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 2025  dicembre 27 Sabato calendario

Medici introvabili

I concorsi medici che finiscono deserti sono il primo segnale di una fragilità che rischia di trasformare una criticità gestibile in una falla strutturale del Servizio sanitario nazionale. Non si tratta soltanto di graduatorie con pochi idonei o rinunce in ultima battuta: sempre più bandi – soprattutto per Pronto soccorso, anestesia, urgenti e specialità usuranti – non raccolgono candidature sufficienti. È un fenomeno che sta crescendo con l’allentamento delle restrizioni al turnover e che potrebbe aggravare quella carenza di camici bianchi che oggi, pur non essendo ancora allarmante, è già sotto osservazione dai manager sanitari.
Nel corso del 2025 su 15.283 posti messi a bando dalle Regioni per varie specialità mediche 2.569, pari a circa il 17%, sono rimasti vacanti. Ma i camici bianchi. Si tengono alla larga soprattutto dai settori nevralgici e al tempo stesso usuranti del nostro sistema sanitario. Nella medicina di emergenza e urgenza, quella che deve cavarsela nel girone dantesco dei pronto soccorso d’Italia, su 976 posti disponibili, solo 537 sono stati assegnati, con circa il 47 % dei posti vacanti. Ma ci si tiene ala larga anche da anatomia patologica, radioterapia e discipline di laboratorio, specialità che i certi casi hanno oltre il 60% di posti non assegnati.
In Valle d’Aosta il 56% dei concorsi medici banditi sono andati deserti; al Cardarelli di Napoli un concorso per dirigenti di Pronto soccorso non ha registrato neppure un candidato; in Piemonte bando per cinque Pronto soccorso senza partecipanti; idem per il posto di dirigente del Serd (il servizio per i tossicodipendenti) a Trento e per i due posti da nefrologo alla Asl di Vercelli; a Rovigo nessuno per un posto da anestesista a tempo indeterminato; in diverse Asl del Nord-Ovest i bandi per ginecologia, ortopedia e urologia si chiudono nel nulla. È la punta di un iceberg che gli ospedali già percepiscono sulla loro pelle ogni giorno.
Una componente importante è poi la mobilità internazionale. Negli ultimi anni circa mille medici italiani ogni anno hanno richiesto i certificati per trasferirsi e lavorare all’estero, secondo stime della Federazione nazionale degli Ordini dei medici – un numero che è una costante, non un picco episodico. Altre fonti associative parlano di oltre 5.000 medici italiani e 1.000 infermieri che negli ultimi cinque anni hanno presentato richieste di trasferimento fuori dai confini nazionali, con mète che vanno dall’Europa settentrionale agli Emirati Arabi. Una fuga che non è solo statistica, ma impatta sugli organici locali, in particolare nei reparti più stressati e nel territorio.
Questa mobilità si somma a un altro problema: l’imbuto formativo. Il numero programmato all’ingresso di Medicina, le lunghe attese per le specializzazioni e la scarsa attrattività di alcune branche rallentano l’ingresso stabile di giovani medici nel mercato del lavoro. Secondo un’indagine del sindacato medico Anaao Assomed, anche molti concorsi di specializzazione restano senza assegnazione: nel 2024 non è stato attribuito il 25% delle borse di specializzazione, mentre per medicina d’emergenza-urgenza è stata assegnata meno di una borsa su tre.
Percentuali molto alte di posti non coperti si rilevano per microbiologia, patologia clinica, radiologia, medicina nucleare.

Ma a rischiare la desertificazione sono soprattutto gli studi dei medici di famiglia. Nel 2024 su 2.623 borse di studio disponibili, infatti, sono solo 2.240 i candidati che si sono fatti avanti, lasciando vuoto il 15% dei posti disponibili con punte nelle Marche (881 candidati per 155 posti), Toscana (150 presenti per 3200 posti), Veneto (186 aspiranti medici di base per 212 posti disponibili).
I numeri raccolti da Istat e Agenas raccontano di una grande fuga dei medici di famiglia, che dagli oltre 46mila del 2002 ha portato 42.426 medici nel 2019, 41.707 nel 2020, 40.250 l’anno successivo per arrivare da qui al 2025 a contarne solo 36.628, qualcosa come diecimila in meno in 12 anni
, durante i quali la popolazione sarà pure leggermente diminuita ma è anche invecchiata. E sono proprio gli anziani a fare più spesso visita agli ambulatori dei camici bianchi sul territorio. Il problema è che già oggi la maggior parte di loro ha oltre 25 anni di servizio e il ricambio generazionale non è in vista all’orizzonte. Anzi, secondo l’Enpam, l’ente previdenziale dei dottori, i giovani formati da qui al 2031 copriranno solo la metà dei 20mila medici di famiglia destinati ad andare in pensione, visto che oltre il 50% di loro ha già più di 60 anni.
In questo contesto la sfida è doppia. Da un lato c’è la gestione del turnover e delle pensioni di massa che si avvicinano – nel 2022, un quarto dei medici di famiglia e ospedalieri aveva già superato i 60 anni – con prospettive di uscite significative nei prossimi dieci anni. Dall’altro c’è la capacità di attrarre e trattenere professionisti sanitari qualificati, in un mercato europeo dove la domanda è diffusa e i salari e le condizioni di lavoro spesso più vantaggiosi. Senza contromosse valide non solo quella infermieristica, ma anche l’emergenza medica è destinata ad esplodere.