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 2025  dicembre 22 Lunedì calendario

Intervista a Guido De Maria

«Era quello che sognavo da ragazzo: diventare vecchio. Ci sono riuscito, ma non è stato facile, non bisogna mai distrarsi...». Guido De Maria, 93 anni compiuti il 20 dicembre, non rinuncia mai a una battuta. Scherza anche adesso che le gambe gli danno qualche problema e passa gran parte del tempo nella sua casa di campagna alle porte di Modena. Quella che è stato rifugio familiare e studio di produzione, da cui sono nati alcuni degli spot più celebri della tv italiana. E trasmissioni cult come Gulp! e SuperGulp! Qui c’è tutto il suo mondo, un museo spontaneo che celebra il genio dei fumetti e della creatività: sul pianoforte decine di miniature dei personaggi creati, da Nick Carter, a Giumbolo e ai «nanetti» di Loacker; le foto dei mille compagni di viaggio, da Guccini a Bonvi o Jacovitti, e gli innumerevoli riconoscimenti, compreso un Premio Tenco «come operatore culturale». «L’hanno dato proprio a me! Io che sono un ignorante enciclopedico: non so quasi niente di tutto...».
Partiamo dall’inizio.

«Primi disegni al liceo classico, per il giornalino scolastico. Avevo capito che facendo qualche scarabocchietto riscontravo un po’ di simpatia nell’elettorato femminile».

Il primo personaggio?
«Si chiamava Cribius, una parodia di Giulio Cesare».
Quando ha capito che sarebbe stata la sua strada?
«Mi iscrissi a Matematica, ma pensavo di più alle vignette. Grazie ai buoni uffici di alcuni parenti, incontrai a Milano Enzo Biagi, giovanissimo direttore del settimanale Epoca. Gli feci vedere un disegno: c’erano due fidanzatini russi che facevano un picnic, e una lunga fila di formichine sul cibo. Lui la rassicurava: “Lasciamo che mangino, Natascia, sono formiche rosse”. Biagi scoppiò a ridere e, mi promise che avrebbe pubblicato una nuova vignetta ogni volta che avrei dato un esame. Se gli avessi detto la verità, adesso avrei 4 lauree e 5 master».

Poi arrivò la pubblicità.
«Da Carosello in poi, ho calcolato di aver realizzato più di 1.300 spot. Tra i primi quelli per la Cera Grey con i Brutos, e poi con Franco e Ciccio».
Con i quali nacque un bel rapporto.
«Finivamo di girare e la sera andavamo nei locali a fare cabaret. Sono stati anche i miei due testimoni di nozze, ne parlarono anche i giornali. Mia moglie Rosanna quando vide tutta quella gente davanti alla chiesa mi chiese: “Ma è qui per noi?”. No, le risposi, è venuta per vedere Franco e Ciccio».
Per le storie di «Salomone, pirata pacioccone», storica pubblicità dell’Amarena Fabbri, coinvolse anche Francesco Guccini.
«Mi avevano detto che a Bologna c’era un giovane cantante molto bravo. Andai a sentirlo e mi misi a registrarlo, aveva un modo di esprimersi difficile da comprendere, così gli dissi di scandire meglio le parole. Non la prese bene, a un certo punto rivolgendosi al pubblico: “C’è qualcuno che mi toglie di torno questo rompicoglioni?”».
Non un inizio dei migliori.
«Poi però siamo diventati grandissimi amici
, viene ancora spesso a trovarmi. Lo sapete che fui io a convincerlo a fare il cantautore? Aveva già scritto brani per i Nomadi e per l’Equipe 84, gli consigliai di mettersi in proprio. “Ma che vuoi che me ne importi” mi rispose. Così, a sua insaputa, presentai io la domanda di iscrizione alla Siae».

