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 2025  dicembre 23 Martedì calendario

Intervista a Carlo Rovelli

«La scienza e l’arte danno la possibilità di vivere nel mondo senza doverne accettare tutte le regole: se ho scelto la fisica teorica è proprio perché mi lascia una straordinaria libertà che, se lavorassi in banca, non potrei permettermi».
Alternativo e, a modo suo, disadattato, Carlo Rovelli lo è sempre stato, fin da ragazzino: a 14 anni il primo viaggio da solo e la disavventura di essere turlupinato e derubato di tutti i soldi alla Stazione Termini, dove aveva dormito in un vagone. Un altro se ne sarebbe tornato a casa con la coda fra le gambe, lui invece proseguì in autostop fino a Napoli: «Ci sono rimasto una settimana, ospite di sconosciuti, gente dalla generosità straordinaria».
Altri tempi e altra fiducia nel prossimo, forse anche una buona dose di fortuna, ma di lì a qualche anno l’animo ribelle è tornato a farsi sentire: all’università a Bologna nel 1977, quando trasmetteva a Radio Alice, la radio del movimento, e venne pure picchiato dalla polizia. Nell’82 lo arrestarono perché si rifiutava di partire per il servizio militare e in seguito, con un gruppo di amici, “rapì” la sua fidanzata dal reparto psichiatrico dov’era ricoverata per occuparsi di lei. Oggi, a sessantanove anni d’età, vive a Madrid con la sua compagna, è responsabile dell’Équipe de gravité quantique del Centre de physique théorique dell’Università di Aix-Marseille e ha appena pubblicato con Adelphi Sull’eguaglianza di tutte le cose, tratto dalle lezioni tenute al Dipartimento di filosofia dell’Università di Princeton.
Professor Rovelli, com’era lei da giovanissimo?
«Da ragazzino ero molto estremista e confuso: quando ero al liceo classico dicevo che nella vita volevo fare il mendicante, e quando commentavano che avevo poca stima di me stesso rispondevo no, perché il mio modello è Buddha… Poi ho abbandonato certe idee assurde, ma se avessi smesso di fare scienza forse avrei fatto il volontario in Africa».
All’università a Bologna frequentava il “movimento”.
«Trasmettevo a Radio Alice, di notte, programmi di poesie e viaggi. Ho anche contribuito alla nascita di Radio Anguana a Verona (la città di Rovelli, ndr), un’altra emittente libera: una volta ho portato il vecchio trasmettitore di Radio Alice a Verona, ho parcheggiato malamente in piazza Dante e al mio ritorno ho trovato la mia 127 circondata da poliziotti: dentro hanno trovato il trasmettitore e il manoscritto del libro Fatti nostri, sulla rivolta studentesca del marzo ’77. Mi hanno fermato, portato in questura e picchiato pesantemente, sono uscito pieno di sangue».
Era in qualche gruppo extraparlamentare?
«No, facevo parte dei ragazzi che nuotavano nel movimento, dopo il Club di Topolino a cinque anni non ho più avuto nessuna tessera».
I suoi genitori come la pensavano?
«Erano disperati e molto angosciati, pensavano che sarei finito male, soprattutto mia madre. Mio padre era un borghese per bene, molto conformista, sempre in giacca e cravatta, il figlio ribelle che fumava marijuana era una sofferenza, ma non ha mai perso la fiducia: è l’uomo che più ho apprezzato in vita mia».
Non voleva neanche fare il militare.
«Avevo fatto domanda per il servizio civile ma non mi è stato concesso perché ero troppo discolo. Allora ho bruciato la cartolina in piazza Bra a Verona e mi sono consegnato alla polizia come renitente alla leva. Non volevo fare il soldato, non volevo tagliarmi i capelli, vedevo il servizio militare come una macchina che serviva per fare la guerra. Così ho cercato di costruire un caso politico, ci fu pure un’interrogazione parlamentare. Alla fine, mi hanno mollato dopo solo un giorno di carcere e mi è anche dispiaciuto: volevo fosse una cosa più eroica, ma meglio così».
Come ha scoperto che sarebbe diventato un fisico?
«Ho studiato Fisica più per curiosità che per altro, poi proseguendo negli studi ho scoperto che mi piaceva e che ero bravo: gli studenti venivano a chiedermi spiegazioni sulle lezioni. Dopo l’università mi sono dato un certo numero di anni per capire se ci sarei riuscito e dopo cinque-sei mi hanno offerto un posto di professore in America. Altrimenti, forse avrei fatto il volontario in Africa».
Da scienziato vede dei rischi nell’avvento dell’Ai? Finiremo dominati dalle macchine?
«Il rischio dell’Ai è la competizione sfrenata fra le potenze per il suo impiego militare, già ora gli investimenti più forti vanno in questa direzione in una corsa verso il precipizio, per questo motivo mi sento pessimista e angosciato. Non penso però che le macchine cattive si ribellino a noi buoni, la responsabilità è nostra, siamo noi esseri umani a fare disastri. Che l’intelligenza artificiale prenda il potere mi sembra estremamente improbabile».
Che cosa fa nel tempo libero?
«Faccio fisica… non ho un vero hobby, mi piace camminare in montagna e ho una barchetta a Marsiglia, con cui esco in mare quando posso. E leggo moltissimo, sono sempre stato appassionato di filosofia e mi piace molto Chandler fin da ragazzo. Insomma, vivo e amo».
Che posto ha l’amore nella sua vita?
«Ho avuto una vita molto tormentata da giovane, ora da vent’anni sto con una persona. I miei amori, molti nel passato, sono stati agitati, intensi e belli. Con la mia compagna di 50 anni fa, Francesca Zanini, ho vissuto un’esperienza che abbiamo raccontato in un libro, Il volo di Francesca: ha avuto un episodio psichiatrico e con due amici l’abbiamo rapita dal reparto dov’era ricoverata. L’abbiamo tolta ai medici che riempivano i pazienti di farmaci e l’abbiamo portata in una casa in montagna, dove abbiamo passato due mesi ad ascoltare i suoi deliri. E ha funzionato».
Una volta lei ha detto che gli artisti sono spesso dei disadattati, ci vede un’affinità con voi scienziati?
«Vale anche per me, io da ragazzo non volevo integrarmi, avevo molta paura di trovarmi un lavoro, mi sembrava un mondo molto falso ed ero a modo mio un disadattato. Ma è proprio non accettando le regole del gioco che si possono cambiare».