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 2025  dicembre 23 Martedì calendario

Checco Zalone: «Io, fiero cafone, scopro mia figlia»

Luca Medici, anzi Checco Zalone, che storia è quella del suo nuovo film, Buen Camino?
«Un papà che segue la figlia lungo il cammino di Santiago. Un papà ricchissimo – non per merito ma per eredità – si trova a dover seguire la figlia minorenne su uno storico cammino della spiritualità, pur non avendo nulla di spirituale. Diventerà un percorso di avvicinamento a una figlia che non aveva mai considerato».

Cosa fa nella vita il papà?
«Niente. E ne va fiero. Ha una piccola azienda di divani che ha quotato in Borsa, riempiendosi di soldi».

Il papà ovviamente è lei.
«Sì, ma stavolta sono biondo. Una parrucca professionale. Invito anche lei a provare questa meravigliosa sensazione: credi davvero di avere i capelli, pensi che sono proprio tuoi. Ci hanno messo un mese e mezzo a farla, la parrucca. Ma il protagonista la indossa solo i primi venti minuti. Poi succede qualcosa per cui la toglie».

Cosa?
«Guarda il film! Paga il biglietto!».

Come si chiama la figlia?
«Cristal. Come lo champagne».

Avete fatto davvero il cammino di Santiago?
«Certo. In macchina, ma è durissimo lo stesso. Abbiamo fatto il cammino francese: Saint-Jean Pied de Port, Pamplona, Burgos, Leon. Posti meravigliosi. Si mangia solo carne, mi è venuto il colesterolo a 350. Un’esperienza fantastica».

Buen camino esce a Natale.
«Sì, il 25. Qualche folle si è comprato il biglietto già per la notte del 24. Un infelice».

Come mai proprio a Natale? Tolo Tolo, il suo ultimo film, era uscito a Capodanno.
«Queste cose le decidono produttori e distributori. Dicono che sarà un Natale ghiotto, per come si inseriscono i giorni. Lascio fare a loro, se no che cosa fanno i produttori? Io i ruoli nel cinema un po’ li ho capiti: c’è il regista, l’attore, il direttore della fotografia. Cosa fa il produttore non l’ho capito. Tesse rapporti, fa le cene, apre bottiglie…».

Mette i soldi.
«E, se va bene, ne fa».

Stavolta lei il produttore l’ha cambiato.
«Indiana production. Due amici ebrei: Marco Cohen e Benedetto Habib. Simpaticissimi».

Ma ritrova il suo regista, Gennaro Nunziante, che nel frattempo l’ha tradita con Angelo Duro.
«E diversi altri: Pio e Amedeo, Rovazzi…».

Il suo produttore storico, Pietro Valsecchi, ha raccontato al Corriere di aver cacciato Nunziante perché gli aveva chiesto troppi soldi.
«L’ho scoperto anch’io da questa splendida intervista. Ma spesso i giornalisti riportano in maniera difforme. L’ho capito dai congiuntivi: che erano tutti giusti».

Le assicuro che l’autore dell’intervista, Valerio Cappelli, ha riportato tutto in modo corretto. Valsecchi la descrive ossessionato dal denaro…
«…E dice che avrei fatto Tolo Tolo per piacere all’intelligentsia di sinistra. In realtà, sono attento al denaro proprio per poter finalmente piacere all’intelligentsia di sinistra (Checco ride). Peraltro Tolo Tolo è andato benissimo, anche se da me si aspettavano altro. Quo vado? ha incassato 65 milioni. Tolo Tolo “soltanto” 48. C’è un Burri in meno nel salone di Valsecchi. Uno spazio vuoto nella parete. Che dolore».

Ma è vero che lei vuole piacere a sinistra?
«Non mi sono mai posto il problema di piacere a qualcuno. Non penso di essere mai stato paraculo. Avevo fatto quel trailer, Immigrato…».

In cui cantava con la voce di Celentano: «Immigrato, ma non ti avevano rimpatriato…».
«Si creò un grande fervore. Pensavano che avessi fatto qualcosa contro l’immigrazione».

