Il Messaggero, 22 dicembre 2025
Deficit fuori controllo e Pil giù: Londra, Parigi e Berlino ora sono le malate d’Europa
Se non è un’inversione dei ruoli, poco ci manca. Oltre un decennio dopo la crisi del debito sovrano dell’Eurozona, che aveva restituito l’immagine di un continente diviso in due – da una parte i “virtuosi” del nord, dall’altra i cosiddetti “Pigs” del sud, con conti in disordine e deficit fuori controllo -, l’economia europea racconta un’altra storia.
Certo, nel frattempo sono intervenuti cambiamenti strutturali e crisi geo-economiche, dalla pandemia con i maxi-investimenti pubblici per sostenere la crescita alla guerra russa in Ucraina, con gli effetti sui prezzi del gas e sulla necessità di investire in difesa in ottica deterrenza, fino alle tensioni commerciali e alla batosta dei dazi Usa. Ma guardando alle tre principali economie d’Europa (non solo Germania e Francia, quindi, ma pure il Regno Unito post-Brexit), ad accomunarle è una spirale fatta di crescita debole e deficit di bilancio in aumento.
Prendiamo i britannici: al di là della Manica, il deficit si mantiene attorno al 4,4% nelle stime per il 2025, mentre la produttività arranca e l’inflazione rimane ai livelli più alti dell’occidente. Sono le ragioni dietro una manovra per il 2026 zeppa di nuove entrate fiscali per appianare il disavanzo.
Chi, invece, non è riuscito per il secondo anno consecutivo a mettere insieme una legge di bilancio è la Francia, il cui debito pubblico veleggia verso i 3500 miliardi di euro. Dopo mesi di navigazione a vista per via di un Parlamento cronicamente senza maggioranza, Parigi si dovrà accontentare di un deficit al 5,5% nel 2025 e stabilmente su queste percentuali negli anni seguenti. Tradotto: un’uscita dalla procedura Ue per disavanzo eccessivo non è in vista, a differenza di quanto Bruxelles si attende per l’Italia, la cui promozione è in arrivo, salvo sorprese, già il 3 giugno prossimo, per via di un deficit che si avvia poco sotto il 3% del Pil. È, in un certo, senso, l’eterogenesi dei fini del nuovo Patto di stabilità, a due anni esatti – era il 21 dicembre 2023 – dal via libera dei governi dei Ventisette a un compromesso ricco di paletti prudenziali voluti dai frugali. 24 mesi dopo sono i falchi, però, a non volare più.
Se i Paesi Bassi sono stati rimandati a un esame di recupero perché la loro spesa netta cresce oltre quanto indicato dall’Ue, in cima alla lista dei nuovi trasgressori è finita l’Austria, il cui deficit è stato del 4,7% del Pil nel 2024, ed è dato al 4,4% nel 2025. Per questo motivo, a luglio è stata aperta una procedura Ue. Destino analogo toccherà, in primavera, a un altro nordico di rito ortodosso: la Finlandia, con un deficit al 4,4% un anno fa ed al 4,5% nell’attuale. Nonostante un confine di oltre 1300 chilometri condiviso con la Russia, l’aumento del disavanzo «può essere spiegato solo in parte dall’incremento della spesa per la difesa», spiegano i tecnici della Commissione.
Chi sgarra – ma con esito diverso – è anche la Germania, uno sviluppo impensabile solo nella fase clou dei negoziati sul futuro Patto. Con il passaggio di testimone tra Olaf Scholz e Friedrich Merz al vertice della cancelleria, Berlino ha provato a sconfessare il vecchio mantra dell’austerità ed è alle prese con un maxi-piano di investimenti pubblici in difesa e infrastrutture per risvegliare una crescita stagnante dopo due anni di contrazione. Dubbi e incertezze pesano, tuttavia, sull’effettivo impatto su un’industria profondamente in crisi. La Commissione non ha sollevato cartellino giallo sul disavanzo di Berlino, benché nel 2025 sia previsto poco sopra il 3%, e poi al 4% e al 3,8% rispettivamente nel 2026 e 2027. «Lo sforamento è interamente giustificato dall’aumento per la difesa e, di conseguenza, consentito dalla clausola nazionale di salvaguardia». Insomma, nessuna procedure Ue all’orizzonte, perlomeno per ora: il governo tedesco è il primo (tra i 16 che lo hanno chiesto) a beneficiare degli effetti della deroga al Patto, che permette di scontare fino all’1,5% all’anno di spesa militare in deficit fino al 2028. Anche l’Italia potrà presto avvantaggiarsene. Ma – e qui sta un grande paradosso del nuovo Patto – solo una volta che sarà uscita dalla procedura per disavanzo.