la Repubblica, 24 dicembre 2025
Intervista a Francesco Renga
«La musica è trascrizione di ciò che vivo e sento». A Sanremo, Francesco Renga, 57 anni, può dirsi di casa: ha vinto l’edizione 2005 con Angelo e poi è tornato più volte all’Ariston. Quest’anno è in gara tra i Big con Il meglio di me.
Quale parte di lei considera come il meglio?
«Quando decidi di essere uomo decidi anche di dare il meglio di te affrontando mostri e dubbi. È difficile essere risolti, te lo chiedono tutti ma nessuno può pensare di essere perfetto. Nella vita da adulti tutto è complicato, il fardello è più pesante, devi affrontarlo in solitudine e non proiettarlo su coloro che ami».
Vale anche sul piano professionale?
«C’è stato un momento in cui ero un po’ perduto. Ho provato a fare cose cercando di assecondare il mondo che mi circonda, parlando anche a generazioni più giovani. Era come se ci fosse una ricerca di benevolenza da accattivare. Mia figlia mi ha sempre detto “devi fare quello che fai tu, essere ciò che sei”. La canzone deve accontentare me. Anche se poi finisce per piacere anche al mio pubblico, a chi è cresciuto con me».
Restiamo su Sanremo: a parte la vittoria, dei momenti brutti?
«Li ricordo tutti con affetto, ma non sono mai andato su quel palco con velleità da classifica. È stato sempre una grande opportunità per dare una fotografia di ciò che ero in quel momento. Ripensando alla vittoria, fu molto fortunosa; erano anni in cui non tutti volevano andare, mi chiamò Bonolis, era un periodo in cui andavo bene. Scrissi Angelo in una notte mentre guardavo le immagini dello tsunami. Quando vinsi guardai Ambra: eravamo increduli, stralunati».
Torniamo alle origini: lei hai iniziato con un concorso scolastico. Sentiva la vocazione?
«Ho cominciato in modo quasi casuale. Mio fratello ha 7 anni più di me, aveva una band con cui suonava i Genesis e il progressive, io andavo ai suoi live e in sala prove. Un giorno il chitarrista mi disse di provare a cantare un pezzo dei Genesis, avevo 12 anni, rimasero stupiti. Ricordo il primo momento in cui sentii la voce amplificata: ho pensato “devo fare questo”, non ho mai avuto un piano B. Ho un’attitudine naturale, non ho grandi meriti, la spiacevole sensazione di non esserti guadagnato nulla che esce quando le cose magari non vanno. Pensi sia il prezzo da pagare. Ma cantare era l’unico modo per raccontarmi».
Suo padre la voleva ufficiale della Guardia di Finanza.
«Finito il liceo, era appena venuta a mancare mia madre, a casa si era perso un po’ il centro. Per mio padre, che era sottufficiale della Finanza, la soddisfazione più grande era dare a suo figlio la possibilità di diventare ufficiale. Feci un concorso e mi presero. Io però ero già con i Timoria. Per la prima volta diedi a mio padre una grande delusione. Da allora qualcosa è cambiato: si è totalmente dimenticato di me, tornò in Sardegna, mi lasciò la casa dove vivevamo che dovevo mantenere. Quando gli chiedevano che lavoro facevo bofonchiava, ma quando vinsi Sanremo diventò molto orgoglioso di me».
Ha detto che i Timoria erano diventati la sua famiglia. Pedrini ha avuto problemi di salute. Vi sentite?
«Con Omar ci sentiamo spesso, siamo molto vicini. I miei rapporti con la band erano strettissimi: avevo perso mamma, mio padre era andato via, mio fratello conviveva quindi di fatto la band era la mia famiglia. La separazione fu una grandissima sofferenza, soprattutto umana. L’unità è stata la nostra forza. Vivevamo 24 ore insieme, anche quando non suonavamo. Non abbiamo più parlato della separazione, che ha provocato tanta sofferenza in tutti noi. Anni dopo sentii Omar per invitarlo a un evento benefico, era come se ci fossimo sentiti la sera prima».
Con Ambra invece?
«Ambra la sento più ora di qualche tempo fa. L’amore è rimasto intatto, come con Omar. Se il rapporto è vero anche dopo le rotture rimane».
Ha collaborato con tanti artisti. Qual è il ricordo più emozionante?
«In La strada avevo citato un Vangelo. Mi venne in mente che quella frase poteva cantarla solo Battiato. Gliela mandai, la fece, ha dato un colore unico a quel pezzo, capii che la sensazione che avevo avuto era giusta. Ricordo anche che una giovanissima Elodie cantò con me, una collaborazione con Placido Domingo…».
Con Nek c’è un rapporto speciale.
«Con Filippo ci sentiamo spesso, c’è un’amicizia vera: in questo mondo siamo tutti amici ma fino a pagina 2. Le cose fatte insieme sono state una parentesi bellissima in un periodo in cui avevo bisogno di staccare un po’ la testa. Abbiamo coltivato la terra insieme, c’è stato tanto divertimento. Viviamo vicini, è tutto molto facile».
È stato giudice di un talent: che idea si è fatto di quel mondo?
«Quando cominciai ci chiamavano Precious Time, ero al liceo, era nato un concorso tra istituti. C’erano solo band, chi vinceva faceva un provino e poteva registrare in studio. Era un talent ante litteram, analogico ma simile. Il mio giudizio è positivo, ben vengano, sono stato sempre molto rispettoso e non vorrei mai trasformarmi in quelli che ci bacchettavano quando abbiamo iniziato».
Con i suoi figli invece come va?
«Mia figlia, che studia a Milano, mi dà una grossa mano con i social, credo la porterò a Sanremo. Il maschio è più orso, vive con me. Sono i miei occhi e le orecchie sul mondo di oggi».
Si sente ancora un rocker o quella fase è passata?
«Mi sento un rocker perché il rock è attitudine: sarei rock anche cantando Verdi».
Ha ancora sogni nel cassetto?
«Un duetto con Bono degli U2».