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 2025  dicembre 24 Mercoledì calendario

Vittorio Gallinari: “A mio figlio Danilo non so dire che gli voglio bene”

Si guarda intorno con gli occhi seri. Vittorio Gallinari mostra orgoglioso la stanza in cui ci sono le maglie di due vite, la sua e quella del figlio. Dalla libreria pesca il cappellino dei Knicks, di quando Danilo fu selezionato al Draft Nba, e la voce s’incrina: «Il momento più emozionante. L’hanno chiamato, ci siamo alzati e abbracciati. Un riassunto di quello che abbiamo fatto come famiglia». A 67 anni si divide tra Milano e Graffignana. La villetta dove è cresciuto Danilo è ancora lì, il cortile come un campetto di basket. «Ci sfidiamo quando Danilo viene da Miami. Chi vince? Pareggiamo».
Lei è stato il primo Gallo, colonna difensiva della Milano di coach Dan Peterson.
«Ho iniziato a giocare tardi: a 16 anni ero già 2 metri, mi spinsero a forza in campo. Ma non avevo una gran tecnica. Nessuno vuole difendere, lo feci io. ‘Gallo vai, pensaci te’, mi diceva Peterson».
Con cui ha un rapporto speciale.
«Lo portavo agli allenamenti, non guidava. Quando perdevamo, rientrava in taxi ma dopo un paio di giorni squillava il telefono: “Andiamo insieme?”. Era un po’ tirchietto. Una bella persona. E un grande appassionato di storia: mi ha raccontato tutta l’epopea dei Nativi americani. La nostra Olimpia era un gruppo irripetibile».
C’era anche Mike D’Antoni.
«Vivevamo assieme. Mi ha fatto scoprire il burro d’arachidi: non mangiava altro a colazione, andava fino alla base americana a Vicenza per comprarlo. Poi l’ho ritrovato come coach di Danilo».
Quando fu scelto dai Knicks.
«Lo voleva Minnesota che aveva la chiamata 3, contro la 6 di New York. L’agente fu bravo a far capire a tutti la nostra meta preferita».
Suo figlio ha avuto la carriera che meritava?
«Senza infortuni sarebbe stato un All Star fisso. Aveva le qualità per esserlo, ma si è sempre bloccato sul più bello. A New York lo hanno ceduto per Carmelo Anthony, a Denver la squadra era seconda a tre gare dai playoff, lui si spaccò il ginocchio. E poi Boston: firma e si infortuna in Nazionale».
La scorsa estate Danilo è stato schierato poco dal ct Pozzecco.
«Gianmarco ha sempre avuto le sue idee, non mi ci faccia entrare».
La generazione d’oro del basket italiano – Gallinari, Bargnani e Belinelli – poteva ripetere l’argento di Atene 2004?
«Potenzialmente sì. Ma assieme hanno giocato poco. Potevano essere gestiti meglio».
Quanto è cambiato il basket rispetto a quando giocava lei?
«Oggi è tutto un corri e tira: un’involuzione più che un’evoluzione».
Ha vissuto Milano negli anni 80. Differenze rispetto a oggi?
«Ti sentivi libero, non c’era la delinquenza di adesso. Non ho niente contro gli stranieri, ma mischiare le culture non è mai facile. Può creare conflitti».
La fotografia che conserva?
«Un bel concerto di Bob Dylan».
E il poster in camera di Danilo?
«Michael Jordan».
Suo figlio ha mai esplorato altri sport?
«Il primo pallone che ha visto, lo ha fermato con le mani».
Che rapporto ha con lui?
«Non parliamo mai di pallacanestro, non ne capisce niente (ride, ndr). Per il basket c’era l’allenatore, io ci sono per consigli sulla sua vita. Ma nella gestione quotidiana i meriti maggiori sono di mia moglie Marilisa: è stata bravissima con Danilo e Federico, l’altro nostro figlio».
Ecco, il confronto tra i due figli è stato difficile da gestire?
«Anche Federico ha giocato, mi dispiaceva se la gente gli faceva pesare il cognome. Noi non abbiamo mai fatto paragoni. Ora è nello staff dei Detroit Pistons».
Vittorio Gallinari che nonno è?
«Ho tre nipoti, quando li vado a trovare sono felice. Ma dopo un po’ diventa pesante: “Nonno, nonno”, gli corro sempre dietro. Danilo sa che a me piacciono le famiglie numerose: gli ho detto di andare avanti».
Condivide la sua scelta di vivere in America anche a fine carriera?
«Per i figli è giusto così, avranno più opportunità. Io non ci vivrei».
È orgoglioso di Danilo?
«Sì, ma lo sono di più per la persona che è diventato. Non è mai cambiato».
Lui lo sa?
«Non gli ho mai detto “Ti voglio bene”, né quanto sono fiero di lui. Ma so che lui lo sa».