di appena l’1% nelle assunzioni.
Bank of America ha registrato oltre 25 milioni di interazioni predittive nel corso dell’anno, mentre Wells Fargo ha visto raddoppiare l’uso del suo assistente virtuale Fargo. Goldman Sachs ha esteso l’uso del proprio assistente generativo all’intera forza lavoro, riducendo i tempi di analisi dei mercati emergenti del 40%. Per Deloitte, l’Ai ha migliorato le performance di portafoglio del 27%, riducendo i costi operativi di oltre un quinto, ma questo balzo nasconde una tensione sociale che i vertici di Wall Street faticano a gestire, stretti tra l’euforia degli azionisti e il declino dei ruoli che per decenni hanno costituito l’ossatura della classe media finanziaria.
Sotto i rendimenti record si addensa poi l’ombra di un rischio sistemico che le autorità di vigilanza, da Basilea a Washington, considerano la vera mina antiuomo per il 2026. Il concetto di “monocultura algoritmica” tormenta i regolatori: se migliaia di istituzioni finanziarie utilizzano i medesimi modelli di base, prodotti da una manciata di aziende come Microsoft, Google e Amazon, un errore di calcolo o un pregiudizio insito nel codice potrebbe innescare una reazione a catena simultanea. Gary Gensler, alla guida della Sec, ha passato gli ultimi mesi del 2025 a lanciare allarmi sulla fragilità di un mercato dove il comportamento non è dettato dalla psicologia delle folle, ma dalla logica identica degli algoritmi. Questa prociclicità rischia di trasformare una normale correzione in un collasso, simile al flash crash del 2010 ma su scala planetaria.
La concentrazione del rischio non è solo logica ma fisica: l’intero sistema finanziario poggia oggi sulle piattaforme cloud delle “Magnifiche Sette”, rendendo un eventuale guasto tecnico o un attacco informatico a un data center un evento in grado di paralizzare i flussi di capitale mondiali in pochi minuti. La Banca dei Regolamenti internazionali ha avvertito che l’Ai introduce forme di frode invisibili, dove l’ottimizzazione automatica delle commissioni avviene a scapito del rendimento dei clienti, creando un conflitto di interessi che sfugge alle attuali norme e che potrebbe minare la fiducia nel sistema creditizio globale.
La risposta istituzionale è arrivata con affanno a inizio dicembre, con un nuovo ordine esecutivo degli Stati Uniti e l’implementazione delle linee operative dell’Ai Act europeo, che per la prima volta pongono limiti alla responsabilità degli algoritmi. Il vuoto normativo però rimane. Chi risponde se un’Ai genera un disastro finanziario sistemico? Il programmatore, il fornitore del modello o il ceo della banca che ha delegato la gestione? Mentre la Sec cerca di utilizzare la stessa tecnologia per monitorare le frodi, il rischio è che i regolatori, usando gli stessi strumenti delle banche, finiscano per condividerne i medesimi punti ciechi.
La finanza del 2026 nasce dunque con una contraddizione insanabile: da un lato l’efficienza estrema dei robo-advisor, dall’altro una perdita di controllo umano su sistemi che nessuno comprende fino in fondo. Wall Street ha abbracciato l’innovazione con l’entusiasmo di chi vede profitti perpetui, ma il timore è che il sistema stia vivendo la sua adolescenza tecnologica senza le protezioni necessarie. Il 2008 fu il fallimento dell’avidità umana; la crisi che si profila nel nuovo anno potrebbe essere il prodotto di una logica sintetica, fredda e priva di esitazioni, capace di distruggere valore in un tempo inferiore al battito di ciglia di chi, un tempo, credeva di avere il controllo totale del mercato.