Invece era come per gli «uominisessuali»: lei prendeva in giro gli italiani ossessionati dagli omosessuali, e dagli immigrati.
«Un’idea semplice: Checco si mette in viaggio sulla rotta dei migranti. Ho fatto di tutto perché non prendesse una piega politica. Ma poi le cose vengono sempre etichettate».

Questo nuovo film si annuncia come un viaggio di formazione. Tipo Sole a catinelle. Dove però c’erano padre e figlio.
«Stavolta è una figlia, e non è una bambina. È una ragazzina adolescente, più grande quindi più problematica. Nel film ha diciassette anni, come l’attrice nella vita: Letizia Arnaud, bravissima».

Lei ha sempre scelto attrici decisamente brave e decisamente carine.
«Appunto: carine, mai strabordanti, insomma, mai gran fighe. Mai sopra la terza. E mai attrici conosciutissime. Ivana Lotito, quella del primo film, Cado dalle nubi, ha fatto carriera, l’hanno presa per Gomorra».

In Quo vado? ci siamo un po’ tutti innamorati di Eleonora Giovanardi.
«Perdutamente. Stavolta mi innamoro di un’attrice spagnola. Beatriz Argiona. Bella, interessante, però neppure lei è una gran figa, ma non lo scriva. Anzi, lo scriva; tanto non lo capisce».

Le daranno del maschilista. Eppure ha due figlie, che adora.
«Gaia ha quasi tredici anni, Greta quasi dieci. La più grande sta giustappunto entrando nella fase adolescenziale».

E va a cavallo.
«Tutti i giorni. Uno sport bellissimo ma impegnativo. Non è il tennis. Il cavallo lo devi curare, farlo girare ogni giorno. Se ti fai vedere dopo una settimana il cavallo è incazzatissimo e te la fa pagare».

Come si chiama il cavallo?
«È il terzo che le compro. Una cavalla: Etta. E pensare che io i cavalli ero abituato a mangiarli:
da noi in Puglia si fanno le braciole. Ora è tabù. Ho anche ricevuto dalle figlie la lettera per Babbo Natale. Scritta a mano, fotografata e inviata via whatsapp».

La richiesta dei regali.
«Modulata in base al reddito. “Nonno Sandro e nonna Tonia: cover bianca dell’I-Pad. Zio Fabio: anello Pandora, Pandora è la marca. Zio Checco: anello più prodotti per skin care. Papà: I-Phone 17. Bianco. Deve essere Pro, con tre foto, grazie”. Col cazzo!».


Fabio è suo fratello, identico a lei.
«Solo che lui è povero. Fa lo steward per Air Dolomiti».

L’altro fratello si chiama davvero Checco, come Checco Zalone?
«Francesco detto Checco, collabora con me a tutte le mie attività. Ha il collo taurino e una forza sovrumana, mi fa da guardia del corpo. La gente per fortuna non sa che è buonissimo, quindi lo teme. Quando mi manda affanculo, il che accade spesso, si scandalizzano: ma come lo tratta, come si permette!».


È vero che con sua moglie vi siete lasciati?
«In realtà non ci eravamo mai sposati. E siamo in buoni rapporti».

Il gossip infuria.
«Ne hanno dette di tutti i colori. Anche che mi sono messo con Virginia Raffaele. L’ho rivista l’altro giorno, per la prima volta dal tempo del video sul Covid e l’immunità di gregge. Ci abbiamo riso su. In realtà, Virginia sa che non glielo darò mai» (Checco sorride).


Vota sempre Pd?
«Le ho detto questo? Vorrà dire che la prossima volta voterò a destra. Le alterno. Le elezioni le perdo sempre. Nel 1996 votai Berlusconi secco, e perse. Nel 2013 votai Renzi, e perse. Ma in fondo Berlusconi e Renzi erano la stessa cosa…».

E la Schlein?
«Non mi sono ancora interrogato su di lei».

La Meloni?
«Da quando si è lasciata non mi scrive più!».

