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 2025  dicembre 27 Sabato calendario

I cinque gruppi islamisti e le bande di predoni: il Paese sfida la violenza

Lo strike americano in Nigeria non rappresenta una sorpresa, risponde a una strategia della Casa Bianca e si svolge in un teatro complesso dove non sempre il nemico è ben delineato. Ci sono infatti sovrapposizioni, sigle, scissioni, personalismi.
Donald Trump aveva promesso un’azione decisa in difesa dei cristiani nigeriani, una campagna presentata come una risposta alle stragi compiute dai terroristi islamici. Un messaggio forte che ha l’appoggio della base evangelica del suo elettorato e che non a caso si è tramutato in un attacco sferrato in concomitanza del Natale.
Molti esperti, però, sottolineano che le violenze coinvolgono tutte le componenti della grande nazione africana, in altre parole in Nigeria le aggressioni non hanno come target i soli cristiani. La minaccia riguarda lo Stato nella sua interezza.
Non solo: alla sfida dei predicatori della guerra santa si aggiungono i contrasti profondi tra clan di agricoltori/allevatori, le lotte enfatizzate da questioni etniche. In Nigeria si spara e si uccide in nome di tante cause. Problemi che incidono in quanto impegnano le forze di sicurezza di Abuja su una linea troppo ampia.
Da anni nel grande Paese africano agiscono militanti di ispirazione jihadista, eredi del qaedismo e poi associati, in forme diverse, al Califfato. C’è una tradizione, ci sono gli uomini, le armi non mancano come si moltiplicano i capi e i sottocapi. Un recente report statunitense del Combating terrorism center (Ctc) dell’Accademia di West Point ha indicato almeno cinque entità: Mahmudawa, guidato da Mallah Mahmuda, presente anche in Niger e in alcune zone del Benin; Jas, fazione nata dalle ceneri di Boko Haram, che continua le sue incursioni in diverse aree; la Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico, ritenuto il gruppo più poderoso e con molte ambizioni: il rapporto ricorda l’assalto al carcere di Kuje, operazione spettacolare del giugno 2022 conclusasi con la liberazione di sessanta detenuti. Un colpo che ricorda quelli dell’Isis in Medio Oriente prima dell’offensiva del Califfato. Ansaru, altra costola staccatisi da Boko Haram; Lakurawa, composto da guerriglieri locali ma soprattutto da combattenti provenienti da Stati vicini.
Alcuni dei movimenti hanno condotto attentati suicidi in serie, usato un alto numero di donne e persino di minori. Una tattica feroce per superare i controlli e cogliere di sorpresa persone inermi.
Esiste poi una seconda minaccia multipla: accanto alle mosse sanguinose ispirate dall’ideologia radicale ci sono le scorrerie di predoni e l’economia parallela dei sequestri di massa. In alcuni casi queste gang operano assieme ai miliziani per pragmatismo, ci sono punti di contiguità, aree grigie dove si mescolano spinte e interessi. Sempre lo studio del Ctc sottolinea un doppio aspetto: i jihadisti traggono vantaggio dalla presenza dei banditi (stimati in circa 30 mila unità) perché aprono fratture e creano instabilità; al tempo stesso l’autonomia dei network criminali diventa un ostacolo.
Siamo in un quadrante altamente instabile, con gli attacchi continui di qaedisti e Califfato lungo l’intero Sahel. Burkina, Niger, Mali sono le realtà più esposte ma è evidente il tentativo degli estremisti di avanzare verso la costa occidentale del continente. È cambiato anche il contesto internazionale, così come sono mutati i rapporti di alleanza. I francesi sono stati scalzati via dai russi che hanno inviato prima mercenari e poi militari, un impegno profondo legato allo sfruttamento minerario. La missione di Mosca, se da un lato ha puntellato i regimi, dall’altro non è riuscita però ad allontanare i pericoli. La prova evidente è il Mali sotto assedio.
Washington, con la presidenza Trump, ha preferito dedicarsi ad altro. Così il Pentagono ha chiuso una base per droni in Niger e ha ridotto la presenza nello scacchiere preferendo concentrarsi sulla Somalia, dove ha condotto molti raid contro gli Shebab rimasti fedeli ad Al Qaeda. Ora, però, ha aperto il nuovo fronte nigeriano.