la Repubblica, 22 dicembre 2025
Silenzio assenso, meno controlli: è la scure sulla Corte dei conti
Trenta giorni: è questo lo spazio della legalità nella nuova riforma della Corte dei conti che il Parlamento si appresta ad approvare. Trenta giorni per controllare atti che valgono decine di miliardi di euro, almeno 100 miliardi tra Pnrr e fondi europei. Se il parere non arriva in tempo, scatta il silenzio-assenso e con lui l’esenzione dalla colpa grave e dal danno erariale. Non perché l’atto sia legittimo, ma perché il tempo è scaduto. Questo fine legislatura regalerà all’Italia una nuova Corte dei conti: il Senato il 27 discuterà per approvarla la riforma fortemente voluta dal governo Meloni e che di fatto stravolge il più antico presidio di legalità del paese (pensato da Cavour, venne istituito nel 1862 dal governo Rattazzi «perchè vigilasse sulle amministrazioni per prevenire ed impedire sperperi e cattive gestioni»). Una riforma che, in nome della semplificazione, aprirà «scenari di illegalità diffusa e di inefficienza» hanno denunciato i magistrati contabili in questi mesi, sempre inascoltati.
La nuova veste prevede che il controllo preventivo di legittimità, da sempre effettuato dai magistrati contabili, verrà ampliato e trasformato in una corsa contro il calendario: trenta giorni per esaminare appalti complessi, opere strategiche, programmi di spesa che richiederebbero mesi di analisi tecnica, giuridica e finanziaria. La Corte, già oggi sotto organico, difficilmente potrà reggere l’urto. Il risultato è prevedibile: una quantità enorme di atti destinata a passare senza un vero vaglio, protetta da un silenzio che diventa scudo.
Il rischio è sistemico. Su almeno 100 miliardi di euro di appalti Pnrr potrebbe scattare il silenzio-assenso, rendendo di fatto impossibile contestare danni erariali anche in presenza di scelte macroscopicamente sbagliate. Un problema anche per il rispetto degli impegni europei, proprio mentre l’Italia è il paese con il maggior numero di indagini sui fondi comunitari.
La riforma interviene anche sull’assetto interno della Corte. Mentre sulla magistratura ordinaria si spinge sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri nella magistratura contabile si va in una direzione che sembra opposta. La norma prevede infatti un’unificazione delle funzioni di controllo e giurisdizione e la soppressione dei procuratori generali regionali concentrano il potere in poche mani. Un solo procuratore generale dovrà vagliare gli atti di citazione, con il rischio concreto di rallentare o bloccare l’azione contro amministratori e funzionari. In questo quadro, il presidente della sezione regionale unificata assume un ruolo decisivo. Sarà lui a stabilire quali atti sottoporre a controllo e quali lasciare scivolare verso il silenzio-assenso. Una discrezionalità enorme, che incide direttamente sulla possibilità di accertare responsabilità e recuperare risorse pubbliche disperse o sperperate.
Sul giudizio di responsabilità, la riforma introduce poi un tetto massimo al risarcimento pari al 30 per cento del danno contestato. Una soglia che, nella pratica, rischia di diventare un incentivo all’illecito. In regioni come Calabria, Sicilia e Campania circa il 30 per cento delle citazioni riguarda frodi ai fondi europei in agricoltura e turismo, spesso commesse da soggetti privati. Se a fronte di un danno da un milione di euro il risarcimento massimo è di 300 mila, la deterrenza evapora.
Il meccanismo è ancora più evidente in sanità. A Catanzaro, un’indagine su un danno da 7 milioni di euro al sistema ospedaliero riguarda medici che svolgevano attività privata all’interno delle strutture pubbliche, facendosi pagare prestazioni non dovute. Con la nuova disciplina, il risarcimento massimo scenderebbe a poco più di due milioni. Chi sbaglia quindi paga meno, molto meno. I magistrati contabili lo dicono in modo netto: «Con questa riforma» ha denunciato l’Associazione nazionale dei magistrati della Corte con una lettera aperta alla premier nell’aprile scorso, si «svilisce la funzione giurisdizionale» e si indebolisce il principio di responsabilità che aveva una funzione preventiva prima ancora che punitiva: chi rompe, paga. Ora non sarà così scontato.