Fu Guccini a indicarle Franco Bonvicini, in arte Bonvi, il creatore delle Sturmtruppen.
«Me lo segnalò, spiegandomi anche che era matto come un cavallo. Bonvi si presentò vestito da soldato, lui aveva il mito della divisa tedesca anche se poi nessuno come lui prese in giro la vita militare. Precisò subito che non aveva nessuna intenzione di fare il disegnatore e, per prendermi in giro, aggiunse che il suo obiettivo era avviare una coltivazione idroponica su Marte. A quel punto saltai sulla scrivania e, imitando la voce di Jerry Lewis, commentai: “Che bella idea, davvero una bellissima idea”. Non se l’aspettava, mi guardava stupefatto. Alla fine mi disse: “Quanto vuole per farmi lavorare qui con lei?”. Da quel momento nacque un’amicizia che durò per sempre, fino a quando non fu travolto da un’auto guidata da un ubriaco. Ero affezionatissimo a lui, e io per lui ero come un fratello maggiore».
Insieme avete creato anche il personaggio di Nick Carter di Gulp! e SuperGulp!
«All’inizio degli anni Settanta Giancarlo Governi, responsabile dei programmi speciali della Rai, pensò di portare i fumetti in tv. Preparai un numero zero e nonostante i concorrenti fossero molto più accreditati di me, scelse la mia proposta. L’idea era riprodurre le strisce esattamente come noi le vediamo e le leggiamo, solo che al posto dell’occhio c’era la telecamera che zoomava, allargava il campo, si spostava sui personaggi, mostrava le nuvolette, e in più una colonna sonora. Così ho creato un linguaggio nuovo».
Portò in tv animatori come Bruno Bozzetto, Jacovitti, Hugo Pratt. E poi Tintin e i supereroi della Marvel. Fu un successo clamoroso.
«L’indice di ascolto fu superiore perfino di Rischiatutto. Mike Bongiorno si arrabbiò tantissimo».
Lei è il padre di alcuni indimenticabili tormentoni della pubblicità. Tanto per citarne un paio: «Con Nelsen i piatti li vuol lavare lui», «Baleno e lavoro meno». Ma anche la «camicia con i baffi» di Maurizio Costanzo.

«Non fu facile convincerlo. Quando seppe qual era la battuta – “E se va bene a me. Buona camicia a tutti” -—, fu categorico: “Questa non la dico, sono senza collo”. E io: proprio per questo la devi dire. Capii che era meglio non insistere, la tirai fuori solo all’ultimo ciak. E Maurizio: “Alla fine me l’hai fatta dire?”».

Altro spot di enorme successo a cui è molto legato: i «nanetti» Loacker.
«La prima a cantare il jingle “Veniamo giù dai monti, dai monti del Tirolo” fu Ivana Spagna, che non era ancora famosa. I testi li scrissi io, la musica suo fratello Theo. Abitavano qui vicino, il provino l’abbiamo fatto in un fienile nel Reggiano. Tutto improvvisato, come batteria usammo un fustino di detersivo; andò talmente bene che è rimasto per sempre.
Ivana era brava, disponibile, dolce, poi quando diventò importante la casa discografica le impedì di continuare con la pubblicità».
Ha collaborato pure con Antonio Ricci.
«Era l’autore per Canale 5 una trasmissione che si chiamava Odiens, condotta da un’esordiente Lorella Cuccarini. A me e al mio gruppo chiese di preparare giochi e indovinelli. Ci venne naturale arricchirli con scherzi e ironia. Antonio mi convocò e mi chiese di togliere tutta la parte comica: “Qui siamo noi che facciamo ridere”. Chissà, forse aveva paura che gli facessimo le scarpe... (lo dice sorridendo)».
E Giumbolo?
«Ho sempre lavorato con gli altri, perché è uno stimolo continuo, in gruppo nascono sempre le idee migliori. Ma a un certo punto mi venne voglia di creare qualcosa che fosse tutto mio. Così lo disegnai, scrissi i testi e la musica. Non mi aspettavo che avesse un tale successo».
Era il 1978, l’anno del sequestro Moro.
«E questo omino buffo cantava: “Mi chiamo Giumbolo Giu-Giumbolo Giu-Giumbolo. Io son felice sempre gongolo e rigongolo». Niente di più leggero e spensierato. Ho venduto più di 100.000 dischi. Poco tempo fa in occasione di un premio, perché adesso come mestiere faccio il presidente di giuria quando non sanno chi chiamare, mille persone si sono messe a cantare in coro Giumbolo. Dopo tanti anni ancora la ricordavano».
Una carriera lunga e densissima. Un bilancio?

«Posso dire di essere stato fortunato. Ho fatto tutto quello che ho voluto, divertendomi e portando a casa anche qualche soldino per sopravvivere. Cosa si vuole di più dalla vita?».

A questo punto l’intervista potrebbe concludersi con: «E l’ultimo chiuda la porta!», l’immancabile finale di SuperGulp!. Ma a casa De Maria sopra la porta, proprio accanto a un «mirabile tetto a cassettoni» che in realtà non è altro che un normale tetto a cui ha appeso dei cassetti da comò, prima di chiuderla non si può non leggere un cartello: «Lasciate ogni speranza, voi che uscite».