il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2025
Cile, amnesie e amnistie: “Così il Paese ha riesumato lo spettro Pinochet”
“Cerchiamo di scacciare l’energia negativa di questo posto e fare qualcosa di buono”. Come a voler esorcizzare il destino, Isabel Gallardo, 68 anni, ci accoglie così al numero 1154 di calle General Borgoño, a Santiago, nel quartiere Independencia, a pochi passi dal fiume Mapocho. Decine di ritratti di donne e uomini in bianco e nero, esposti nel cortile interno, ricordano che qui, sotto il regime di Augusto Pinochet, tante persone sono state uccise. Tra il 1977 e il 1988, questa era stata la sede della famigerata CNI (Central Nacional de Informaciones), che aveva sostituito la non meno sinistra Dina, la polizia segreta del regime militare cileno. Dopo la sua costruzione, alla fine dell’Ottocento, questo complesso di edifici avevano ospitato essenzialmente istituzioni dedicate alla sanità pubblica. Sotto la giunta militare, fu trasformato in luogo di sofferenza, tortura e morte. Quasi cinquant’anni fa, Isabel Gallardo era stata costretta all’esilio in Svezia, dopo che cinque membri della sua famiglia – tra cui il padre, il fratello e la sorella – erano stati giustiziati dal regime e lei stessa temeva per la propria vita. “La mia famiglia fu arrestata perché faceva parte della resistenza. È stata un’esecuzione sommaria”, racconta. I suoi cari vennero internati a Villa Grimaldi, uno dei maggiori centri di detenzione della dittatura, alla periferia della capitale cilena. Suo marito invece, che si trovava nella caserma Borgoño, riuscì a sopravvivere. Ed è per questo motivo che Isabel ha deciso di sostenere la Corporación Memoria Borgoño, un’associazione che da anni si batte per ottenere la gestione del sito e trasformarlo in memoriale. Lavora qui da due anni.
Rientrata dall’esilio nel 1993, Isabel Gallardo si era impegnata già nell’Associazione dei familiari delle vittime di esecuzioni politiche (Afep), co-fondata da sua madre nel 1976. Ma, nel caso della Corporación Memoria Borgoño, “è un’altra cosa – spiega –. Qui bisogna costruire tutto da zero”. La Corporación Memoria Borgoño, organizzazione per la difesa dei diritti umani composta da sopravvissuti e familiari delle vittime, si è battuta per impedire la demolizione degli edifici che erano appartenuti alla polizia giudiziaria. Il suo presidente, Higinio Espergue, 74 anni, era stato a sua volta detenuto nella caserma Borgoño nell’aprile del 1983 per oltre venti giorni: “Una volta tornati in libertà, insieme agli altri sopravvissuti, ci siamo mobilitati perché questo posto diventi visibile e per denunciare gli orrori che vi sono stati commessi”. La battaglia ha dato i suoi frutti, poiché nel 2016 il sito è stato dichiarato “luogo della memoria” dallo Stato. “Il nostro impegno è stato premiato – osserva –, ma ci siamo riusciti anche grazie al sostegno dell’opinione pubblica: artisti, intellettuali, organizzazioni per i diritti umani, famiglie degli ex prigionieri politici ci hanno appoggiato”. La polizia giudiziaria ha lasciato definitivamente la sua sede solo nel 2023. Solo il 18 dicembre scorso l’associazione ne ha assunto ufficialmente la gestione per quindici anni: “Vogliamo che diventi uno spazio aperto e conviviale, che coinvolga nelle sue attività giovani, organizzazioni e cittadini. Vogliamo contribuire alla costruzione di una società più umana e democratica”.
