Avvenire, 21 dicembre 2025
I “cartoneros” colpiti dalla liberalizzazione: «Non sopravvivi neanche lavorando 18 ore al giorno»
«Per comprare gli alimenti essenziali per una famiglia ci vogliono 1,2 milioni di pesos, circa 700 dollari. Prima riuscivo ad arrivarci con un turno “normale” di sei o sette ore di riciclaggio della spazzatura. Attualmente, per sfamare i miei, dovrei lavorare sette volte tanto. Ma non ci sono abbastanza ore in un giorno. Già di ore ne faccio 18». Jonathan Castillo sintetizza così quella che gli argentini hanno soprannominato “la crisi del cartone”. A innescarla, la scelta, un anno fa, del governo di Javier Milei di liberalizzare le importazioni di rifiuti non contaminati.
Cartone, dunque, e altri materiali che le fabbriche acquistano in blocco nell’ambito dell’attività manifatturiera. A fornirglieli prima erano i riciclatori nazionali o “cartoneros”. Circa 150mila persone escluse dall’economia formale che, con la raccolta della parte riutilizzabile dell’immondizia, hanno creato un’occupazione degna. Non è stato facile. Il processo di organizzazione popolare, accelerato dal tracollo del 2001, è stato complesso e articolato. Ad accompagnarlo la Chiesa locale, guidata all’epoca dal cardinale Jorge Mario Bergoglio. All’inizio, i “cartoneros” hanno dovuto combattere per far abrogare la legge che definiva “furto” il recupero di materiale dai cassonetti, patrimonio di un oligopolio di tre imprese.
Alla fine, anche grazie alla mobilitazione della società civile, hanno ottenuto che la loro attività fosse regolarizzata nel 2007. Da allora si sono aggregati in centinaia di cooperative, riunite nella Federación argentina de cartoneros. Queste ultime hanno consentito ai lavoratori di ottenere migliori prezzi e, soprattutto, condizioni di impiego più giuste. “Recicladores unidos” presieduta da Castillo e situata ad Avellaneda, città satellite della sterminata cintura urbana di Buenos Aires, è una delle principali.
La motosega di Milei rischia ora di mandarla in frantumi insieme al resto del sistema di riciclaggio popolare. La concorrenza dei materiali in arrivo dall’estero, più economici perché raccolti con un sistema “industriale”, ha fatto crollare il valore degli scarti nazionali.
Il cartone ha fatto un tonfo addirittura del 70 per cento. «Da un chilo, due anni fa, ricavavo l’equivalente di 320 pesos e, al tempo, un dollaro – valuta da cui di fatto dipende l’economia argentina – ne valeva 700. Ora non arrivo a 185 e il biglietto verde ha raggiunto quota 1.400. Come facciamo ad andare avanti?», domanda, esasperato, Castillo. A questo si somma a Buenos Aires la scelta dell’amministrazione locale del conservatore Jorge Macri di eliminare i bus gratuiti tra la provincia, da dove viene buona parte dei cartoneros, alla città, epicentro della raccolta. Il costo del trasporto assorbe il 20 per cento dei già magri guadagni. Tanti non ce la fanno e rinunciano. «Prendiamo il caso della mia cooperativa: eravamo 380. Siamo rimasti in 125. Che fanno i 255 mancanti? “Changas”», risponde il “cartonero”. “Changas” è la versione argentina dell’arte di arrangiarsi. Indica i modi con cui le persone provano a sopravvivere alla giornata. «Assistiamo a un paradosso. Il numero di quanti frugano nell’immondizia cresce. Non cercano, però, materiale riciclabile. Sono alla caccia di cibo. È molto triste. Sembra di essere tornati indietro di 24 anni, all’epoca della “grande crisi”».
Dal punto di vista macroeconomico, l’ultraliberista Milei è riuscito a contenere l’inflazione passata dal 211 per cento al 30 per cento, mentre il rischio Paese si è ridotto a un terzo. La condizione di impiegati, pensionati, lavoratori formali e informali, però, non è migliorata. Al contrario. L’altra faccia del “miracolo argentino” – come non si stanca di ripetere il presidente – è la contrazione del potere d’acquisto e, con essa, dei consumi soprattutto nella classe media e nei gruppi sociali con meno risorse. Il che, a sua volta, provoca la crisi dell’industria. Sulla carta l’economia cresce ma grazie all’exploit di transazioni finanziaria, investimenti in ambito minerario e dell’agricoltura intensiva.
Con un mercato interno sempre più ristretto e la feroce concorrenza dei prodotti d’importazione ormai liberalizzati, ogni giorno, in media chiudono ventotto fabbriche per un totale di oltre 17mila e oltre 236mila impieghi persi, secondo i dati del Centro di economia politica argentina. Era dalle privatizzazioni selvagge degli anni Novanta, durante il governo di Carlos Ménem, che non si vedeva una simile recessione del settore. «Abbiamo visto come è finita – conclude Jonathan –. Allora, per sopravvivere, ci siamo messi a raccogliere cartone. Ora ci stanno togliendo anche quello…».
Nel continente il riciclo resta ancora un miraggio
5%
la percentuale di rifiuti che viene riciclata in America Latina. Nel continente ogni anno vengono prodotte circa 200 milioni di tonnellate di scarti
80 milioni
le tonnellate di rifiuti prodotte in Brasile ogni anno. Di queste soltanto una quota pari a circa il 6% del totale viene effettivamente riciclato
2 milioni
le persone che in America Latina vivono raccogliendo rifiuti. Si calcola che nel mondo il loro numero oscilli tra i 20 e i 34 milioni
10%
la percentuale dei raccoglitori di rifiuti che risulta formalmente organizzato nel continente sudamericano
50%
la percentuale di spazzatura che viene riciclata in America Latina grazie al circuito dei riciclatori informali