Corriere della Sera, 27 dicembre 2025
Intervista a Gianni Ippoliti
«Praticamente fino alla laurea non sono mai uscito di casa. Ero tutto studio e lavoro: ho iniziato a lavorare a 11 anni».
Un po’ precoce. Che lavoro faceva a 11 anni?
«Il porta-quote alle corse dei cavalli. Andavo in giro per l’ippodromo con i fogliettini con i favoriti per le scommesse».
Intraprendente fin da subito. Gianni Ippoliti è un’anomalia nella tv italiana, un autore e conduttore che ha fatto della satira un esercizio di intelligenza più che di sarcasmo. Sottilmente provocatorio nel suo spazio domenicale a Unomattina in famiglia, da 25 anni la sua rassegna stampa smonta i luoghi comuni del giornalismo: osserva, annota, denuda e ridicolizza certi cliché con un tocco surreale. Ippoliti è una figura laterale che ci ricorda che la televisione può ancora essere pensiero.
Si è definito né autore né conduttore ma piuttosto «personaggio di rottura».
«Perché rompo una struttura e la ricompongo alla mia maniera, vado a destrutturare certe costruzioni per ricostruirle: la finta rassegna stampa dei giornali è nata proprio per rifare il verso dei giornali, per renderne evidenti e colpire i cliché e un certo manierismo, a volte certi titoli non cercano la notizia ma la rappresentazione teatrale».
Oggi il fake è dominante, lei ne ha intuito i risvolti surreali e comici con largo anticipo. Il finto titolo di cui va più fiero?
«Al Festival di Sanremo condotto da Baudo. Mostravo il manifesto che titolava a nove colonne: Pippone nazionale. In sala stampa ci fu una standing ovation».
L’hanno anche copiata.
«Tanti altri, anche a Sanremo, hanno fatto la mia rassegna stampa, ben guardandosi dal citare la fonte».
Ogni riferimento a Rocco Tanica è voluto.
«Mamma mia. Ma come si fa? Tu copi paro paro un’idea e non dici mai a chi ti sei ispirato. Copiata poi, per carità, pure male. Che è quello che mi fa rabbia. Copiateme, ma copiateme bene come diceva Gigi Proietti».
Il quiz «Soliti Ignoti» di fatto lo ha inventato lei all’interno di «Girone all’italiana» di Andrea Barbato nel 1991.
«Proposi a Guglielmi il primo quiz fisiognomico non comprato dagli Stati Uniti e lo presentai in un galà Rai con Pippo Baudo. Invitai una persona sul palco e chiesi se secondo il pubblico fosse un impiegato delle poste, un netturbino o il custode di una palestra. Ricordo le parole di Augias: devo dire che sembrava un esercizio frivolo, però in effetti lo trovo interessante».
Come era la Rai3 di Guglielmi?
«Una frase per capire. Un giorno mi disse: se lei vuole lavorare con me, ogni anno mi deve portare tre format inediti, ma l’anno dopo non li può più ripetere».
Sembra proprio la strategia di oggi. Uguale proprio...
«Ammesso che io avessi nuove idee, era un grande stimolo. Anche quel quiz, nonostante gli ottimi ascolti, durò una sola stagione».
Poi nel 2007 andò davvero in onda «Soliti Ignoti», che per anni è stato un grande successo, da Frizzi ad Amadeus.
«Mi chiamò Pippo Baudo per avvisarmi che la Rai voleva proporlo, che mi avrebbero chiamato, ma non si fece vivo nessuno. Ancora oggi nei titoli di coda leggo che è tratto dal format originale americano ideato da Tim Puntillo».
Quindi hanno preferito comprarlo all’estero piuttosto che riconoscerle i diritti?
«Andai all’ufficio acquisti, dissi che se avessero fatto una causa milionaria agli americani avrebbero vinto. Il dirigente di turno rimase muto, non sapeva cosa dire».
Lei quanto ci è rimasto male?