Ma c’è ancora tanta strada da fare. Occorre innanzi tutto ottenere i finanziamenti necessari al funzionamento del sito e al restauro dell’edificio principale, di 2.300 metri quadrati, che non ha più il tetto. “Abbiamo bisogno di un budget annuo tra i 100 e i 150 milioni di pesos [tra 90.000 e 140.000 euro, ndr] per poter funzionare correttamente – spiega Higinio Espergue –. Si deve poter assumere personale per la sicurezza, l’accoglienza del pubblico, per sviluppare le diverse attività. Oggi ci mancano ancora molte cose: mobili, computer, telecamere di sorveglianza, estintori… Una parte consistente del lavoro svolto finora è stata possibile grazie allo sforzo della comunità e ai volontari”. Il lavoro sulla memoria dei crimini della dittatura cilena si è basato di gran lunga, e fin dall’inizio della transizione democratica, sull’impegno di collettivi, come quello della caserma Borgoño, riuniti in una rete nazionale. Alcuni progetti hanno ottenuto i finanziamenti dal Congresso, ma le decisioni restano spesso sospese alle turbolenze politiche. “È molto difficile – conferma Richard Sandoval, responsabile della comunicazione di Londres 38, un ex centro clandestino di detenzione e tortura, a Santiago, gestito dalla Dina durante la dittatura, diventato memoriale –, ogni anno dobbiamo lottare per ottenere le risorse. Altri luoghi della memoria non ricevono nessun finanziamento”.
Il nuovo che avanza: “La vendetta prevale sulla giustizia”
Parallelamente, sempre grazie all’azione delle associazioni per la difesa dei diritti umani e alla determinazione di alcuni magistrati, anche dei processi sono stati possibili, sebbene ostacolati dalla legge di amnistia promulgata nel 1978. I militari hanno potuto infatti conservare in larga misura l’impunità, i privilegi economici e pure la funzione che avevano durante la dittatura. Pinochet, dopo essere stato estromesso dal potere in seguito alla sconfitta nel referendum del 1988, è rimasto comandante delle forze armate per altri dieci anni. Solo un centinaio di responsabili di violazioni dei diritti umani durante la dittatura sono stati processati e condannati. Se il presidente Gabriel Boric ha avviato nell’agosto 2023 un piano nazionale di ricerca delle vittime di sparizioni forzate durante la dittatura, resta ancora molto da fare: “La nostra lotta, come quella di tutti i luoghi memoriali, si è svolta quasi controcorrente. Ci è mancato il sostegno forte e coerente delle politiche pubbliche dello Stato cileno. I progressi sono stati parziali e insufficienti”, osserva ancora il presidente della Corporación Memoria Borgoño, Higinio Espergue.
L’elezione del 14 dicembre scorso di José Antonio Kast, erede di Pinochet, complicherà ulteriormente la situazione. Nel 2017, durante la sua prima campagna elettorale per la presidenza del Cile, aveva fatto visita in carcere ad alcuni ex responsabili delle forze di sicurezza della giunta, sostenendo che “in molti casi la vendetta prevale sulla giustizia”. Questa volta, nel corso dell’ultima campagna, ha evitato di esprimersi su un’eventuale grazia agli aguzzini responsabili delle torture. Anche Axel Caro, docente universitario di 33 anni, teme l’ascesa al potere del negazionista Kast. Dal 2018 si batte per sottrarre all’oblio un altro sito occupato da un reggimento durante la dittatura a Puente Alto, a sud di Santiago, dove almeno tre uruguaiani – i cui corpi non sono mai stati ritrovati – furono assassinati. “Volevamo ricordare che i luoghi della memoria non sono solo nelle città, ma che spesso si trovano in periferia. È importante per noi trasformare in memoriale questo luogo praticamente invisibile, ma segnato da una repressione molto forte”.
Della ex base militare, venduta dall’esercito a una società privata nel 2003, resta ben poco. Ma l’associazione di cui Axel Caro fa parte, Memorias en resistencia, cerca di preservarne le vestigia, pur non essendo mai riuscita ad entrare in contatto con il proprietario: “In quest’aerea si trovano oggi un supermercato e un capolinea di autobus, mentre una parte è abbandonata. Alcune lastre di cemento sono le sole tracce del passato. La sfida è enorme, anche perché dobbiamo scontrarci con una forte amnesia collettiva”, spiega Axel Caro. A giugno, il sito è stato classificato monumento storico, provvedimento che blocca interventi non autorizzati sul terreno o eventuali tentativi di vendita. Ma l’elezione di José Antonio Kast preoccupa lo stesso, anche perché la misura non è stata ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e “se non sarà firmata prima della fine del mandato di Gabriel Boric, a marzo – spiega – il futuro governo potrebbe annullarla”. Alla caserma Borgoño, Higinio Esperguel è convinto che nessun Paese possa costruire il proprio futuro senza fare prima i conti con la propria memoria storica. Le sparizioni e le esecuzioni politiche, dice, sono vere “come lo è la Cordigliera delle Ande” che, mentre parliamo, si intravede all’orizzonte.