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 2025  dicembre 22 Lunedì calendario

La colomba Giorgetti e i falchi del leader. Ora il bersaglio è il decreto Ucraina

 «Ho fatto un capolavoro, e tutto da solo: sulle pensioni non si scherza», dirà agli amici Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro e vice di Matteo Salvini. «Io non sto qui per sfasciare i conti dello Stato: per il resto facciano loro, io penso ai saldi di bilancio, fosse per me mi dimetterei tutti i giorni», sussurrerà Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e pilastro del Carroccio da Bossi a oggi. Due leghisti di rango, della nuova e vecchia guardia, una crisi di governo sfiorata e Salvini, il leader, che copre Durigon utilizzando come testa d’ariete un altro leghista d’azione come Claudio Borghi, uno dei quattro relatori della manovra.
Il cortocircuito ha costretto Giorgia Meloni, suo malgrado, a gestire se non un congresso lampo, almeno una partita di «riequilibrio di poteri interni a un altro partito», raccontano dentro Fratelli d’Italia.
Come sempre sono «i non detti» e i «sospetti» a fornire filo da tessere (pronto a essere smentito, s’intende). In via XX Settembre, per dire, assicurano di essere sempre molto «accoglienti» nei confronti delle richieste legate ai contenuti politici di Salvini; dalle parti del vicepremier, invece, serpeggia a volte il cattivo pensiero che Giorgetti, spinto dalle responsabilità e dal realismo, sia una sorta di «ministro di Meloni: non di Fratelli d’Italia, ma proprio di Giorgia». Illazioni e sfoghi, dinamiche che ciclicamente si perpetuano come ai tempi del governo Draghi. Con Giorgetti che definiva l’ex banchiere centrale «un fuoriclasse alla Cristiano Ronaldo» e Salvini che masticava amaro davanti all’ingresso in un governo di unità nazionale, che sarà esiziale per i suoi consensi, e un Eldorado per Fratelli d’Italia che ne resterà fuori.
Dunque sulla manovra, con cortese fermezza, si sono affrontati Giorgetti e Durigon (con il genio guastatore Borghi). L’ha spuntata quest’ultimo. Salvo ammettere, sempre agli amici, che «con Giancarlo ci siamo sempre parlati sulle finestre delle pensioni: l’errore è stato della struttura del ministero, forse della Ragioneria o di un dirigente troppo attento agli input europei, ma non siamo più quell’Italia, ormai lo spread è sotto controllo».
Alla fine Salvini ha spalleggiato i «falchi» e sconfessato la «colomba» in un difficile equilibrio che fa parte del dna della Lega nel 2025. Nessun dramma, tutto rientrato, si affrettano a dire i salviniani, dopo l’ultimo testacoda. Un blackout che ha costretto Meloni a riportare tutti «con i piedi per terra» alla ricerca di una soluzione che non minasse la manovra, vera preoccupazione della premier.
Tuttavia, se è vero che ogni giorno il governo ha la sua pena (e la sua Lega), ecco all’orizzonte un nuovo scoglio. Si chiama decreto Ucraina. Serve a garantire sostegno a Zelensky per tutto il 2026. Salvini ha già fatto sapere che non ci deve essere la parola «armi», né scritta né nei fatti. Antonio Tajani, leader di Forza Italia, parla di «aiuti prevalentemente civili». Lasciando intendere che comunque Kiev continuerà a difendersi, anche grazie all’Italia. Da quanto risulta al Corriere, i leader del centrodestra si stanno già scambiando bozze per limare i dettagli, ma c’è un accordo politico che contempla le diverse sensibilità della coalizione.
Oggi è in programma il consiglio dei ministri. Al momento il decreto Ucraina non risulta essere nell’ordine del giorno del preconsiglio. Anche perché non saranno presenti a Palazzo Chigi il ministro della Difesa Guido Crosetto né quello degli Esteri Tajani (in missione a Gibuti per i saluti ai militari italiani). Se non sarà oggi (è previsto al contrario il voto in due giorni per il referendum sulla giustizia e una norma del ministro Andrea Abodi sul servizio civile) l’ultima data disponibile è quella del 29 dicembre. I leader parlano, si scambiano le bozze del decreto e trattano. Costretti a coesistere. Come le due Leghe che si sono affrontate sulla manovra con un tabellone che parla di vinti e vincitori.