La Stampa, 24 dicembre 2025
Intervista a Martina Corgnati
La voce arriva calda e avvolgente, ricordo nitido di un passato che non se ne vuole andare, e si capisce subito il perché. Milva: Nuove Tracce, album appena uscito, ci rimanda – con «la Rossa» come l’aveva battezzata Enzo Jannacci – a una stagione di grandi interpreti che sapevano passare con agio dalla canzone al teatro alla tv, senza infilarsi nelle provocazioni estetiche contemporanee. Con la produzione artistica di Lucio Fabbri, ecco versioni mai pubblicate di pezzi celebri, come l’epica Alexander Platz di Battiato o la per lei inedita Il nostro concerto di Bindi (imperdibile); ma anche due brani inattesi di Faletti o Caruso di Dalla rispolverano il gusto della sorpresa dopo 15 anni ad aspettare di vedere la luce. C’è un’ulteriore sorpresa, l’inedito Amore vista pioggia, nata in Monferrato, è uno squarcio di verità nel racconto venato di ironia, di un amore appassito e stanco che si consuma fra i fornelli e un bicchiere di vino, scritto da Enrico Ruggeri con Paolo Frola e Luca Ghielmetti. Un tris di cantautori, e Milva qui esibisce tutta la sua teatralità.
La canzone piace assai anche a Martina Corgnati, che di Milva è l’unica figlia. Docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Brera, e preside del Dipartimento di Comunicazione e Didattica, nella sua vita ha finito per seguire le orme del padre Maurizio, regista in cinema e tv ma poi critico d’arte e agitatore di varie iniziative: a Maglione nel Canavese, suo luogo d’origine, aveva fondato un museo d’arte contemporanea a cielo aperto che vive tuttora. Conobbe Milva negli Studi Rai di Torino, dove la già promettente Pantera di Goro era arrivata grazie alla sua voce, e fece di lei una signora e una diva. Si sposarono nel ‘61. Martina nacque nel ‘63. Nel tempo è rimasta un’appassionata fervida dell’arte di sua madre. Ha scritto un libro su di lei, Milva, l’ultima diva. Autobiografia di mia madre un paio di anni dopo la sua morte, il 23 aprile 2021. Da lì, è uscito Milva diva per sempre, documentario di Longoni su Raiplay.
Martina Corgnati ha fama di grande lavoratrice, come del resto sua madre.
«In effetti... Ho aperto una Fondazione di storia dell’arte dopo la morte di mamma, ma con una specie di delega alla sua memoria, la professione della sua eredità culturale, si chiama Insula Felix. Ho aperto anche un sito, Insula Felix.eu. E ho rifatto pure il sito di mamma, www.milva.it».
Quanto c’entra lei, storica dell’arte, con il mondo della musica popolare?
«Pochissimo. Vivo in un ambiente molto universitario e ho difficoltà a capire quel mondo, tutto diverso. Ma c’è stata una mostra su Milva all’Università di Bologna, alla quale ho donato tutto il suo archivio, perché volevo restasse accessibile a giovani e studiosi, a maggior ragione perché non ho figli. E ci sono state molte altre attività: ho fatto una serata da Andrée Shammah al Franco Parenti, essendo il Piccolo molto inerte; e ora il progetto del discografico Mario Limongelli per questo nuovo album: lui aveva incisioni di grandi pezzi e suoi cavalli di battaglia. Sono andata in sala diverse volte, ho dato consigli a Lucio Fabbri, e materiali anche inediti. Volevamo far vivere questi pezzi molto belli, che lei aveva avuto voglia di incidere, 15 anni fa. È stato giusto e bello farli ascoltare».
I figli d’arte spesso non hanno consapevolezza della dimensione pubblica dei genitori.