«Forse è stata l’esperienza che più mi ha amareggiato nella mia carriera. Non ho mai fatto rivendicazioni economiche né preteso di condurlo io. Avevo semplicemente chiesto più volte di scrivere da un’idea di Gianni Ippoliti, non di Tim quel che è».
Con Tiberio Timperi vi siete scontrati in diretta: cosa è successo?
«Preferisco non parlarne e non nominare alcune tipologie di persone. Mi piace parlare solo degli incontri felici».
Come era arrivato in tv?
«Appena laureato, per la prima volta andai in discoteca, al Jackie O’: mi misi ad accennare due passi di danza da solo, una notissima attrice mi si avvicinò e ballammo per mezzora».
Chi era la notissima attrice?
«Non posso rivelarlo, è una questione di privacy».
Comunque si fece notare.
«Tutti si chiedevano: chi è questo misterioso personaggio che non si è mai visto nelle discoteche? Uno spacciatore, un criminale, un gay? Così mi presero nel ’77 a Piccolo Slam e mi inventai l’ospitata per la promozione, all’epoca non lo faceva nessuno: la cosiddetta marchetta non esisteva. In un programma per giovani ebbi ospiti grandi personaggi come Olga Karlatos, la protagonista dell’Eneide, e Grace Jones. Feci 31 puntate ma non mi fecero mai firmare una liberatoria: per quel programma non sono mai stato pagato».
Altre invenzioni?
«Al Barattolo, con il debutto di Frizzi in tv, feci i primi vox populi: nessuno era mai andato per strada a fare domande di attualità o a chiedere curiosità alla gente comune. Alla fine del programma annunciarono, a sorpresa, in diretta, che sarei stato il conduttore della successiva edizione: non ne sapevo niente e rimasi senza parole».
A inizio anni 80 su una tv locale romana conduceva già una (vera) rassegna stampa dei giornali del giorno dopo, quindi ha ideato «Provini» che portava in tv un manipolo di dilettanti allo sbaraglio.
«Per quanto possibile, ho cercato sempre di portare in tv cose che non c’erano. Nei panni di un finto produttore televisivo e cinematografico facevo fare provini di recitazione a sconosciuti che volevano fare carriera nello spettacolo. Per una serie di circostanze fortuite, Roberto Giovalli, allora direttore delle reti Mediaset, mi chiamò a Milano. Provini fu un grande successo di Italia 1: non costava nulla e la gente veniva gratis».
«Dibattito!» inscenava invece un finto talk, una tavola rotonda costituita da opinionisti sconosciuti. Lì ha lanciato Luca Laurenti.
«Cantava in un gruppo che faceva serate gratis e il padre mi chiese di dargli una mano. Gli dissi: se tu ti fidi di me un giorno andrai a Sanremo».
Così è stato. Le è riconoscente?
«Leggo sempre che è stato scoperto da Paolo Bonolis...».
Il collegamento più folle con Simona Ventura a «Quelli che il calcio»?
«Una diretta da Punta Perotti, quando dovevano abbattere l’ecomostro. Mi inventai un fantomatico notaio con tanto di caschetto giallo in testa che doveva spingere il pulsante per far scattare la detonazione. Andarono tutti a intervistarlo».
Intraprendente fin da piccolo.
«Al liceo ci capitò un’insegnante di matematica che riciclava i compiti in classe delle altre sezioni. Facevo incetta di tutte le prove e le rivendevo ai figli di papà: ero lo spacciatore dei compiti in classe».
Altre idee per guadagnare?
«Alla fine dell’anno scolastico quando uscivano i quadri andavo dai promossi, mi facevo regalare i libri che non avrebbero più usato e li rivendevo».
Chi sono personaggi di rottura oggi?
«Penso a Pio e Amedeo, a Checco Zalone, un personaggio simpaticamente devastante».
La tv di una volta?
«Aveva programmi e bisognava decidere a chi farli condurre. Oggi non ci sono più programmi, ma solo salotti con centinaia di aspiranti presentatori».
La differenza più grande?
«All’epoca un direttore interrompeva una riunione per ascoltare le tue idee. Oggi se vai a proporre qualcosa ti prendono per matto».