il Giornale, 22 dicembre 2025
Pietruzze, nudità e miliardi: i segreti del mondo dell’arte
Al culmine narrativo di Il quadro completo (Neri Pozza, pagg. 442, euro 28; traduzione di Marina Visentin) l’autrice, Bianca Bosker, si ritrova in una galleria di Brooklyn, un posto underground in senso stretto (è sottoterra, si entra da una botola), per seguire il vernissage dell’artista Mandy AllFIRE. Di radici italiane, vero nome Amanda Alfieri, Mandy AllFIRE è una perfomer che fa facesitting.
Per chi non lo conoscesse, è una pratica erotica che consiste nel sedersi, senza biancheria intima, sulla faccia di un partner-vittima, e lì stare fino al limite di resistenza del sottostante. Bosker arriva sulla scena quando l’uomo che era da venti minuti sotto l’artista cede, e AllFIRE chiede al pubblico chi voglia sostituirlo. Ebbene la Bosker – giornalista di provata serietà e scrittrice di fama – attraversata da un impulso che trascende la razionalità alza la mano e va a piazzarsi per una mezz’ora sotto le rimarchevoli chiappe dell’artista. Colpa del demone dell’arte e della sua irresistibile contagiosità? Forse. Ma il facesitting di Amanda Alfieri è arte?
Bianca Bosker possiamo definirla una “giornalista investigativa del costume”. Scrive su Guardian, New Yorker, Wall Street Journal, e ha pubblicato libri di successo sull’ossessione contemporanea per il vino e sull’architettura mimetico- imitativa cinese, per poi decidere di indagare l’arte contemporanea. Perché ci sono galleristi che espongono, entusiasmandosi, pietruzze e sbaffi di vernice apparentemente sistemati a caso su una tela? Perché ci sono collezionisti disposti a spendere centinaia di migliaia di dollari per le medesime opere? E davvero sono arte? Domanda che torna, domanda che muove tutto. Bosker è una donna colta e intelligente ma digiuna di storia dell’arte, sulle pareti di casa se va bene ha un paio di poster, così che per cominciare mette sul tavolo tutti gli stereotipi del caso, dallo snobbare opere minimali con «questo potevo farlo anch’io», allo scetticismo derisorio per quelle opere incomprensibili che nulla concedono al piacere dello sguardo. È roba fin troppo sentita e stantia, ma con lo scorrere delle pagine tutto si fa ben più interessante. Nel suo tentativo d’indagine, Bosker cerca di intervistare i galleristi più in vista di New York, che però la respingono sistematicamente. Si accorge così dell’esistenza di un giro elitario e dell’estrema diffidenza degli addetti ai lavori verso chi ne è fuori. La soluzione è provare a entrarci in un altro modo: trovare un gallerista che la prenda a lavorare con lui. E questo è Jack Barrett, della 315 Gallery. Il nome è vero, la galleria anche, ed è uno dei pregi del libro: non si tratta di fiction, tutto è verificabile, ogni artista e opera citata sono visualizzabili con una ricerca in Google.
Barrett – snob e supponente – guida Bosker tra i segreti della scena. Per giudicare le opere occorre certamente un buon Occhio (sempre maiuscolo nel libro), che si acquisisce, forse, in anni e anni di studio e di frequentazione di atelier, musei, gallerie.
Ma, mettiamo, se l’Occhio ha giudicato positivamente più artisti esordienti, quale scegliere da esporre?
Conta, in questo caso, il contesto: che scuole d’arte ha seguito, prestigiose o popolari? E chi conosce?
Chi ne ha parlato bene, chi gli ha messo un like su instagram, e soprattutto: chi lo ha già in collezione? Perché esistono collezionisti ai quali si fa di tutto per vendere un’opera, perché alzano il prestigio dell’artista acquistato, e altri invece a cui è meglio non vendere, perché sono inutili Mr. Nessuno e non importa se hanno trentamila dollari cash pronti per un quadro. E poi ci sono artisti che fanno «fuck-you art», duri e puri, cui non frega nulla se le loro opere sono sgradevoli o incomprensibili (vedi per esempio Guadalupe Maravilla, di 315 Gallery) e altri invece che fanno «couch art», arte da salotto, cioè colorata e piacevole (vedi Haley Josephs, stessa galleria). Tenere «fuck-you art» fa figo, vendere «couch art» meno... anche se ti regge in piedi economicamente. Alla 315 Bosker impara le regole tossiche del contesto, dell’atteggiamento, della secondarietà del talento e dell’importanza delle relazioni, fino a che non ne può più e passa alla Denny Dimin, una galleria più grande, più rilassata, votata all’arte «bella» e al piacere estetico. Con loro Bosker va ad Art Basel Miami, osserva la piramide di livelli di esclusività delle vip preview, entra nelle case dei collezionisti (come l’ineffabile Beth Rudin DeWoody, che ha acquistato un ex-deposito di munizioni per le opere che non stanno nel suo appartamento di New York, nei suoi tre di Los Angeles, e nelle sue tre case di Palm Beach), e comincia a lasciarsi entrare l’arte nel cuore e nello stomaco. È qui che se ne va definitivamente il sarcasmo da reporter scettico e arrivano la comprensione e il disvelamento.
Il quadro completo è un libro brillante, spiritoso e serissimo (30 pagine di bibliografia!) che alla fine una risposta la dà anche per Mandy AllFIRE: sì, la sua è arte eccome. Leggere per credere. Perché sotto quelle chiappe la Bosker è stata trascinata da una passione per l’arte che sembrerà ineludibile anche al lettore.