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 2025  dicembre 21 Domenica calendario

Il metodo Weber parte dai sadducei

Che cos’è l’Occidente? La domanda sta tornando di moda. Vale dunque la pena di rivisitare una delle risposte novecentesche più articolate e famose, quella di Max Weber. Secondo il grande sociologo tedesco, la caratteristica distintiva della civiltà occidentale è un particolare tipo di «razionalismo»: l’incessante ricerca di significati intellegibili e coerenti da imporre a ogni aspetto della realtà e della condotta umana. Dal punto di vista storico, le due principali fonti d’ispirazione di questa forma mentis furono la cultura greca e la tradizione giudaico-cristiana. Dai loro semi sbocciarono prima la religione organizzata e poi la scienza, l’economia di mercato, lo stato burocratico moderni.
La singolarità dell’Occidente è il frutto di una lunga concatenazione di eventi. Alcuni svolsero per Weber un ruolo «decisivo»: se non fossero avvenuti, lo sviluppo storico avrebbe seguito un corso diverso. Poniamo che nelle battaglie di Maratona (490 a.C.) e Salamina (480 a.C.) gli Ateniesi avessero perso contro i Persiani. La Grecia sarebbe diventata una satrapia periferica dell’impero di Serse, oppressivo e teocratico: ogni forma di autonomia politica e intellettuale sarebbe stata soffocata sul nascere. Allo stesso modo, se Lutero non avesse dato inizio alla Riforma protestante, nel 1517, non si sarebbe sviluppato quell’ascetismo intra-mondano (una condotta di vita basata su disciplina e operosità come segno della grazia divina) che favorì la nascita del capitalismo.
Come identificare i passaggi decisivi della storia occidentale? Per Weber la procedura più efficace è il ragionamento controfattuale: si torna indietro nel passato, s’individuano i momenti di possibile biforcazione (come le guerre persiane) e si elaborano quadri alternativi di sviluppo, immaginando che l’esito della biforcazione sia stato quello opposto a quanto è invece avvenuto (come la vittoria dei Persiani, appunto). Il contro-scenario immaginato deve essere plausibile sul piano logico e storico. Se simulando l’assenza del fenomeno d’interesse (Maratona o la Riforma) emerge un corso di eventi compatibile con le condizioni del contesto coevo, ma significativamente diverso da quello realmente avvenuto, il controfattuale prova l’adeguatezza causale del fenomeno stesso.
La tradizione giudaico-cristiana affiancò alla cultura greca l’immagine di un mondo creato da un solo Dio, al quale affidarsi per ottenere la salvezza eterna. Il giudaismo antico ideò un monoteismo etico e razionale, fonte di reciproci obblighi fra un Dio amorevole e il suo popolo. Ai profeti si deve poi la prima elaborazione di un’etica delle convinzioni. Il cristianesimo radicalizzò alcuni aspetti del giudaismo ed elaborò una nuova immagine del mondo, imperniata sulla figura di Gesù e caratterizzata da universalismo etico (il dovere di amare tutti, anche i propri nemici) e cognitivo (siamo tutti fratelli in Cristo e dunque figli di Dio).
L’etica cristiana nacque all’interno di quella giudaica: Gesù e gli apostoli erano ebrei a tutti gli effetti. La biforcazione decisiva fra le due tradizioni avvenne intorno alla metà del primo secolo, essenzialmente a opera di Paolo. Interrompendo la soggezione alla legge mosaica, Paolo aprì la fede cristiana a tutti i gentili. La sua dottrina incorporò vari elementi della cultura ellenistica, incanalando il razionalismo greco e quello giudaico verso una nuova visione del rapporto fra Dio e mondo. La passione e la resurrezione di Cristo redimono i peccati di tutti i fedeli e assicurano la salvezza. Nella Prima lettera ai Corinzi Paolo lo chiarisce in modo esplicito: «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede… e voi siete ancora nei vostri peccati» (15, 14-18).
Nella lettura di Weber, la separazione fra giudaismo e cristianesimo fu davvero «decisiva» per lo sviluppo della singolarità occidentale. Ma è possibile dimostrarlo per via controfattuale? La procedura dovrebbe innanzitutto individuare quell’elemento in assenza del quale la nuova immagine cristiana del mondo non si sarebbe sviluppata così come noi la conosciamo. Le parole di Paolo non lasciano dubbi: questo elemento fu la resurrezione, a sua volta connessa alla crocifissione. Dunque chiediamoci: è plausibile immaginare uno scenario in cui Gesù non fu messo a morte?
Un importante libro, recentemente pubblicato da Adelphi, ci aiuta a rispondere. Si tratta di La disputa messianica. Farisei, sadducei e la morte di Gesù di Israel Knohl. La tesi dirompente del biblista di Gerusalemme è che «il processo a Gesù fu un incidente della storia», dovuto alla composizione del Sinedrio. «Se i giudici di Gesù fossero stati i Farisei anziché i Sadducei, Gesù non sarebbe stato né condannato a morte né crocifisso».