Perché, le scriveva?
«Ero in vacanza in Puglia, mi mandò un whatsapp chiedendo di incontrarmi. Io non incontro mai politici, però non volevo deludere i miei amici: tutti fascistoni, quindi suoi fan. Pensai a un caffè in gran segreto, ma loro si ribellarono: “La devi invitare a pranzo a Giorgia!”. Così le chiesi se aveva allergie e intolleranze, oltre a quelle che già conoscevamo. Rispose seria: sono allergica alle nocciole».

Fascistone era suo nonno Pasquale, capostazione.
«E sua figlia, zia Rachele, detta Lina. Poliziotta severissima. Lavorava alla Buoncostume, come Edwige Fenech. È andata in pensione da vicequestore».

Sua mamma invece era comunista.
«Antonietta Capobianco. Si candidò nel Pci e prese venti voti. Non la votarono neppure i parenti: i Capobianco a Capurso erano molti di più. Partì subito la caccia ai traditori».

Papà e mamma ci sono ancora?
«Sì. Vivono nella mia prima casa. Gliel’ho lasciata quando non ero ancora ossessionato dal denaro».

Insomma, l’intervista di Valsecchi l’ha presa male.
«Ma no. Capisco che possa essere risentito: è umano, questo è il primo film che non faccio con lui. Cohen e Habib mi hanno fatto tenerezza nel tentativo di emulare Valsecchi, ma nonostante gli sforzi hanno ancora parecchio da lavorare: come si mangia e si beve a casa di Valsecchi…».

Lei cenò a casa di Berlusconi.
«Una cosa da raccontare ai nipoti, che non ci crederanno. Mi aveva invitato ad Arcore Pier Silvio. Venne anche il padre. Si fermò a cena, tenne banco. Ci offrì un vino buonissimo, il barbaresco di Gaja, lo scriva la prego perché quando l’ho citato la prima volta mi ha mandato una cassa di bottiglie: tre le ho bevute da solo durante il Covid, le altre tre ce le ho ancora, sono troppo pregiate per aprirle. Fatto sta che Berlusconi si alza e si congeda, dicendo che deve andare a lavorare. Dopo un po’, ubriaco di barbaresco Gaja, mi alzo per andare in bagno, sbaglio porta, entro in una sala piena di figa, e trovo Berlusconi che intrattiene le sue giovani amiche…».

Lei cosa pensa di Berlusconi?
«Siamo in pieno revisionismo. Ora sta simpatico a tutti. Lo rimpiangiamo. Era un po’ egoriferito: parlava solo lui. Era difficilissimo carpire la sua attenzione, voleva stare al centro del mondo».

Lei ha suonato con Francesco De Gregori.
«È stato bellissimo. Purtroppo in un momento doloroso della sua vita, quando stava perdendo la moglie, Chicca, una persona straordinaria. Abbiamo fatto questo disco che non hanno comprato neanche i parenti ma è meraviglioso, fatto come una volta, piano e voce, senza computer, non corretto. Ci sono piccole stonature che però restituiscono la verità del disco».

Lo chiamano il Principe.
«È una persona autorevole, a volte autoritaria, ma ne riconosci la grandezza. Quando si attacca una canzone di solito si conta: uno due tre quattro, perché quattro sono i movimenti. De Gregori entra quando vuole, è davvero un principe. Questa cosa mi ha affascinato. E poi ha scritto grandi canzoni che non conoscevo».

Ad esempio?
«Pezzi di vetro. Il cuoco di Salò: struggente. L’abbiamo fatta in concerto: è difficilissima. Sono canzoni tutte storte, non seguono gli schemi. Francesco è una persona curiosa, non egoriferita, non è di quelli che ti raccontano la loro vita. Il suo mito è Paolo Conte, in particolare Pittori della domenica, una canzone stupenda che è nel disco, in cui si parla con tenerezza delle persone che nella vita non hanno fatto quello per cui credevano di essere nati, e la domenica andavano per strada a dipingere, con le mogli incazzate che li aspettavano a casa. Con De Gregori siamo anche andati in vacanza insieme, con Valsecchi che arrivò in Bentley. De Gregori voleva fare da autista, guidare la Bentley».

Lei ha girato l’Italia con i suoi spettacoli teatrali. Come l’ha trovata?
«Siamo sempre schiavi degli altri, dell’America. Ma la gente vuole divertirsi uscire di casa».