«Uno dei compiti che mi sono assunta è stato di trasferire la memoria più veritiera e intensa possibile di una donna difficile e straordinaria, e come interprete fuori dalla normalità. Lei era tutto, ha toccato repertori veramente difficili. Andare alla Scala con Berio, e poi affrontare Piazzolla e Battiato e Vangelis e Theodorakis o Jannacci tutto più o meno assieme, suona incredibile. Nessuno stava in teatro come lei e cantava come lei. Non Mina non Vanoni, e non c’era un vero rapporto fra loro che io sappia. Iva Zanicchi mi è stata molto vicina e affettuosa, perché soprattutto all’inizio ero un po’ persa e le sono grata. Non è il mio mestiere, non era il mio mondo. Invece ricordo un incontro bello a Zurigo con Cecilia Bartoli, ho percepito stima e affetto. Anche questo un amore indotto da mio padre, ho avuto una buona scuola; penso che scriverò un altro libro».
La storia di una famiglia, nel suo primo libro.
«Sono una storica, e ho fatto emergere nel libro per esempio la figura di mia nonna materna Noemi, la parte creativa della famiglia, con un gran talento musicale; ho rimesso insieme varie figure. Mi è piaciuta molto Amore vista pioggia, che mi ha fatto venire in mente Paolo Conte, per me una divinità assoluta, per queste atmosfere provinciali».
Degli anni giovanili che ricordi ha?
«Da bimba abitavo a Leinì vicino Torino con nonna Noemi, la mamma stava a Milano e ogni tanto mi portavano da lei: ricordo le prove e le repliche dell’Opera da tre soldi nel ‘73, avevo 9 anni. Studiavo ma i suoi concerti importanti li ricordo: Piazzolla a Parigi, e poi Piazzolla in Giappone, dove aveva portato il tango. E nel ’98- ’99 il teatro Verdura di Palermo aveva messo in scena Maria di Buenos Ayres e siamo state insieme molti mesi».
Ha ricordi di Sanremo?
«Ci sono stata solo nel 2018, quando ho ritirato per lei il premio alla carriera. Ma il mito familiare è che io fossi stata concepita a Sanremo. Da piccola lo guardavamo sempre, facevo il tifo da casa a Leinì. Me lo ricordo anche in bianco e nero, il Festival».
Di quell’ambiente musicale, che cosa capiva?
«Non molto, veramente. In Fondazione faccio delle serate dedicate a Milva, e ho un amico, Giovanni Nuti, compositore, che viene spesso a esibirsi: quest’anno per i 5 anni dalla scomparsa faremo più cose per lei fin da aprile, anche a Torino. Forse una mostra. Il 21 aprile, verrà un’antropologa argentina, Maria Susana Azzi, e parlerà dell’importanza di Milva per Piazzolla: quando loro due si sono conosciuti, mia madre era famosissima ma Piazzolla no, e l’Argentina riconosce a Milva un ruolo essenziale per la divulgazione della sua musica. L’Accademia delle Arti e delle Scienze della comunicazione di Buenos Aires mi ha chiesto di diventare Accademico, il 30 settembre andrò a fare la Lectio Magistralis a Buenos Aires. Musicisti del mondo popolare non ne conosco, vado ai concerti al Conservatorio, ma non per snobismo. Non so chi ha vinto Sanremo, quel che ascolto mi sembra molto poco interessante».
Ha seguito le orme di papà Maurizio, nella vita.
«Mi ha incoraggiata molto. Non solo, ma io gli avevo promesso che mi sarei occupata di lei quando lui sarebbe morto, e l’ho fatto. Credo si siano molto amati, papà ha avuto un ruolo importante nel far capire la grandezza l’importanza il valore di Milva».
Secondo lei, cosa ricorda di più l’Italia della figura artistica di sua mamma? La parte leggera, o quella impegnata?
«L’aspetto straordinario di lei è che era insieme pop e non pop. In Italia non penso si ricordino che nell’82 ha cantato alla Scala con Berio. Come non si ricordano che ha cantato con Morricone. E del periodo tedesco penso non si sappia niente».