A questa conclusione l’autore arriva dopo una dettagliata (e scorrevolissima) ricostruzione della controversia interna all’ebraismo sulla venuta del Messia. La disputa messianica fu ispirata dalle diverse posizioni sul tema dei profeti Osea e Isaia (ottavo secolo a.C.). Secondo il primo, il rapporto fra Dio e Israele era diretto, non c’era posto per alcuna figura mediatrice, né sotto forma di un Messia né di un Re liberatore. Secondo Isaia, al contrario, dalla casa di Davide sarebbe salita al trono di Giuda una figura eccezionale, che avrebbe portato giustizia e rettitudine sulla terra. Da Osea si sviluppò una dottrina anti-messianica: Dio non poteva generare figli e un re umano non poteva redimere né salire in cielo. La salvezza sarebbe arrivata direttamente da Dio. Ai tempi di Gesù, questa dottrina era sostenuta dai Sadducei. Dal profeta Isaia emerse invece l’ideologia monarchico-messianica: la venuta di un Re-Messia salvatore dalla natura semidivina. Questa seconda ideologia subì a un certo punto un’importante trasformazione: il Messia non sarebbe stato un emissario o un angelo di Dio, ma Dio stesso. Un Dio «triste e sofferente» per le afflizioni del suo popolo, che si sarebbe speso in prima persona per liberare e redimere Israele.
La parte più originale del libro di Knohl è proprio la ricostruzione filologica di questo passaggio in successive versioni del testo biblico. La revisione di un versetto (Is. 3,9) – probabilmente nel terzo secolo a.C. – aprì la porta a una nuova un’immagine del Dio-Messia che attecchì non solo tra i farisei, ma anche fra la comunità di Qumran (gli Esseni), con la quale Gesù era probabilmente entrato in contatto.
Ai tempi del ministero di Gesù a Gerusalemme, il Sinedrio era controllato dai Sadducei, l’unica setta anti-messianica, minoritaria ma potente. Per i Sadducei, le parole di Gesù, il suo dichiararsi Figlio di Dio, Re e redentore, erano una blasfemia meritevole di morte. Questo messaggio era invece in linea con le attese dei Farisei e la maggior parte del popolo ebraico.
L’ultimo capitolo del libro è dedicato al processo a Gesù. Sullo sfondo di un’impressionante erudizione, Knohl illustra sotto una luce nuova il confronto tra Gesù e Caifa, che peraltro si svolse secondo modalità in contrasto con la Mishnà (la raccolta codificata delle norme contenute nella Torah). La conclusione dell’autore è che la condanna a morte di Gesù da parte dei Sadducei fu il risultato di una tragica circostanza storica, e in un certo senso persino illegale. Un fatto che smentisce in via diretta il supposto «deicidio» (l’aver voluto la morte di Gesù) perpetrato dal popolo ebraico. L’accusa della Chiesa cattolica fu ritirata nel 1965 dal Concilio Vaticano II. Per Knohl, personalmente impegnato nel favorire il dialogo tra ebrei e cristiani, la sua analisi fornisce un solido fondamento storico a sostegno della dichiarazione conciliare, contribuendo a «sanare» definitivamente il rapporto fra le due comunità religiose.
Se allarghiamo il quadro, la stessa analisi offre un fondamento storico per corroborare in via controfattuale la tesi di Weber sopra richiamata. Se è plausibile immaginare (come asserisce Knohl) che un diverso Sinedrio avrebbe risparmiato Gesù, a Paolo di Tarso sarebbero mancati elementi cruciali per lo sviluppo della sua dottrina. I seguaci di Gesù erano già numerosi durante la sua predicazione: ma si trattava di ebrei a tutti gli effetti. Il cristianesimo paolino sarebbe probabilmente rimasto una corrente dell’ebraismo farisaico, al pari di altre sette apocalittiche giudaiche che fiorirono nel primo secolo. I Sadducei scomparvero con la distruzione del Secondo Tempo, nel 70 d.C.
Su internet girano molte storie immaginarie su un Occidente senza cristianesimo. Per l’intelligenza artificiale installata sul mio computer, ad esempio, la civiltà europea non poggerebbe oggi sui diritti individuali e la democrazia liberale; ci sarebbero meno scuole ed ospedali; il panorama culturale rifletterebbe il lascito del paganesimo greco-romano. Tutte fantasie, naturalmente. Non siamo in grado di ricostruire progressioni causali così lunghe e dettagliate. I ragionamenti controfattuali ci aiutano a individuare solo le grandi connessioni all’interno di tendenze di sviluppo colte con «il senno di poi», ossia quando esse si sono pienamente manifestate. Se gli Ateniesi non avessero vinto a Maratona e Salamina, sarebbero mancate le condizioni per la fioritura del pensiero greco. Se Gesù non fosse stato crocifisso e poi risorto, Paolo sarebbe rimasto Saul il Fariseo. Non sarebbero emerse, in altre parole, quelle nuove immagini del mondo che hanno agito come «scambi» nella storia occidentale, facendole imboccare la via della razionalizzazione.
Questo tipo di riflessione può apparire oziosa, ma non lo è. Ci insegna infatti che il passato è una sequenza di passaggi che hanno trasformato «mondi possibili» in realtà effettuale, a volte per effetto di «tragiche circostanze». E ci ricorda che il presente è a sua una nuvola di possibilità in attesa di selezione. Il razionalismo occidentale ci ha resi liberi di pensare che siamo noi, individui-persone in carne ed ossa, a plasmare il nostro destino. Il disincanto non ha soffocato il desiderio di trascendenza della tradizione giudaico-cristiana, ma ha reso la religione e la fede più aperte e tolleranti. E, soprattutto, ha mantenuto viva la ricerca di significati che rendano intellegibile il mondo e ricca di valore la nostra vita.