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 2025  dicembre 22 Lunedì calendario

Il derby galattico Musk-Bezos la rivalità sale in orbita

“Copycat”, il copione. A metà novembre Elon Musk ha rispolverato l’insulto con cui ama sfottere Jeff Bezos, stavolta per il lancio di Prometheus, un progetto da 6,2 miliardi di dollari con cui il fondatore di Amazon punta a sfidare il nemico di Tesla sul terreno dell’IA. L’ultimo capitolo di una rivalità ormai ventennale, che però adesso torna ad accelerare per la nuova corsa all’oro tecnologica. Entrambi infatti puntano a trasferire nello spazio i data center indispensabili per sviluppare l’IA, il primo con SpaceX e il secondo con Blue Origin. In sostanza il futuro tecnologico e pratico del genere umano, abbinato all’affare potenzialmente più lucroso della nostra storia.
I due uomini più ricchi al mondo si erano incontrati la prima volta nel 2004, quando Musk aveva invitato Bezos a fare un giro negli uffici della sua compagnia spaziale. Elon si era offeso perché Jeff non aveva reciprocato e glielo aveva fatto sapere. Quindi Bezos aveva invitato Musk a visitare Blue Origin, con le rispettive mogli Mackenzie e Justine. La cena non era andata bene, come ha raccontato il biografo Walter Isaacson, perché Elon aveva criticato così un’iniziativa di Jeff: «Amico, ci abbiamo provato e si è rivelata una pessima idea, quindi ti consiglio di non fare quello che abbiamo fatto noi». La cosa non era piaciuta a Bezos, perché secondo Isaacson, «ebbe la sensazione che Musk fosse un po’ troppo sicuro di sé, dato che non aveva ancora lanciato con successo un razzo». L’anno dopo l’imprenditore di origini sudafricane aveva chiesto al cubano adottivo di pubblicare su Amazon una recensione del libro della moglie Justine. Jeff l’aveva scritta di suo pugno, ma a Elon non era piaciuta. Queste ruggini erano riemerse e peggiorate nel 2013, quando Blue Origin aveva tentato di bloccare SpaceX dall’ottenere l’uso esclusivo di una rampa di lancio della Nasa. Musk aveva criticato pubblicamente la compagnia di Bezos, perché non aveva ancora sviluppato con successo un razzo orbitale operativo, e aveva vinto la battaglia. L’anno dopo lo scontro si era ripetuto riguardo il brevetto di Blue Origin per l’atterraggio di un razzo sull’acqua. Elon aveva accusato Jeff di averlo copiato e si era rivolto al Patent Trial and Appeal Board, che si era schierato con SpaceX. Nel 2015 Blue Origin era riuscita a far atterrare il suo razzo New Shepard, dopo un volo suborbitale. Musk aveva risposto minimizzando l’importanza del risultato, perché SpaceX stava già lavorando su razzi riutilizzabili capaci invece di voli orbitali.
Nel 2019 gli stracci erano volati ancora in pubblico, perché Jeff aveva messo in dubbio la capacità di Elon di puntare su Marte. Musk aveva risposto definendo i piani di Blue Origin “una copia” di SpaceX e di quanto stava facendo con i satelliti StarLink. L’insulto “copycat” era ricomparso nel 2020, quando Amazon aveva acquisito la startup per i veicoli a guida autonoma Zoox, pagando oltre 1,2 miliardi di dollari per lanciare la sua sfida diretta a Tesla, almeno secondo l’interpretazione del sudafricano. Due anni dopo Musk e Bezos erano finiti in tribunale. La Nasa aveva assegnato a SpaceX un contratto da 2,9 miliardi per sviluppare un lander lunare del programma Artemis. Blue Origin aveva contestato la decisione, facendo causa all’agenzia spaziale Usa, ma aveva perso. Elon allora aveva sfottuto Jeff su Twitter così: «Non puoi arrivare sulla Luna con le cause».
La competizione era proseguita nei lanci satellitari; SpaceX in vantaggio con Starlink, Blue Origin a ricorrere col Progetto Kuiper. A ciò si era aggiunta la battaglia per il turismo spaziale, con Blue Origin concentrata sui viaggi suborbitali e SpaceX sulle missioni orbitali e lunari. Bezos puntava sulle colonie spaziali più vicine alla Terra, Musk su Marte. La sfida è proseguita fino al gennaio scorso, quando Blue Origin ha annunciato il test riuscito di un razzo riutilizzabile avanzato, capace di competere con i modelli Falcon e Starship di SpaceX.
Sullo sfondo poi ci sono le divergenze politiche. Elon è diventato il grande finanziatore di Trump, fino alla lite sul Doge, mentre Jeff ci ha messo un po’ a riposizionarsi, in particolare quando ha cambiato la linea editoriale del Washington Post. La rivalità ora è stata rilanciata dall’IA. Per poter funzionare ha bisogno dei data center, che crescono come funghi sulla Terra, ma hanno bisogno di grandi capitali ed enormi quantità di energia. Trasferirli nello spazio darebbe vantaggi enormi. Il primo sarebbe evitare infrastrutture mostruose sul nostro pianeta; il secondo, la soluzione del rebus energia. I data center infatti verrebbero assemblati all’intero di satelliti, che ruotando intorno alla Terra potrebbero costantemente attingere alla straordinaria risorsa dei raggi solari. Così diventerebbe facile produrre tutta l’elettricità necessaria, a basso costo, senza alcun impatto sull’atmosfera e quindi sulla salute degli abitanti del pianeta sottostante. Questo è il nuovo progetto su cui si stanno sfidando Musk e Bezos. Una partita strategica enorme, come dimostra il fatto che SpaceX punta a raggiungere una valutazione da 800 miliardi di dollari, il doppio di quella attuale, se tutto filasse liscio e portasse ad una Ipo (Initial public offering). Dunque una competizione finanziaria, oltre a quella tecnologica, che avrebbe molti altri effetti a caduta.
Le sfide ingegneristiche per centrare l’obiettivo sono impressionanti. Come prima cosa servono razzi capaci di portare in orbita tutti i satelliti necessari. Musk è in vantaggio grazie alla flotta dei Falcon 9, già impiegata da SpaceX per Starlink, ma ora punta su Starhips, ancora più grande: «Dovrebbe essere in grado – ha scritto su X il mese scorso – di consegnare circa 300 GW all’anno di satelliti AI alimentati a energia solare, forse 500 GW». Bezos scommette invece sul suo razzo della prossima generazione New Glenn per condurre queste operazioni, perché oltre ad avere potenza, può essere riutilizzato ed è stato disegnato proprio per trasportare molti satelliti.
Seguendo il modello circolare nel settore dell’IA, bisogna poi avere chip, computer e altre tecnologie da montare sui satelliti, per svolgere il lavoro dei data center e rimandare le informazioni verso il nostro pianeta in tempo reale, senza interruzioni. A questo scopo è necessario anche gestire le temperature delle apparecchiature e proteggerle dalle radiazioni. Complicato, ma fattibile, secondo i tecnici del settore. Il tutto battendo la concorrenza sulla Terra in termini di costi, convenienza, rapidità, pulizia ed efficienza del servizio. Bezos prevede che ciò possa diventare realtà entro vent’anni, ma Musk è sicuro di battere sul tempo il “copycat” ancora una volta.