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 2025  dicembre 23 Martedì calendario

Cannavacciuolo: «Quando decisi di fare il cuoco mio padre non mi parlò per un mese. MasterChef? Rifiutai, poi mi promisero di non interferire con la mia cucina»

C’è una frase che ritorna più volte, nella lunga conversazione tra Antonino Cannavacciuolo e Gianluca Gazzoli, host del podcast «Passa dal BSMT», ed è una frase che pesa come un’eredità: «Quando gli altri festeggiano, tu lavori». Dentro c’è tutto: la cucina come vocazione, come mestiere che divora il tempo, come scelta che sposta la vita fuori dagli orari comuni. Ai microfoni del podcast, lo chef ripercorre la propria storia senza mitologie, partendo da Napoli e da un padre che avrebbe voluto per lui qualsiasi futuro, tranne quello del cuoco. Una storia fatta di contrasti familiari, di anni durissimi, di scommesse prese senza rete, di ingredienti poveri trasformati in piatti iconici. E poi l’amore, il lavoro condiviso con la moglie Cinzia Primatesta, l’arrivo della televisione e di MasterChef, accolto con diffidenza e poi governato senza mai perdere il centro: la cucina. Ne esce un racconto nitido, umano, in cui il successo non cancella la fatica ma la rende più leggibile, come una cicatrice che continua a dare forza.
Quando Cannavacciuolo racconta l’inizio di tutto, il centro resta sempre il padre. Un uomo di cucina anche lui, professore all’alberghiero, capace di vedere prima degli altri il prezzo da pagare. «Quando gli dissi che volevo fare il cuoco, mi rispose: “Fai qualsiasi cosa, ma non il cuoco”. Mi spiegò che avrei perso la famiglia, le feste, il sabato e la domenica. Mi disse: “Prendi un pennarello nero e colora di nero anche le giornate rosse sul calendario. Non ci sono vacanze, quando gli altri festeggiano, tu lavori"». Un no netto, motivato, che apre un mese di gelo e distanza. «Mio padre mi girava alla larga, non accettava che andassi all’alberghiero. Poi ha visto che volevo davvero, volevo, volevo. E allora ha detto: “Vai!"». 
Cannavacciuolo aveva 13 anni, lavorava già mentre studiava, e sentiva addosso una pressione continua. «Mio padre andava dai miei professori e diceva: “Dovete far cambiare idea a mio figlio"». A fare da contrappeso c’era la madre, più incline a incoraggiare, a immaginare un futuro possibile. Il riconoscimento paterno arriverà tardi e mai in forma esplicita. «Il primo articolo importante lo portai a Napoli. Lui lo lesse tutto, cinque o sei pagine, poi mi disse solo: “Se è vero quello che c’è scritto, ci deve essere un seguito"». Anche oggi, racconta lo chef, il padre resta avaro di complimenti. «Gli mando i panettoni e mi dice giusto: “Buono”. Poi a mia sorella dice che erano buonissimi». Una durezza che Cannavacciuolo non rinnega: «Quella cosa lì è stata la mia benzina. Ha funzionato, hai visto?».
L’avventura di Villa Crespi nasce lontano da qualsiasi progetto a tavolino. «Non ho deciso io – dice Cannavacciuolo -. Sono quei momenti strani della vita». Sta lavorando sul lago d’Orta quando il proprietario del ristorante in cui cucina torna più volte per osservare, valutare... Cosa, si capirà più avanti, quando arriva la proposta: prendere in gestione Villa Crespi, appena chiusa. La prima reazione è di sospetto. «Ho pensato subito: dov’è la fregatura?». La fregatura c’è ed è tutta nei numeri. L’affitto da pagare in anticipo, i mesi invernali senza incassi, una struttura grande e costosa da tenere in piedi. Cannavacciuolo e Cinzia hanno poco più di vent’anni, accettano comunque. «A gennaio giocavamo alle tre carte – racconta – ad agosto lavoravamo bene, ma quando arrivava febbraio servivano tutti i santi». È una gestione in equilibrio continuo, in cui ogni errore pesa doppio. In quegli anni lo chef riveste più ruoli insieme: cuoco, imprenditore, fornitore. Di notte parte in macchina per andare direttamente dai contadini, carica sacchi di noci, torna indietro. «Le compravo a 2.000 lire al chilo invece che a 25.000». Ogni risparmio viene reinvestito. Nella brigata, prima di tutto. «Ai ragazzi dicevo: se lavoriamo bene, l’anno prossimo compro il macchinario migliore». La cucina cresce, ma la svolta arriva con le guide. Prima Gambero Rosso, poi Michelin. Quando gli comunicano le Tre Forchette, l’emozione è tale da farlo reagire d’istinto. «Ho attaccato il telefono» ammette. Da lì tutto accelera. Eppure, una cosa resta costante: «Il pensiero di non farcela non c’è mai stato. Non l’ho mai contemplato».
Nel racconto di Cannavacciuolo a Gianluca Gazzoli, Cinzia non è mai una figura laterale. È una presenza strutturale, professionale prima ancora che sentimentale. «Siamo due folli», ride. Si conoscono lavorando: all’inizio lei è semplicemente la figlia del proprietario dell’albergo in cui lui è cuoco stagionale, una distanza netta, quasi formale. «Non c’era nemmeno il pensiero», ricorda. La relazione nasce lentamente, passando prima dall’amicizia. Poi qualcosa cambia, proprio nel momento in cui Cannavacciuolo annuncia che tornerà a Napoli. È lì che capisce di stare lasciando più di un lavoro. Da allora il percorso diventa condiviso. Lavorano insieme, crescono insieme, attraversano le stesse difficoltà. «Se mi fermo io tira lei, se si ferma lei tiro io». Una dinamica che nel tempo diventa equilibrio operativo, oltre che familiare. Oggi, dice lo chef, potrebbero permettersi di rallentare, ma non lo fanno. «Abbiamo ancora il pallino delle aperture», ammette, parlando di un sistema costruito per far crescere i ragazzi della brigata, offrire spazi, creare percorsi. Aprire, per Cannavacciuolo, non è moltiplicare insegne, ma creare avanzamenti interni. 
Quando MasterChef entra nella sua vita, arriva in un momento in cui la traiettoria stellata è già tracciata. La prima risposta è un rifiuto. «Volevo concentrarmi sulla terza stella». La televisione, all’inizio, appare come una distrazione. Cambia idea solo quando capisce che non interferirà con la cucina. «Giriamo quando il ristorante è chiuso». La priorità resta una sola. Anche dopo il boom mediatico, l’organizzazione non cambia: registra e torna subito al servizio. «Finisco di registrare e torno in cucina». La televisione amplia il pubblico, cambia il rapporto con le persone, ma non modifica il metodo. Persino uno dei gesti più iconici, la celebre pacca, nasce lontano dalle telecamere. Oggi, guardando indietro, Cannavacciuolo non offre ricette facili a chi sogna questo mestiere. «L’insuccesso è quello che ti fa crescere. Quando il successo ti fa dormire, lì rischi. Quello che non ti fa dormire la notte è il motore vero». Il fuoco negli occhi, dice, nasce proprio da lì. E continua a bruciare.