Ha imitato il maestro Muti, davanti a lui.
«Temevo che il mio pubblico non lo conoscesse, invece funzionava moltissimo. Muti venne a Ravenna: me la facevo sotto, la gente era tutta in piedi, il copione prevedeva che lo prendessi in giro: Muti ingrifato. Temevo si offendesse, invece rise molto, e io mi genuflessi ai suoi piedi».

C’era Vasco salutista…
«…Che trova nel deep web le analisi del sangue di Ligabue, e le confronta con le proprie».

Nello spettacolo precedente prendeva in giro pure Saviano.
«La scorta scopava e lui no: solo pugnette. Mi scrisse una mail molto carina, è una persona spiritosa».

La comicità in Italia è una cosa seria: Dario Fo vinse il Nobel, Benigni l’Oscar, Grillo fondò un partito che nel 2018 divenne il primo d’Italia. Anche Zelensky era un attore comico.
«E in fondo pure Trump è un collega. Un intrattenitore. Un tempo l’attore comico ambiva a un ruolo drammatico. Ora ambisce a fare il presidente».

Lei due anni fa sostenne che il problema non è il politicamente corretto, è che ognuno dice quel che gli pare.
«Continuo a pensarla così. Il comico, più che lamentarsi del politicamente corretto, deve essere scorretto. Più aumenta la correttezza, più diventare scorretti dovrebbe essere facile. Quando ho fatto L’ultimo giorno di patriarcato qualcuno ci è rimasto male; ma speravo meglio, speravo fossero di più. Non c’è polemica. Immigrato non si capiva come etichettarla».

Mi sto scervellando per suscitare polemiche; invece niente.
«Il nuovo video si intitola La prostata inflamada. “Non vi dico quanto ho pianto / E quell’urologo rideva / mentre si sfilava il guanto…”. “Mi sentivo sotto assedio / Mentre l’urologo provava / Prima l’indice poi il medio…”. Il protagonista si chiama Joaquin Cortison. È il Checco cinquantenne con la prostata inflamada…».

Fermiamoci qui. Devo riconoscere però che lei vestito da tanguero è bellissimo. Com’è invece nel film?
«Un narcisista. E il narcisismo è il grande male del nostro tempo. Poi si rende conto di avere una figlia. Ha un suo candore. Non risulta antipatico. È una vittima di questi anni. Qualcuno che conosce il film ci ha visto Gianluca Vacchi. Con i filippini che ballano a comando».

A chi deve il suo successo?
«Un po’ a Pippo Baudo, che mi fece suonare Spain di Chick Corea. Venivo da Zelig, lui mi fece fare le prove per Domenica In: vide che sapevo suonare, cambiò la scaletta. Io al massimo avevo fatto La Taranta de lu centrudestra. Da allora la gente mi guardò con occhi diversi. Pippo fu coraggioso a farmi fare un pezzo jazz in tv. Lo porto nel cuore».

Quali sono le cinque canzoni della sua vita?
«La prima che suonai alla chitarra: Quando di Pino Daniele: tu dimmi quando quando… La prima che suonai al piano: Perdere l’amore di Massimo Ranieri. Il primo brano jazz che ho arrangiato sentendo Michel Petrucciani, il pianista di cui ero innamorato: una versione di Estate. Una canzone dei Beatles ce la devo mettere: Across the Universe. E poi De Gregori: Pezzi di vetro».

Il gruppo in cui lei suonava da giovane si chiamava Gli Amici del Sud.

«Facevamo i Dik Dik, i Beatles, i Giganti, Enrico Maria Flores: viva viva l’amor… e poi L’ora dell’amore: da quanto tempo in questa stanza le persiane chiuse… certo nessuno di loro arriva all’altezza de La prostata inflamada».

E i cinque film della sua vita?
«Rocky IV: ti spiezzo in due, la guerra fredda, la Russia comunista ipertecnologica mentre Rocky si allena con le galline… Il vigile e Il vedovo, entrambi con Alberto Sordi. Un film che avrei tanto voluto fare: The Wolf of Wall Street. E un film della mia infanzia: Ritorno al futuro. Quello in cui lui suona la chitarra».